Nel Comune di Squinzano, in località Casalabate, a pochi metri di distanza dal mare e a circa due metri di altitudine si erge Torre Specchiolla, recentemente restaurata.
Gianluigi Tarantino (2021)
Torre Specchiolla domina la marina di Casalabate, nata un tempo come piccolo borgo di pescatori, oggi meta balneare per molti turisti. Comunicava visivamente a nord con Torre San Gennaro (oggi scomparsa), nel comune di Torchiarolo e a sud con Torre Rinalda.
La storia
Torre Specchiolla è classificabile come torre tipica del Regno. Questa tipologia di torri costiere furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-75 in seguito all’Orden General di Perafan de Ribera emanato nel 1563, per aumentare ulteriormente il numero di torri a protezione della Terra d’Otranto che proprio in quegli anni era in particolare sofferenza. La torre viene indicata nella cartografia d’epoca inizialmente col nome di “Torre della punta dello Specchio”.
La costruzione della torre fu assegnata, come attesta un atto del 19 agosto 1582, a Mario Schero di Lecce in seguito ad una lunga serie di bandi e offerte per l’aggiudicazione e spartizione degli appalti di più torri. Riporta Giovanni Cosi (1989): “Al bando fatto in Napoli, verso la metà del 1582, per la costruzione delle torri: Specchiulla, S. Giovanni de la Pedata, fra Saturo e Capo S. Vito (Lama), Fiumicelli di Otranto, Venneri e S. Caterina, partecipa il maestro Martino Cayzza con l’offerta di 90 ducati d’incanto. La R. Camera ordina a Ferdinando Caracciolo Governatore di Terra d’Otranto di rinnovare l’asta per ottenere una migliore offerta.” In un successivo documento del 15 febbraio 1584, Mario Schero richiedeva dalla Regia Camera, quanto gli spettava per il lavoro già terminato e approvato dal Regio Ingegnere provinciale Paduano Schero.
La torre agli inizi del XIX secolo venne censita in buono stato e nel 1842 risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale. Recentemente ha subito un importante restauro che ne ha consolidato la struttura ma che ha, in parte, snaturato la torre, eliminando alcuni importanti elementi architettonici, aggiungendone di nuovi. La torre è tuttora proprietà privata.
Dalla rivista La Zagaglia (1964)
Carlo Carrisi, Instagram (2017)
La struttura
Torre Specchiolla, come detto, è un bellissimo esempio di torre tipica del Regno, caratterizzata dunque da una base quadrata (circa 11 metri per lato), un corpo scarpato ed il coronamento in controscarpa. Gli spigoli sono costruiti con blocchi squadrati mentre le pareti sono realizzate con pietrame irregolare. La torre presenta dodici caditoie, tre per lato. Dall’appoggio dei barbacani in su è stato tutto ricostruito e, in lato mare, sono state realizzate due grandi aperture, una porta d’ingresso e una finestra. Originariamente, il piano terra era utilizzato come cisterna e il primo piano era il vano agibile al quale si accedeva tramite scala rimovibile o ponte levatoio situato in lato monte (il lato opposto al mare).
Torre Rinalda, il cui rudere è stato recuperato, si erge nel Comune di Lecce, sul livello del mare.
Emanuele Stifanelli, Flickr.
Torre Rinalda comunicava visivamente a nord con Torre Specchiolla e a sud con Torre Chianca. Ormai quasi a ridosso del mare per via dell’erosione del litorale sabbioso, la torre ha dato il nome all’omonima località balneare sviluppatasi attorno, oggi marina di Lecce. É presente in tutta la cartografia a partire dal XVII secolo, col nome di “Torre della Rinalda”.
La Storia
La costruzione di Torre Rinalda fu opera del maestro costruttore Nicola Saetta di Lecce, come testimoniato da un documento del 2 ottobre 1567, citato dal Cosi (1989) e dal De Salve (2016), che riporta dei 200 ducati che Saetta ricevette dalla Regia Camera per la costruzione della stessa.
Riporta a riguardo il Cosi (1989): “Il maestro Nicola Saetta di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal marchese di Capurso, il 2 ottobre 1567 riceve dal Percettore 200 ducati a buon conto per la costruzione di tre torri, nelle marine di Lecce e Squinzano, nei luoghi detti Raynalda, Vienneri e la Chianca.”
Tra gli altri documenti citati dal Cosi vi sono i seguenti:
“Andrea Perefuan, nominato caporale della torre Rinalda dal vicere Alfonso Pimentel y Herrera con lettere patenti spedite da Napoli il 31 maggio 1607 (Reg. tas in Patentium 1° turrium f.° 49), il 9 agosto 1608 si dimette dall’incarico essendo da molti mesi ammalato nella torre.”
“Giovanni Vincenzo Rucco di Nardò, caporale della torre di Rinalda, e Angelo Zacheo di Martano, caporale della torre dello Scorzone (S. Caterina), il 1° agosto 1609 si scambiano le torri (con richiesta di R. Assenso), perché a nessuno dei due è favorevole il clima della torre finora occupata.”
Torre Rinalda fu censita in buone condizioni nel 1825 e risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale nel 1842. Fu restaurata nel 2001 perché gravemente danneggiata dai fenomeni atmosferici e dall’azione del mare. Tuttavia necessiterebbe di maggiori tutele in quanto il livello del mare, avvicinandosi progressivamente, mette in serio pericolo il rudere superstite.
Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
La torre, classificabile come tipica del Regno, appare oggi in discrete condizioni perché fortunatamente restaurata. Del suo grande rudere si può ammirare l’intero basamento scarpato oltre ad un’ampia parte di quello che era il piano agibile. Presenta una struttura troncopiramidale a base quadrata e fu innalzata utilizzando blocchi di carparo regolari. Sono ancora ben visibili due feritoie in lato mare e in lato costa-nord. Inoltre è visibile una parte della volta a botte del vano agibile, ormai quasi completamente crollata. La parte superiore è completamente diroccata. Probabilmente presentava dodici caditoie, tre per lato.
Nel di Comune di Lecce, nell’omonima località, sorge Torre Chianca a 20 metri dal mare e a un’altitudine di due metri. Il rudere è oggi in stato di abbandono.
Vito Pezzuto (2020).
Torre Chianca, da non confondere con l’omonima torre nel comune di Porto Cesareo, comunicava visivamente a sud con Torre Veneri e a nord con Torre Rinalda. Chianca, nel dialetto salentino, significa “lastra di pietra”. È la prima torre a base circolare grande della provincia di Lecce muovendosi da nord a sud. Il rudere domina questo tratto di litorale roccioso basso e ha dato il nome alla rinomata marina di Lecce.
La Storia
La costruzione della torre fu merito del maestro Nicola Saetta di Lecce, come testimoniato da un documento del 2 ottobre 1567, che riporta dei 200 ducati che lo stesso ricevette dalla Regia Camera per l’edificazione di questa e di altre due torri, tra cui la vicina Torre Rinalda. Viene citata in tutta la cartografia a partire dal XVI secolo, con il nome di “Torre di porto della Chianca” e nel 1569 era già presente negli Elenchi dei Viceré. Venne censita in buono stato nel 1825 ma fu abbandonata da lì a poco.
Vito Pezzuto (2020)
La Struttura
Il grande rudere a base circolare si trova in cattive condizioni di conservazione. Resta l’intero basamento, con diametro di circa 12 metri, insieme ad un massiccio frammento verticale del paramento del piano agibile, quest’ultimo quasi interamente crollato. Ancora evidente il segno di quella che un tempo era la porta levatoia d’accesso al piano agibile, in lato monte. Presenta similitudini architettoniche con Torre Porto di Ripa e Torre Nasparo.
NelComune di Lecce in località Frigole, si erge Torre Veneri a pochissimi metri dal mare. Il rudere è in stato di abbandono.
Gaetano Andriani de Vito, Instagram
Torre Veneri comunicava visivamente a sud con Torre San Cataldo (oggi scomparsa) e a nord con Torre Chianca. Si trova in un bellissimo tratto di litorale sabbioso, immersa nella natura ancora incontaminata, nelle vicinanze di una vasta area utilizzata per l’addestramento militare. Per raggiungerla è necessario percorrere una stretta via di campagna che dalla strada principale porta alla spiaggia. Viene indicata in alcuni documenti e nella cartografia a partire dal XVII secolo, anche col nome di “Torre di Manasca”. Nel tempo ha subito un lungo processo di degrado dovuto all’azione degli agenti atmosferici e del mare.
La Storia
Stando ai documenti esistenti citati dal de Salve (2016), la costruzione di Torre Veneri fu assegnata al maestro leccese Alessandro Saponaro con atto del 19 agosto 1582, solo dopo una lunga trafila di offerte per la costruzione di più torri, rinnovi di gara della Regia Camera e ribassi dei vari partecipanti. L’edificazione di questa torre, peró, secondo Onofrio Pasanisi, nel 1608, non era ancora stata completata.
Alessandro Protopapa, Facebook
Dal sito del Quotidiano di Puglia
La Struttura
Torre Veneri è una torre a base quadrata atipica perché presenta caratteristiche simili alle torri dello Stato della Chiesa, integrate con quelle delle masserie fortificate dell’entroterra salentino. La struttura della torre è quadrangolare con corpo scarpato. Ogni lato misura circa 11 metri. Oltre il toro marcapiano continua con un parapetto verticale. Sono evidenti i segni di rovina sui paramenti di ogni lato, in particolare in lato monte dove vi era l’originaria porta levatoia. Piuttosto in rovina anche la parte inferiore del lato mare. Presentava al pian terreno una cisterna e una scala in pietra che conduceva al primo piano. Quest’ultimo, con volte a crociera, conserva ancora l’antico camino e una scala che conduce al terrazzo. Attualmente la torre, in grave rischio crollo, è sostenuta da delle strutture di supporto in ferro in quanto gli stessi spigoli della torre sono gravemente danneggiati.
Cartografia antica tratta dal sito Fondazione di Terra d’Otranto (vedesi bibliografia).
La Storia
Fu edificata probabilmente nel XV secolo nella zona del porto antico “presso un’acqua sorgente che a scalaggio de nimici et che se ne può servire un’armata potente“. Fu restaurata dal leccese Giovanni Tommaso Garrapa, affidatario dei lavori. II Garrapa, nell’esecuzione, fu tenuto alla stretta osservanza che il suo operato fosse conforme al disegno del Regio Ingegnere Tommaso Scala. I lavori sarebbero dovuti terminare entro quattro mesi dal 15 aprile 1568.
I termini furono disattesi per via di una serie di logoranti complicazioni, non ultima, la morte di Giovanni Tommaso Garrapa. I lavori furono completati da Giovanni Angelo Garrapa (subentrato al fratello insieme ad altri soci) e saldati dalla Regia Corte il 2 giugno 1583 (De Salve).
Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti: “Il maestro Giovanni Angelo Garrapa, il 12 dicembre 1580 dichiara che negli anni scorsi, assieme a suo fratello Giovanni Tommaso, fece partito con la R. Corte per le fabbriche delle torri di S. Cataldo, di Roca Vecchia e de l’Urso alias Creta Russa. Essendo stati i lavori compiuti, nonostante la morte di Giovanni Tommaso, e <<cannigiati> (misurati a canne) dal R. Protomastro provinciale, dovendo riscuotere il saldo dei lavori, costituisce suoi procuratori i maestri Marco Guarino e Martino Cayzza. Ancora il 14 aprile 1581 il Garrapa deve rilasciare procura al Cayzza per riscuotere presso la R. Camera la differenza a saldo per le tre torri.”
Successivamente “I soci dell’appalto delle tre torri il 2 giugno 1583 dichiarano d’aver ricevuto tutto il denaro dovuto dalla R. Corte e che è stato diviso in parti uguali a tutti gli aventi diritto.”
San Cataldo, l’antico Porto di Adriano, scalo portuale di Lecce in epoca romana, disponeva di una fortezza ora scomparsa. Infatti, nel tomo di Antonio De Ferraris, noto come Il Galateo: De situ Yapygiae, pubblicato a Basilea nel 1553, è riportata la seguente frase che per ragioni di comodità traduciamo in Italiano dall’originale in Latino:“Chi procede da lì per 10 miglia s’imbatte nel castello che prese il nome da San Cataldo, antichissimo arcivescovo dei Tarantini, per il fatto che egli provenendo dall’oriente toccò dapprima questi luoghi, dove c’è anche un piccolissimo tempio a lui dedicato. Gualtiero fondò anche questo castello per emporio dei Leccesi più vicino alla città […]”.
Il Gualtiero cui si accenna era uno dei Conti di Lecce, appartenente alla famiglia de Brienne, ed il castello in questione doveva essere più probabilmente una torre, forse più imponente delle altre disseminate lungo la costa, infatti in un altro testo manoscritto dei primi anni del XVII secolo: I Castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611, è riportato: “La Torre di S. Cataldo sta in funzione di guardia di un molo […]” ed il suo armamento nel 1610 consisteva in quattro pezzi di artiglieria leggera tipici dell’epoca rinascimentale: “Tre falconetti” e “Uno sparviero”. (Corriere Salentino).
Era indicata in tutta la cartografia antica, a partire dal XVII secolo come castello. Su più recenti tavole dell’istituto Geografico Militare sono invece distinti sia il faro, sia i ruderi, evidentemente riferiti alle vestigia della torre e dei quali oggi non è rimasta traccia (De Salve).
Comunicava visivamente a sud con Torre Specchia Ruggeri e a nord con Torre Veneri.
Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.
De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.
Fondazione Terra d’Otranto (2015). I castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611: TORRE DI SAN CATALDO (5/6). Link: https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/06/16/
Nel Comune di Melendugno, in località di Torre Specchia, si erge Torre Specchia Ruggeri a pochi metri dal mare e a 5 metri di altitudine. Il rudere è in stato di abbandono.
Fernando Venuti, Facebook (2020)
Torre Specchia Ruggeri comunicava visivamente a sud con Torre San Foca e a nord con Torre San Cataldo (oggi scomparsa). Il rudere, che ha subito molte modifiche nel tempo, domina uno splendido tratto di costa ancora incontaminato e facilmente raggiungibile dalla litoranea che conduce da San Cataldo a San Foca. Per quanto riguarda il suo nome, la presenza di “specchie” nel territorio salentino ha influenzato anche la toponomastica, tant’è che “Specchia” è appunto un toponimo che deriva dal latino spècula, termine con cui si indicava un luogo, spesso elevato, dotato di visuale privilegiata e utilizzato come osservatorio.
La Storia
La torre compare in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo ed è indicata inizialmente come “Torre di capo dello Specchio”. Non vi sono notizie specifiche sull’identità del costruttore. Risulta già esistente nel 1569, secondo gli Elenchi dei Viceré.
Dalla documentazione riportata da Giovanni Cosi (1989), la torre fu indicata come “Torre di Specchia de Ruggero, sita nella marina detta Saso e in territorio del Casale di Vanze”. In questi registri militari inoltre, si registra la presenza di un primo corpo di guardia dal 1° dicembre 1566. Il drappello è composto da tre cavallari: Balli Calà di Acquarica di Lecce, Donato Garrofalo di Vanze e Cesare Longo. Rientrava, infatti, nella giurisdizione territoriale dell’Università di Acquarica di Lecce. Lo spagnolo Giovanni Sanchez fu il primo caporale, pagato 8 ducati a bimestre.
La torre, dopo gli importanti interventi di consolidamento del costone roccioso che la ospita, eseguiti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, periodo a cui si deve anche la costruzione del vistoso corpo a due piani aggiunto all’originaria struttura, è in discrete condizioni. Le stanze aggiuntive erano destinate inizialmente ad abitazione del custode. Successivamente è stata sede di un presidio del Corpo Forestale dello Stato sino agli anni ’70 e ’80 del Novecento. In seguito, fu abbandonata.
La Struttura
La torre presenta pianta quadrata, con le caratteristiche costruttive delle torri tipiche del Regno è però priva di caditoie. Secondo il Faglia (1978), è possibile ipotizzare che siano state abolite completamente, durante uno dei possibili restauri, perché danneggiate o crollate. Oltre al corpo aggiuntivo addossato alla torre, sono leggibili tracce di rifacimenti, dal coronamento alle finestre ad arco sui due lati costa, oltre a quelle di un’apertura in lato mare. Non è possibile vedere l’originaria porta levatoia in lato monte proprio per l’edificio aggiuntivo costruito a ridosso della torre.
Nel Comune di Melendugno nell’omonima località si erge torre San Foca, a 15 metri dal mare e a un’altitudine di 5 metri. La torre fu restaurata ed è oggi utilizzata dalla Capitaneria di Porto.
Fabio Protopapa (2014)
Torre San Foca comunicava visivamente con Torre Roca Vecchia a sud e con Torre Specchia Ruggeri a nord. Un tempo sorgeva isolata, oggi domina il grande porto turistico e peschereccio dell’omonima marina. Nel territorio di Melendugno, Torre San Foca è l’unica ad aver ricevuto un restauro recente, che permette una visione unitaria dell’edificio, a differenza di Torre Roca Vecchia e Torre dell’Orso, compromesse dall’erosione del vento.
La Storia
Torre San Foca, conosciuta anche come “Torre di San Fucà” o “di Capo di Sapone”, fu costruita nel 1568 dal maestro Antonio Saponaro di Lecce, come risulta dal seguente documento del 2 ottobre 1567 riportato da Giovanni Cosi (1989):
“Il maestro Antonio Saponaro di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito dal Governatore provinciale il 27 dello stesso mese, il 2 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 150 ducati a buon conto per la costruzione della torre nella marina di Acquarica di Lecce, in luogo detto Sapone e della torre nella marina di Otranto in luogo detto Fiumicelli.”
“Il maestro Antonio Saponaro, l’8 giugno 1568, costituisce suo procuratore Marcello Buttazzo per la riscossione degli acconti dovutigli dalla R. Corte per la costruenda torre Santa Focà alias Sapone.” (Cosi, 1989).
Torre San Foca è indicata da tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, è presente negli Elenchi dei Viceré già nel 1569. Fu censita in buono stato nel 1825 e risultava ancora in uso nel 1842 dalla Guardia Doganale. La torre è stata restaurata alla fine del XX secolo ed ospita oggi gli uffici della Capitaneria di Porto. Il suo restauro però è stato considerato da molti come “invasivo”, ovvero fatto con criteri discutibili, in contrasto con il metodo di restauro conservativo.
Torre San Foca prima del restauro.
La Struttura
Torre San Foca rientra nella categoria di torri tipiche del Regno. Presenta dunque una base quadrata e con corpo troncopiramidale, formata da due piani sovrapposti voltati. Il piano terra era utilizzato come cisterna, mentre il piano superiore era costituito dal vano agibile. La muratura esterna, costruita in conci regolari di tufo, è lievemente scarpata. A differenza di altre torri tipiche del Regno, manca la controscarpa alle caditoie. Queste, tre per lato, sono ricavate in spessore di muro, come nella gemella Torre dell’Orso. Il restauro ha purtroppo cancellato molte delle tracce delle origini ma ha consentito di salvare la struttura rendendola utilizzabile.
NelComune di Melendugno, nell’omonima località, si erge Torre Roca Vecchia a pochi metri dal mare e a un’altitudine di 6 metri. Il rudere è stato recuperato.
Foto di Alfonso Zuccalà.
Torre Roca Vecchia si erge su un piccolo isolotto, nei pressi di Roca, rinomata località per gli importanti scavi archeologici e per la presenza della famosa Grotta della Poesia, meta turistica soprattutto d’estate. Immersa nella bellezza di questo tratto di costa caratterizzato da un mare cristallino, la torre comunicava a sud con Torre dell’Orso e a nord con Torre San Foca, entrambe molto simili per caratteristiche. In passato era conosciuta anche come “Torre di Maradico”, termine corrispondente alla dizione dialettale di “malarico”, che sta ad indicare la natura umida e paludosa della zona circostante.
La Storia
Si racconta che nel XIV secolo, il conte Gualtiero di Brienne decise di edificare in questo luogo una cittadella fortificata, attratto della sua posizione strategica, e la chiamò Roche, da cui Roca. Gli abitanti di Roca (Vecchia) dopo l’assedio di Otranto del 1480, fuggirono da questo luogo e fondarono il piccolo villaggio di Roca Nuova. Numerose abitazioni furono abbandonate alla ricerca di rifugi più sicuri anche nell’entroterra. Quando la torre fu edificata nel 1568, la città medievale era già da tempo abbandonata e in rovina.
Fu costruita dal maestro Giovanni Tommaso Garrapa al quale fu ordinato che i lavori terminassero entro sei mesi a partire dal 15 aprile 1568 e che si attenesse, come da prassi, al progetto del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala. Di fatto, la costruzione della torre dopo varie vicende fu ultimata solo molto tempo dopo dal fratello, Giovanni Angelo e fu saldata dalla Regia Corte il 2 giugno 1583. Nel 1576 Antonio Tamiano, procuratore dell’Università di Roca, la munì di un moschetto da una libbra, ricevuto dal sindaco di Lecce.
Nel 1639, il torriero Agostino Lopes a causa dell’età avanzata, rinunciò alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos figlio di Giovanni, un milite del Castello di Lecce: “Lo spagnolo Agostino Lopes, caporale della torre di Roca vecchia, non potendo più attendere al servizio della torre, per la sua età di circa 80 anni, il 1° maggio 1639 rinuncia alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos, figlio del fu Giovanni già milite del R. Castello di Lecce. Carlo è abile al servizio, essendo stato per molti mesi istruito da Agostino.” (Cosi, 1989).
La torre è indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente coi nomi di “Torre di punta Rocca Vecchia” o “Torre de Voga” ed è presente negli Elenchi del Vicerè del 1569. Essa rimase attiva per circa due secoli. All’inizio del XIX secolo fu censita in cattivo stato e nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Il rudere è stato recentemente oggetto di importanti interventi di consolidamento.
Da Fotografando Lecce e il Salento, Facebook
La Struttura
Torre Roca Vecchia è un bellissimo esempio di torre tipica del Regno nonostante il suo stato attuale di rudere. Molto simile per caratteristiche alle vicine Torre dell’Orso e Torre San Foca anche dal punto di vista dei materiali adottati, la sua struttura troncopiramidale a pianta quadrata, ospita al piano terra una grande cisterna un tempo utilizzata per la raccolta dell’acqua. Il primo piano è costituito dal vano abitabile e vi era anche un camino. L’ingresso era raggiungibile con scale a pioli mobili.
Sono crollati, del piano agibile lato monte nord, parte del tetto e due pareti adiacenti. Rimangono tuttora tracce del coronamento di caditoie a filo dei paramenti e una finestra originale. In lato mare, sono distinguibili i barbacani in controscarpa. Il materiale calcareo che la costituisce è pesantemente deteriorato ma il recente intervento di restauro ha fortunatamente messo in sicurezza la struttura.
Nel Comune di Melendugno, nell’omonima località, si erge Torre dell’Orso a circa 20 metri dal mare e a un’altitudine di 16 metri. Il rudere è stato recuperato ed è in attesa di ulteriore restauro.
Dal sito Villaggi Hotel Puglia.
Torre dell’Orso fu edificata a picco sul mare, su di un alto sperone roccioso che poi si arresta bruscamente per lasciare posto alla meravigliosa baia sabbiosa che caratterizza l’omonima località balneare. In un luogo difficilmente controllabile da altre posizioni, la torre comunicava visivamente a sud con Torre Sant’Andrea, oggi scomparsa, e a nord con la gemella Torre Roca Vecchia. Al di sotto della torre, nella tenera pietra del costone roccioso, si aprono diverse cavità, che costituiscono un sito rupestre frequentato fin dall’antichità.
Non vi sono certezze riguardo l’origine del nome. Esistono però diverse ipotesi: forse Orso sarebbe da ricondurre a Urso, cognome del probabile proprietario dell’agro nell’antichità. Stando ad un’altra interpretazione, avendo le torri costiere nomi di santi, il suo nome doveva essere Torre di Sant’Orsola, da cui Torre dell’Orso. Altra ipotesi del toponimo è data dal fatto che sotto la torre vi sia una roccia che rappresenta il profilo di un orso. Guardando la spiaggia, con la torre alla propria sinistra, si nota una formazione rocciosa raffigurante il profilo di un orso. L’erosione ha, nel corso dei decenni, modificato tale sembianza ma è tuttora visibile.
La Storia
Nella cartografia antica la torre è indicata a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre del Porto dell’Orso”, successivamente come “Torre dell’Urso”, poi “Torre del Capo Dorso”, infine “Torre dell’Orso”. Risultava esistente negli Elenchi del Viceré del 1569.
La costruzione fu affidata al maestro leccese Giovanni Tommaso Garrapa. A testimonianza di questo vi è un documento del 27 settembre 1567, in cui si registra che egli ricevette cento ducati per la costruzione della torre. L’opera subì un brusco arresto a causa della sua improvvisa morte. I lavori furono portati a termine successivamente da Angelo Garrapa, fratello di Tommaso. Esiste un documento che dimostra come il povero Angelo stesse ancora cercando di riscuotere il saldo dei lavori conclusi il 12 dicembre 1580. Egli riuscì a recuperare dalla Regia Camera il credito solo nel 1583. Il procuratore dell’Universitas di Borgagne, Bartolomeo Petruzzo, ricevette il compito di armare la torre. Risultava abbandonata nel XIX Secolo perché in cattive condizioni.
Nell’ottobre 2020, la Regione Puglia riconobbe un contributo per la manutenzione straordinaria, il restauro e la messa in sicurezza della torre e anche il sindaco annunciò che il comune avrebbe contribuito.
Fotografie tratte dalla pagina Facebook, Fotografando Lecce e il Salento.
La Struttura
Torre dell’Orso rientra nella categoria di torri tipiche del Regno. L’importante rudere della torre, danneggiato dall’erosione degli agenti atmosferici, ha subito un vistoso crollo in spigolo monte-sud che ci permette di osservare la volta interna del piano agibile. Esistono ancora tracce delle caditoie, queste erano originariamente tre per ogni lato, ricavate in spessore di muro e si distinguevano bene nel corpo quadrangolare scarpato della torre. Fu costruita in conci regolari di tufo tenero. Su un lato della muratura si nota ancora una feritoia. Foto d’epoca ci dimostrano come alcuni vistosi crolli siano avvenuti nel corso del Novecento.
Torre Sant’Andrea caratterizzava l’omonima località nel Comune di Melendugno. Comunicava visivamente a sud con Torre Fiumicelli e a nord con Torre dell’Orso. È indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre del porto di Sant’Andrea”. Oggi della torre non ci sono più tracce. Probabilmente fu demolita per far posto al Faro di Torre Sant’Andrea di Missipezza, che domina oggi questo incantevole e caratteristico tratto di costa, rinomato per i suoi faraglioni e le sue acque limpidissime.
L’edificazione della torre fu assegnata a Vittorio Renzo di Lecce, come risulta da un documento del 30 ottobre 1567, che riferisce dei cento Ducati che lo stesso ricevette “per la costruzione della Torre di Sant’Andrea”. La torre fu poi completata dal concittadino Massenzio Trisolo alla morte di Renzo. Tra i diversi documenti, Giovanni Cosi (1989) trascrive anche che: “Il sindaco di Borgagne Andrea de Jacobo, il 5 giugno 1578. riceve dal sindaco di Lecce un pezzo di artiglieria, detto mezzo falconetto lungo, della portata di 3 libbre di palla, lungo 9 palmi, del peso di 4 cantare e 65 rotoli, e 100 palle di ferro, per armare la Torre.”
Probabilmente era una torre tipica del Regno come le vicine Torre dell’Orso e Fiumicelli, risultava agibile secondo gli Elenchi dei Viceré nel 1569. Pare che fosse ancora in uso dalla Guardia Doganale nel 1842. Fu rasa al suolo pochi decenni dopo.
Nel Comune di Otranto in località spiaggia degli Alimini si erge Torre Fiumicelli. Il rudere in stato di abbandono versa in condizioni critiche, raggiunto dalle onde del mare.
Torre Fiumicelli prima dei crolli del 2020 (foto di Fabio Protopapa 2016)
Torre Fiumicelli comunicava visivamente a sud con Torre Santo Stefano e a nord con Torre Sant’Andrea (oggi scomparsa). Torre Fiumicelli si trova a pochi chilometri a nord di Otranto, in località Laghi Alimini. Lungo questo tratto costiero, alte falesie lasciano il posto ad una spiaggia sabbiosa lunga più di 6 km, bordata verso l’interno da un cordone dunare. Come vedremo, la torre fu spesso data per crollata anche da importanti studiosi, Mastronuzzi e Sansò (2014) ne conducono un importante studio del quale riporteremo alcune informazioni. Il loro studio si concentra sulla profonda erosione che ha caratterizzato negli ultimi decenni la spiaggia e che ha messo in serio pericolo il rudere. Purtroppo, nonostante le innumerevoli segnalazioni, non è stato fatto nulla per recuperare la torre che nel 2020 ha subito danni irreparabili.
La Storia
Torre Fiumicelli comunicava visivamente a sud con Torre Santo Stefano e a nord con Torre Sant’Andrea (oggi scomparsa). La torre si trova a pochi chilometri a nord di Otranto, in località Laghi Alimini. Lungo questo tratto costiero, alte falesie lasciano il posto ad una spiaggia sabbiosa lunga più di 6 km, bordata verso l’interno da un cordone dunare. Come vedremo, la torre fu spesso data per crollata anche da importanti studiosi. Mastronuzzi e Sansò (2014) ne conducono un importante studio del quale riporteremo alcune informazioni. Il loro studio si concentra sulla profonda erosione che ha caratterizzato negli ultimi decenni questa spiaggia e che ha messo in serio pericolo il rudere. Purtroppo, nonostante le innumerevoli segnalazioni, non è stato fatto nulla per recuperare questo rudere che, nel 2020, ha subito danni irreparabili.
La Storia
Simbolo della rinascita di Otranto dopo la liberazione dai turchi, la torre fu edificata nel 1582, sotto l’incarico dell’allora governatore della Terra d’Otranto, Ferdinando Caracciolo. Il maestro Martino Cayzza di Lecce fu l’esecutore designato della torre.
L’analisi della cartografia storica permette di comprendere la ragione del nome della torre (Torre del Fiumicello, Torre dei Fiumicelli, Torre Fiumicelli). Nella cartografia, infatti, è riportata la presenza a ridosso della fascia costiera di un’ampia palude connessa con la linea di riva per il tramite di un breve corso d’acqua, un fiumicello appunto.
“L’analisi della cartografia storica evidenzia come la posizione della torre sia indicata nella carta di Cartaro (1613), nella carta del De Rossi (1714), nella carta del De Bargas Machuco (1743), nell’Atlante Marittimo del Rizzi-Zannoni (1785), nell’Atlante Sallentino di Pacelli (1807), nell’Atlante Geografico del Rizzi-Zannoni (1808), nella Carta delle Province Continentali dell’ex Regno di Napoli (1822), nella carta di cabotaggio (1834), nella carta topografica dell’ITMI (1877). E’ interessante notare come già in una carta anonima realizzata nel 1785 la torre venga indicata come diruta. La non facile identificazione della torre sul terreno è testimoniata dalla sua assenza nelle carte del Magini (1620), del Blaew (1631-1635), del Bulifon (1734), del Marzolla (1851) nonostante siano costantemente riportate le torri limitrofe (Torre dell’Orso e Torre Sant’Andrea a nord-ovest, Torre Santo Stefano a sud-est, tutte ubicate in prossimità del ciglio di falesie)” (Mastronuzzi & Sansò, 2014).
Torre Fiumicelli viene data per distrutta dagli studiosi che hanno sin qui realizzato censimenti delle torri costiere (per es. Faglia et al., 1978; Cosi, 1992). Vittorio Faglia (1978) nel fondamentale catalogo delle torri di difesa costiera di Terra d’Otranto ne conferma la distruzione e ne desume la presenza solo sulla base dei dati storici. Il Cosi (1992) riporta una serie di documenti inediti che rivelano come la costruzione della torre fosse stata appaltata per la prima volta nel 1567 e poi nuovamente nel 1582; nel 1596 la torre risulta ancora in costruzione. Anche questo autore non individua la posizione della torre sul terreno riportando una sua probabile posizione geografica in coordinate metriche e a 5 metri di quota. Il De Salve (2016) la segnala “non costruita” nella sua lodevole pubblicazione. Eppure esiste, la Ferrara la include nel suo libro del 2009.
Torre Fiumicelli “conserva” oggi solo il piano terra che ospitava una cisterna voltata a botte. La torre si presenta ubicata in corrispondenza della battigia e con il piede sommerso dai sedimenti di spiaggia. Il moto ondoso ha raggiunto solo da qualche anno lo spigolo Nord Est della torre a causa degli intensi fenomeni erosivi che stanno interessando il litorale.
Fu subito evidente che il mare gradualmente stesse iniziando ad avvicinarsi sempre di più alla torre ma le segnalazioni non furono ascoltate. Nei mesi di gennaio, marzo e aprile 2020 ci sono stati dei crolli che hanno devastato ulteriormente il rudere. La notizia fu riportata da diverse testate giornalistiche tra cui il Nuovo Quotidiano di Puglia e LeccePrima. “Il Comune di Otranto, nel novembre 2017, ha segnalato lo stato di pericolo del monumento a tutti gli enti interessati. In quel caso era arrivata la risposta della Soprintendenza che, nel dicembre 2017, ha inserito la torre tra i monumenti considerati in pericolo. Rischio crollo, insomma. Appelli, lettere, atti di tutela che, però, sono rimasti lettera morta. Inviati e protocollati, ma senza produrre misure concrete. Né una rete di protezione, né un’azione di puntellatura. Niente di niente. Nonostante le occasioni rappresentate anche da bandi di varia natura per le torri o il litorale da valorizzare. Nonostante le stime del Comune non portino a cifre impossibili: servirebbero circa 150mila euro per restauro, protezione e messa in sicurezza. Prima che il mare si porti via tutto. Quello che neanche i Turchi riuscirono a fare.” (Nuovo Quotidiano di Puglia, 11 Gennaio 2020).
Mastronuzzi & Sansò, 2014
Francesco Pio Fersini (2018)
LeccePrima, 8 Aprile 2020, in seguito al crollo che ha danneggiato ulteriormente il rudere.
La Struttura
Torre Fiumicelli rientra nel gruppo delle torri troncopiramidali a base quadrata, le cosiddette tipiche del Regno. L’altezza di queste torri si aggira intorno a 12 metri con la misura del lato di base esternamente tra i 10 e i 12 metri. Il piano terra ospitava una cisterna alimentata dalle acque di pioggia convogliate dal terrazzo mediante una canalizzazione ricavata nello spessore della muratura. La volta a botte della cisterna sosteneva il vano abitabile della torre con ingresso sopraelevato da 3 a 5 metri circa, cui si accedeva per mezzo di una scala a pioli retraibile. Al terrazzo si accedeva per mezzo di una gradinata ricavata nello spessore della muratura, preferibilmente sul lato a monte, meno esposto alle offese provenienti dal mare. Un buon esempio di questo tipo di torre è rappresentato dalla vicina Torre San Foca.
In particolare, Torre Fiumicelli è costruita con grandi conci ricavati dalle tenere calcareniti plioceniche affioranti diffusamente nell’area. La torre ha una base quadrangolare di 10.5 metri di lato. La torre conserva soltanto il piano terra, occupato da un ambiente voltato a botte, una cisterna, appunto, come suggerisce una canalizzazione presente lungo lo spesso muro perimetrale. Torre Fiumicelli è posta in corrispondenza della linea di riva e presenta il piede al di sotto del livello del mare. La torre è parzialmente ricoperta da un potente cordone dunare oggi in forte erosione.
Il recente crollo ha reso ben visibile la volta a botte che caratterizza quella che un tempo era la cisterna al piano terra.
Nel Comune di Otranto, in località Baia dei Turchi, si ergeva Torre Santo Stefano a 30 metri dal mare e a un’altitudine di 13 metri. Il rudere, quasi del tutto scomparso, si trova all’interno di una proprietà privata.
Vittorio Faglia (1975)
Torre Santo Stefano comunicava un tempo a sud con le fortificazioni di Otranto e a nord con Torre Fiumicelli. Si ergeva molto vicina al mare e dominava la splendida Baia dei Turchi. Purtroppo, quasi del tutto scomparso.
La Storia
L’edificazione della torre risale al 1567, a conferma, in un documento del 9 settembre dello stesso anno, Paduano Baxi di Lecce riceve 100 ducati per la costruzione della Torre di Santo Stefano. Questa, esistente nel 1569, secondo gli Elenchi dei Vicerè, è indicata da molti documenti e in tutta la cartografia antica dal XVI secolo in poi, inizialmente come “Torre del porto di Santo Stefano” e poi “Torre di Santo Stefano”.
Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Il maestro Paduano Baxi di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal Governatore provinciale, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore 100 ducati a buon conto per la costruzione della torre di S. Stefano.”
“Il procuratore della città di Otranto Geronimo Centoarti, il 3 ottobre 1576 riceve dal sindaco di Lecce Gaspare Maremonte un pezzo di artiglieria detto mezzo falconetto, della portata di 2 libbre, lungo 6 palmi e mezzo, del peso di 2 cantare e 68 rotoli e 100 palle di ferro, per armamento della torre.”
“Il sindaco di Specchia dei Galloni Felice Notarpietro, il 7 febbraio 1604 rilascia procura a Giovanni Angelo Vitale U.I.D. per farsi rimborsare dalla R. Camera quanto l’Università ha pagato, per più mesi ed anni, ai cavallari della Torre, come da dichiarazioni del sopra-custode Nicola Suarez e da ricevute degli stessi cavallari.”
La torre risultava in buone condizioni nel 1825, tanto da essere ancora utilizzata nel 1842 dalle Guardie Doganali. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu danneggiata. Il definitivo crollo avvenne alla fine del XX secolo quando la torre, custodita all’interno di un villaggio turistico, fu abbandonata a se stessa senza che nessuno si occupasse dei necessari interventi.
Cronologia:
1569: Esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1575: Torriero Caporale Mandossino Francesco.
1582: Torriero Caporale Palma Cristoforo.
1655: Torriero Caporale De Fuentes Pedro.
1697: Torriero Caporale Giannocculo Francesco Antonio.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in buono stato.
1842: In uso dalle Guardie Doganali.
1945: Risulta danneggiata durante la guerra.
1975: Censita da Vittorio Faglia (foto in alto).
Anni 2000: Cumolo di macerie.
Nell’immagine a sinistra (Vittorio Faglia, 1975) si nota un importante dettaglio dell’interno della torre, con scala e finestrelle feritoie. L’immagine al centro raffigura il rudere prima del crollo definitivo. A destra infine, le rovine della torre come appaiono ai nostri giorni.
La Struttura
La torre fu descritta nel seguente modo nel 1975, quando ancora il rudere era in discrete condizioni: “Rimangono in piedi solo due spigoli contrapposti della torre: monte-costa sud e mare-costa nord. Il primo moncone è il più interessante. Base tronco-piramidale con cordolo marcapiano e corpo parallelepipedo di un piano. Coronamento distrutto. Rimane ben sezionata la muratura a corsi anche interni regolari e una scaletta interna in luce. All’esterno la costruzione è in blocchi regolari di carparo. Due finestrelle originali il lato costa sud” (Vittorio Faglia).
Torre Santo Stefano, a base quadrata, presentava caratteristiche simili alla torri edificate dallo Stato della Chiesa, integrate con quelle delle masserie fortificate dell’entroterra. Quasi del tutto scomparsa e nascosta dalla vegetazione, sono rimaste solo alcune tracce del basamento scarpato e del piano agibile verticale, oltre ad indistinte macerie dalle quali si percepisce la grandezza della torre in origine.
Le successive foto d’epoca sono tratte dal libro di Giovanni Cosi (1989) indicato in bibliografia.
Nel Comune di Otranto, nell’omonima località si erge Torre del Serpe a 200 metri dal mare e a un’altitudine di 35 metri. Il rudere fu recuperato ed è di proprietà comunale.
Prima antico faro, poi utilizzato come torre costiera, Torre del Serpe è un simbolo della Città di Otranto. Comunicava a nord con le fortificazioni della città e a sud con la vicina Torre dell’Orte. Si erge in uno scenario incantevole ancora incontaminato a sud di Otranto.
La Storia
Torre del Serpe si ritiene edificata in epoca romana. Fu un faro ad olio di grande importanza, punto di riferimento per gli innumerevoli navigli che approdavano nel porto dell’antica Hydruntum. Questa sua funzione la vide protagonista per lungo tempo. Nel XIII secolo, l’imperatore Federico II volle restaurare il faro in seguito ad un potenziamento strategico che coinvolse l’intero territorio.
In seguito alla Battaglia di Otranto del 1480 e all’eccidio degli 800 martiri, il Regno iniziò la sua grande opera di costruzione di una ininterrotta serie di torri costiere. Questo progetto, oltre a prevedere la costruzione di molte nuove torri, riteneva che le vecchie torri di epoche precedenti fossero acquisite, restaurate ed integrate nella fitta rete di nuove sentinelle. Torre del Serpe era una di queste. Questo giustifica la sua presenza negli Elenchi del Vicerè del 1569 (indicata col nome di “T. di capo Cocorizzo”).
La torre è indicata solo in parte della cartografia antica. Nel 1648 nella carta di Johannes Janssonius porta il nome di “Torre Cocorizzo”. Il nome Torre del Serpe compare solo nella cartografia più moderna. Il nome, legato alla leggenda verrà spiegato successivamente.
Torre del Serpe è costantemente presente nell’iconografia e nell’immaginario collettivo di Otranto, tanto da essere inclusa nello stemma della città. Fu restaurata intorno al 1997, ma le modalità dello stesso hanno comportato un completo snaturamento della torre.
Torre del Serpe, fotografata da Giuseppe Palumbo nel 1923 e disegnata da Primaldo Coco nel 1930.
Torre del Serpe prima del restauro (1919 e 1990 ca.)
La torre prima e dopo il restauro a confronto.
La Struttura
Della torre alta e cilindrica rimane un imponente rudere che sembra quasi avere la forma e le sembianze di una vela posta al di sopra dell’originario zoccolo scarpato, anch’esso consolidato e in parte ricostruito. La sua porzione muraria superstite, in lato mare, conserva ancora visibili alcune feritoie. Un basamento di questo tipo era necessario per dare una maggior superficie di appoggio alle murature che si ergono in altezza. Il diametro del cilindro misurava circa sei metri.
Leggenda e Curiosità
Lo stemma della Comune di Otranto raffigura una torre intorno alla quale scivola un serpente nero. La torre a cui si fa riferimento è senza dubbio Torre del Serpe.
Lo stemma della Comune di Otranto raffigura una torre intorno alla quale scivola un serpente nero. La torre a cui si fa riferimento è senza dubbio Torre del Serpe.
La parte inferiore dello stemma reca la scritta “Civitas Fidelissima Hydrunti”, la fedelissima città di Otranto. Analizzare la simbologia presente nello scudo non è stato facile e tuttora vi sono pareri discordanti, ma ciò che è certo è il fatto che essa derivi da un accadimento fantastico conservato gelosamente nella memoria popolare e tramandato oralmente nel corso del tempo:
Si narra che la torre che pochi anni prima della presa di Otranto nel 1480, i Saraceni si erano diretti verso la città salentina per saccheggiarla, ma anche in quell’occasione il serpente, avendo bevuto l’olio, aveva spento il faro. I pirati senza punti di riferimento passarono oltre e attaccarono la vicina Brindisi.
Secondo alcuni, la torre, edificata in età imperiale per favorire i traffici via mare, rappresenterebbe la città. La lampada ad olio, invece, raffigurerebbe l’abbondanza dell’entroterra. Il serpe ghiotto di olio ci ricondurrebbe agli scali orientali e italiani che importavano il prezioso nettare.
Antonio Ciatara diede una sua interpretazione in merito alla questione. Egli affermò che il serpente fosse il simbolo della prudenza, riconducibile alla dea Minerva, della quale era il sacro animale. La torre per lui era l’incarnazione del grande coraggio dimostrato dagli otrantini nell’assedio saraceno del 1480. Per Luigi Maggiulli, invece, il faro simboleggerebbe il primo bagliore della fede che, da Otranto, si diffuse poi nel mondo pagano. Difatti, dal mito si evince che questa città fu la prima in Occidente ad accogliere San Pietro.
Altre versioni:
Un’antica leggenda racconta di un serpente che ogni notte saliva dalla scogliera per bere l’olio che teneva accesa la lanterna del faro. Ad un certo punto gli abitanti di Otranto tesero un’imboscata al mostro uccidendolo e la compagna del serpente, saputolo, salì sulla torre, si avvolse attorno e la strinse fino a distruggerla.
Nel Comune di Otranto in Località Baia dell’Orte si erge Torre dell’Orte a 100 metri dal mare e a un’altitudine di 35 metri. Il rudere è in proprietà privata ed è in fase di restauro.
Torre dell’Orte comunicava visivamente a nord con la vicina Torre del Serpe e a sud con Torre Palscìa, oggi scomparsa. Si trova in una splendida posizione, sulla scogliera a sud di Otranto e domina l’omonima baia.
La Storia
Esiste un documento che cita Cesare D’Orlando, Tommaso Vangale, Cola D’Andrano e altri compagni di Otranto, come incaricati della costruzione di Torre dell’Orte. Indicata da alcuni documenti e da quasi tutta la cartografia a partire dal XVII secolo, anche col nome di “Torre dell’Horto”. Nel 1608 risultava ancora in costruzione.
Alcuni studiosi, in primis il Faglia, esprimono qualche dubbio sulla contemporaneità con le altre torri del Regno, sia per la sua atipicità, sia per l’immediata e ingiustificata prossimità a Torre del Serpe. La massiccia struttura infatti, la accomuna di più ad una casamatta. Più plausibile che fungesse da avamposto per la difesa della tormentata città di Otranto, che semplice torre d’avvistamento.
Già alla fine del XVIII secolo, ancora vigilata dall’ultimo torriere, la torre risultava in avanzato stato di degrado. Nel 1826, con la definitiva scomparsa dei pericoli che l’avevano resa necessaria, fu abbandonata per poi essere incorporata all’interno di una masseria di cui fungeva da magazzino. Oggi risulta in proprietà privata e sono in corso dei lavori di restauro.
Foto di Fabio Protopapa (2014).
La Struttura
Torre atipica, è caratterizzata da un basso e massiccio corpo quadrangolare scarpato, di 16 metri per lato e presenta un accesso in lato monte. La torre è interamente costruita in carparo, con spigoli rinforzati da bugne dello stesso materiale.
La completa al piano del terrazzo, un basso parapetto definito da toro continuo. In origine quest’ultimo aveva la funzione di facilitare il piazzamento e la movimentazione delle artiglierie lungo tutto il perimetro.
Torre Palascìa si ergeva sul promontorio più orientale d’Italia, Capo d’Otranto. La sua posizione la rendeva di enorme importanza strategica per l’avvistamento di pericoli provenienti dal mare.
Agibile nel 1569 secondo gli Elenchi del Viceré, era menzionata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Fu indicata inizialmente come “Torre di Capo della Pelliccia”, poi “Torre Pelagia”, “de Palegia”, “di Pelgia”, “Palanda” e infine “Palascìa”.
Giovanni Cosi (1989) riporta un interessante documento: “Francesco Antonio Antonino di Minervino, caporale della torre «Pelagia», in solido con suo padre Agostino, il 12 marzo 1672, prende in affitto una masseria dell’abate Carlo Guarini dei baroni di Poggiardo.”
Scomparso il pericolo turco, la torre fu abbandonata e nel giro di pochi decenni andò in rovina. Nel 1869, fu definitivamente demolita per far posto alla costruzione del rinomato faro. La torre era posta probabilmente più in alto rispetto al faro, forse dove oggi sorge l’edificio dell’Aeronautica Militare.
Della torre non ci sono più tracce, Si può immaginare, per collocazione, che fosse rotonda piccola della serie di Otranto. Comunicava un tempo a sud con Torre Sant’Emiliano e a nord con Torre dell’Orte.
Nel Comune di Otranto, nell’omonima località, si erge Torre Sant’Emiliano a 120 metri dal mare e a un’altitudine di 45 metri. Il rudere è in parte diroccato.
Torre Sant’Emiliano si erge isolata a margine di un alto e ripido sperone roccioso e continua a dominare, da secoli, la vallata e l’insenatura che unisce Porto Badisco con Punta Palascìa. Nel cuore di un contesto paesaggistico ancora incontaminato. Particolarmente amata da tutti coloro che, almeno una volta, hanno intrapreso il cammino per raggiungerla potendo godere di un panorama mozzafiato. Un tempo comunicava visivamente con Torre Porto Badisco a sud e con Torre Palascìa a nord, entrambe oggi scomparse.
La Storia
Torre Sant’Emiliano è indicata dalla cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente con il nome di “Torre S. Milano”, poi “Torre S. Miliano”, infine “Torre S. Emiliano”. Deve il suo nome, molto probabilmente, alla presenza di una cappelletta votiva dedicata al santo situata nelle vicinanze.
Come le altre torri circolari piccole della serie di Otranto, concentrate in questo tratto di costa, Torre Sant’Emiliano risulta essere tra le prime torri costruite, probabilmente in seguito all’eccidio del 1480 per l’urgenza di difendersi dalle minacce turche. La torre risale dunque agli inizi del XVI secolo. Nei fondali circostanti sono stati riconosciuti resti di navigli corsari.
Cronologia:
1569: Risulta esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1582: Torriero Caporale Caliego Ferdinando.
1654: Torriero Caporale De Blasi Francesco.
1697: Torriero Caporale De Blasi Geronimo.
1777: È custodita dagli Invalidi (associazione).
XX secolo: Rudere in abbandono.
Vittorio Faglia (1975)
La Struttura
Le torri circolari piccole della serie di Otranto sono caratterizzate da una base troncononica in pietrame non regolare e da un corpo cilindrico con all’interno un unico ambiente voltato, possedevano una dimensione minima per l’alloggiamento di una vedetta, giustificata da necessità di urgenza ed economia: con un diametro alla base inferiore ai 9 metri.
Il suggestivo rudere di Torre Sant’Emiliano presenta tuttora un alto basamento, lievemente scarpato, oltre ad un consistente residuo del piano agibile, che conserva ancora intatta parte della volta. In lato monte, alla base della torre, vi è un ampio squarcio causato da un cedimento. Leggibile nella parta alta del piano agibile, l’apertura originaria della porta levatoia.
Attualmente la torre è in un cattivo stato di conservazione e necessiterebbe di un’opera di consolidamento e restauro. Preoccupano particolarmente le rotture presenti in lato monte.
La sua esistenza è confermata negli Elenchi del Vicerè nel 1569. La torre è presente in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente con i nomi di “Torre di Porto di Vasco”, “Torre di Porta di Badiscio”, “Torre di Vadisco”, infine “Torre di Badisco”. Essa comunicava con la vicina Torre Sant’Emiliano a nord e con Torre Minervino a sud. É plausibile che essa fosse a base circolare come le sue vicine. Sorgeva a difesa dell’omonimo porto sulla sponda meridionale. La Platea di San Nicola di Casole del 1665 è un importante documento che ci descrive la sua posizione.
Fu bombardata dalle forze navali inglesi all’inizio del XIX secolo durante epoca del Blocco Continentale napoleonico. Venne segnalata in cattivo stato nel 1825. Nel 1842 fu dichiarata “abbandonata perché distrutta dagli inglesi” (De Salve). Di questa torre non esistono più tracce.
Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Villaggio Paradiso, si erge Torre Minervino a 100 metri dal mare e a un’altitudine di 60 metri. Il rudere è stato recuperato.
Da Quarta Caffè, Facebook
Sicuramente tra le torri più pittoresche, in un luogo molto suggestivo, Torre Minervino si erge alta sulla costa rocciosa, facilmente raggiungibile dalla litoranea. La posizione di Torre Minervino permetteva di osservare Torre Porto Badisco (oggi scomparsa) a nord e Torre Specchia la Guardia verso meridione. Assieme, il complesso delle tre torri garantiva una pressoché totale copertura dello spazio costiero. Da Torre Minervino, scrutando verso nord, si vedono anche Torre Sant’Emiliano e punta Palascia.
La Storia
La torre compare negli Elenchi dei Vicerè nel 1569 con il nome di “Torre del Porto Raso”. Successivamente, nella cartografia antica, compare con i nomi di “Torre del Porto Rosso”, “Torre di Porto Fondo”, e a partire dal XVIII secolo, come “Torre del Vento”. Fu indicata infine come “Torre Minervino” ed è con questo nome ad essere conosciuta tuttora.
Non si conoscono epoca e circostanze sulla sua costruizione. Si sa per certo che fu edificata nel XVI secolo, a difesa dell’entroterra dalle insidie provenienti dal mare. É così chiamata perchè fu l‘Universitas di Minervinoa contribuire alle spese per la sua realizzazione.
Giovanni Cosi (1989) riporta un’interessante documento che regala uno spaccato di vita quotidiana: “Cataldo Accoto, caporale della torre di Porto Russo, cioè di Minervino, e Innocenza Calso stipulano il 25 aprile 1572, i capitoli del loro matrimonio, stando nella casa del futuro sposo, sita in Minervino nel luogo detto «La Curte delli Sciausi, o Scelsi, o Scieli”.
Cronologia:
1569: Esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1587: Data per crollata per via di “mala fabbrica”.
1655: Torriero Caporale Guasta Francesco Antonio.
1703: Indicata dal Pacichelli.
1730: Torriero Caporale Aprile Marco.
1777: Custodita da un torriero temporaneo.
1825: Censita in buono stato.
1842: Abbandonata perché diruta.
2009-10 ca: il rudere subisce due interventi di restauro.
Vittorio Faglia (1975), escluso ultimo rigo.
Torre Minervino come appariva prima del suo restauro.
Torre Minervino dopo il primo restauro (2009 circa), sicuramente poco gradito, tanto da essere modificato poco tempo dopo.
Come appare Torre Minervino oggi, dopo gli accurati rifacimenti.
La Struttura
La torre presenta un alto corpo scarpato troncoconico dal diamentro di circa 9 metri alla base. Presenta un modesto cordolo, nel coronamento a scarpa minore. In quest’ultimo, fragili barbacani rifatti vogliono rievocare la presenza di piombatoie controscarpate (De Salve). Vittorio Faglia, nel 1975, già dubita che essi possano essere originari.
La muratura è abbastanza irregolare e alterna pietre piccole a pietre più grandi. Particolarmente modesto lo spazio agibile all’interno della torre stessa, motivo per cui si ritiene che le sentinelle non vi alloggiassero, ma si dessero piuttosto il cambio per i turni.
Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Mastefina, si erge Torre Specchia La Guardia a 290 metri dal mare e a un’altitudine di 115 metri. Il rudere versa in stato di abbandono.
Foto di Luigi Schifano (2017).
Torre Specchia La Guardia è classificata come torre piccola rotonda della serie di Otranto. La stessa tipologia di Torre Minervino e Torre Santa Cesarea, con le quali comunicava rispettivamente a nord e a sud. É sicuramente una tra le torri più difficoltose da raggiungere. Si erge sul ciglio di un altipiano in una zona rurale, ancora incontaminata. La si intravede dal basso, percorrendo la litoranea Santa Cesarea Terme – Otranto.
La Storia
Non si hanno notizie sul periodo della sua edificazione o dell’identità dei costruttori. É menzionata in pochi documenti ma è presente in tutta la cartografia a partire dal XVII secolo. Indicata inizialmente come “Torre di Pecchia della Guardia” poi come “Torre Specchio di Guardia” infine “Specchia di Guardia”.
Cronologia:
1655: Torriero Caporale Rizzo Giulio.
1695: Torriero Caporale Sarcinella Stefano.
1727: Torriero Caporale de Falco Benedetto.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
XX secolo: rudere in stato di abbandono con piano agibile crollato.
Vittorio Faglia (1975)
La Struttura
Il rudere conserva ancora integro e ben conservato l’intero basamento scarpato della torre (diametro di 8 metri), ad eccezione di una piccola rottura in lato mare. Il piano agibile è interamente crollato in circostanze non conosciute. Sulla sua cima vi è cresciuta della vegetazione spontanea.
Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nell’area della Cala dei Balcani, sorge Torre Santa Cesarea o Monte Saracino a 300 metri dal mare e a un’altitudine di 70 metri. La torre è stata restaurata ed è di propietà privata.
Dal sito Internet di Cala dei Balcani
Torre Santa Cesarea o Torre Monte Saracino è una torre rotonda piccola della serie di Otranto. Immersa nella vegetazione di una grande pineta, è ubicata su un costone roccioso della collina che sovrasta l’abitato della città termale salentina. Oggi è custodita all’interno del ristorante Cala dei Balcani. Un tempo comunicava a nord con Torre Specchia la Guardia e a sud con Torre Miggiano e con le fortificazioni di Castro.
La Storia
La Torre Santa Cesarea è indicata nella cartografia e nei documenti antichi quasi sempre come “Torre Monte Saracino” o “Saraceno“. Non si conosce con esattezza l’anno della sua costruzione ma la troviamo citata nella cartografia del XVI secolo.
Come le altre torri a pianta circolare piccole concentrate nella costa alta e scoscesa a sud di Otranto, risultano essere tra le prime costruite, probabilmente in seguito all’eccidio del 1480 per l’urgenza di difendersi dalle minacce turche. Anche la loro piccola dimensione è giustificata da fattori di urgenze ed economici.
La torre svolse la sua funzione di sentinella fino al XVIII Secolo, fu poi acquistata da un esponente della ricca famiglia dei Ciullo. A riguardo, Massimo Ciullo (2016) riporta una dichiarazione resa dinanzi al notaio Panico nel 1721 dalla quale si apprende “che Giulio Cesare Ciullo di questo Casale di Vitigliano l’anni passati e propriamente nel principio di decembre dell’anno millesettecentodiecennove comprò dalla Reg.a Corte la torre marittima detta di Montesaraceno in Castro, per la quale compra spese, e rimese in Napoli ducati novanta pagati al Magnifico Dottore di Legge Carlo Panzera”.
É circondata da fitta vegetazione boschiva costituita da piante ad alto e medio fusto di pini, lecci, olivastri ed un sottobosco con essenze tipiche della macchia mediterranea la cui piantumazione risale ai primi decenni del secolo passato. Un tempo, quando la collina era brulla, la torre svettava sul panorama della città ed era visibile da qualunque posto di osservazione a riprova della sua originaria destinazione di torre di avvistamento: ne sono chiara documentazione le cartoline d’epoca e le foto panoramiche eseguite da molti turisti all’inizio del secolo ed ancora esistenti.
Gli interventi di recupero, completati nel 2013 dagli attuali proprietari, hanno consentito la salvaguardia della torre, nella sua configurazione originaria quasi completa, e dei due locali circostanti,i quali, nell’insieme, hanno ripristinato l’antico complesso architettonico, testimonianza molto rilevante per la storia di questo lembo di territorio salentino.
Foto d’epoca tratte dalla pagina Facebook: Fotografando Lecce e il Salento.
Torre Santa Cesarea prima e dopo il restauro a confronto.
La torre nel 1989 come vista da Giovanni Cosi nel suo censimento:
La Struttura
Con una base circolare di circa nove metri di diametro la torre si eleva a corpo troncoconico per un’altezza di circa 10 metri, modificata dai diversi crolli del coronamento e dei paramenti dal lato terra che l’hanno segnata nella sua configurazione originaria. Il corpo murario, costituito da pietre informi legate da una malta a base di bolo e calce con frammenti di sabbia calcarea e tegole frantumate, si erge come sentinella che occupa ancora la sua posizione nonostante gli assalti degli uomini e del tempo. É stata ricostruita una consistente porzione del piano agibile e un pezzo del coronamento. Sono visibili, in lato mare, una finestrella e, in lato monte, parte della porta levatoia, anch’essa ricostruita.
Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Porto Miggiano, sorge l’omonima torre a 10 metri dal mare e a un’altitudine di 14 metri. La torre è stata restaurata.
Dalla pagina Facebook di Quarta Caffè
Torre Miggiano, nei pressi dell’omonimo porticciolo, è una grande torre a base circolare che un tempo comunicava sud con le fortificazioni di Castro e a nord con Torre Santa Cesarea.
La Storia
Torre Miggiano, fu costruita attorno ai primi del ‘500. Non si conosce con esattezza l’anno di realizzazione della torre, ma viene riportata nella cartografia antica a partire dal XVII secolo col nome di “Torre Porto Mingrano”. Nella cartografia successiva prenderà anche il nome dialettale “Misciano”, infine “Miggiano”.
Qualche notizia più certa è riscontrabile dai documenti in relazione ai militari ivi stanziati, una prima documentazione registra che nel 1583 “vi era il torriero caporale Arico Consalvo” con un drappello di soldati per salvaguardare l’incolumità dei cavatori che lavoravano nelle vicine cave di carparo. Nonostante ciò, la presenza delle cave non può essere confermata.
La torre, per dimensioni, struttura e artiglieria, era sicuramente più adatta alla difesa, che alla vedetta (De Salve). Secondo il Faglia però, data la sua vulnerabile posizione, essa poteva anche essere abbandonata, poiché Torre Santa Cesarea a nord e le fortificazioni di Castro a sud, potevano scorgere lo stesso mare da più in alto.
Come ben visibile dalle fotografie selezionate, nel XX secolo, l’imponente rudere versava in condizioni drammatiche. Un accurato restauro dei primi anni Novanta ne restituisce l’antico splendore e la torre giunge fino ai nostri giorni riqualificata e quasi integra.
Cronologia:
1583: Torriero Caporale Arico Consalvo.
1655: Torriero Caporale Tronci Cesare.
1669: Torriero Caporale Cuorlo Leonardo.
1730: Torriero Caporale Nusso Giuseppe.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1930 ca. – 1975: Rudere in stato di abbandono (fotografie di Palumbo e Faglia).
1990 ca: Restauro.
La facciata vista mare, prima e dopo il restauro. 1975 e 2020 a confronto.
Le seguenti immagini, scattate rispettivamente negli anni ’30 (Giuseppe Palumbo), anni ’70 (Vittorio Faglia) e nel 2020, evidenziano il progressivo deterioramento in cui andava incontro la torre. A circa 40 anni di distanza dal primo scatto, nella seconda fotografia si notano ulteriori peggioramenti. Infine, l’importante restauro che ha salvato la torre.
La Struttura
La struttura si presenta a basamento scarpato troncoconico (diametro di 14 m circa) realizzata in muratura con pietre irregolari allineati in corsi orizzontali e rinforzate da pilastri di spina posti a intervalli cadenzati secondo una tecnica muraria di ascendenza medievale che in Terra d’Otranto dura fino alle soglie del XIX secolo.
Nel paramento si aprono tre finestre in prossimità del cordolo. Oltre questo, interrotto nei tratti delle bocche di gittata, in un ampio tratto del piano agibile verticale, si sviluppano i barbacani delle piombatoie (molto distanziate e anomale) a spessore di muro. Il coronamento, leggermente controscarpato, ospita, tra due altri cordoli, una serie di troniere. In seguito al restauro, in lato monte è stato tenuto a vista un tratto del piano agibile franato, che ci permette di apprezzare altri dettagli dell’interno della costruzione (De Salve), come ad esempio, tracce della volta.
Torre Miggiano vista da Giovanni Cosi nel 1989:
Torre Miggiano oggi (immagini tratte dal sito di Camping Miggiano e da Santa Cesarea Terme, Instagram):
Curiosità
Un particolare decorativo, dipinto su di uno dei lati della base di appoggio della statua della Madonna del Rosario di Pompei, sita nel Santuario di Castro Marina, risalente al 1897, raffigura una torre che con molta probabilità è proprio Torre Miggiano. Raffigurata ovviamente con spunto artistico e creativo, non necessariamente realistica.
Nel Comune di Castro, nella località di Castro Marina, si erge Torre Diso a 145 metri dal mare e a un’altitudine di circa 40 metri. Il rudere è quasi interamente crollato e in proprietà privata.
Giulia Fersini (2021)
Torre Diso comunicava visivamente con Torre Capo Lupo a sud e con le fortificazioni di Castro a nord. Il rudere si trova in un bellissimo contesto, anche se ormai fortemente urbanizzato, tanto da “nascondersi” per via della folta vegetazione e delle abitazioni annesse ad esso. Per questo motivo, Torre Diso sfugge anche ad alcune pubblicazioni, trascorrendo un periodo di dimenticanza ed abbandono. É presente in gran parte della cartografia antica ma in pochi documenti.
La Storia
Nella cartografia antica, Torre Diso subisce alcune variazioni di nome: “Torre della Casa”, “Torre della Cala” o “della Cala del Cubo”, dunque “Torre de Diso”. Nelle antiche pubblicazioni del XVII secolo, Scipione Mazzella (1601) ed Enrico Bacco Alemanno (1629) la indicano col nome di “Torre della Casa del Rio”.
Nel 1537 e nel 1573, la Città di Castro, al tempo Contea e Diocesi, fu assediata, brutalmente saccheggiata e distrutta, in entrambe le occasioni, dalle armate turche. Da quel momento in poi, passarono secoli prima che Castro potesse riprendersi. “I pochi abitanti superstiti vissero tra le rovine delle antiche fortezze, nel ricordo soltanto della passata grandezza” (Boccadamo). A conferma della gravità del momento storico, il Regno di Napoli decise di aumentare il numero delle torri costiere presenti sul territorio. Queste nuove torri, cosiddette tipiche del Regno, furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-1575, in seguito all’Orden General di Parafan De Ribera. Torre Diso era una di queste.
In un documento del 1580, riportato dal Cosi (1989) e dal De Salve (2016), risulta che, “il maestro Cesare Schero di Lecce, il 2 giugno 1580 rilascia procura al figlio Pietro Angelo per riscuotere presso la generale Tesoreria di questo Regno, quanto gli è dovuto per le fabbriche da lui eseguite nella città di Otranto ed in altri luoghi e segnatamente nella torre sita nel territorio di Diso”.
Il Cosi (1989) e Boccadamo (1994) riportano un ulteriore documento che narra una peculiare vicenda. “Lo Spagnolo Gregorio Martines, nominato caporale della Torre di Diso alias della Cala del Cubo con lettera del 25 agosto 1581 dell’allora Viceré Iuan de Zuniga, il 16 agosto 1586 rinuncia al caporalato a favore del connazionale Francesco Rois. Il motivo delle dimissioni proviene dall’odio e malevolenza di alcune persone che, istigate da animo diabolico, gli spararono un colpo di archibugio mentre andava a ritirare il suo stipendio nel Casale di Sanarica e poco mancò che non venisse ucciso; e, permanendo in codesto esercizio nel quale ha contratto capitali inimicizie, rischia la vita.”
Vittorio Faglia (1975) nel suo grande censimento delle torri costiere di Terra d’Otranto, cita l’esistenza di un documento risalente al 1777, secondo il quale la torre fosse custodita da un torriere interino che chiedeva un risarcimento. Questo presuppone che la torre svolgesse ancora la sua funzione sul finire del XVIII Secolo. Le notizie successive riguardo Torre Diso appaiono spesso confuse. La torre viene prima riportata distrutta all’inizio del XIX Secolo dalle truppe navali inglesi durante il periodo del Blocco Continentale napoleonico; viene poi censita in buone condizioni nel 1825 (lo confermano il Faglia e De Salve). Ne fece una ricognizione il Faglia nel suo censimento del 1975, ma negli anni ’80 il Cosi non fu in grado di individuarla e con il passare degli anni passò inosservata anche in successive pubblicazioni come quella di Ferrara del 2009.
La torre è quasi interamente crollata. Secondo il Faglia fu danneggiata verosimilmente dagli uomini (per le navi inglesi essa era abbastanza fuori tiro). Non si sa per certo cosa abbia causato tale deterioramento. In quale percentuale lo sfacelo sia dovuto all’incompetenza del progettista, alla disonestà dell’appaltatore (fenomeno esistente anche allora ed ampiamente provato per più di una costruzione) o al vandalismo e all’incuria dei posteri, è molto difficile determinarlo.
Nel 2020, ci sono stati degli sforzi da parte di alcuni cittadini, affinché l’amministrazione comunale si prendesse carico del rudere, in ottica di una possibile riqualifica. Potrebbero infatti esserci presto nuovi risvolti.
Nella prima fotografia del 1976: la torre vista dalla strada con il lato monte scomparso in primo piano, rimpiazzato da un muretto a secco; apprezzabile il lato mare che si presentava all’epoca molto più alto ma crollò negli anni ’90.
Francesco Pispico (1976)Vittorio Boccadamo (1994)Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
Torre Diso appartiene alla tipologia di torri tipiche del Regno, a base quadrata e corpo scarpato. Non si è in grado di ipotizzare se la torre avesse avuto tre caditoie per lato o nessuna caditoia, come la vicina Torre del Sasso. Questa tipologia di torri, come detto, risale al periodo dell’Orden General di Perafan de Ribera (1563). La sua struttura è ben distinguibile dalle poche fotografie risalenti alla seconda metà del ‘900. L’attuale rudere risulta ancor di più deteriorato soprattutto nel suo lato-mare che fino agli anni ‘90 poteva contare diversi metri di altezza in più. Il rudere è stato a lungo minacciato dalla presenza di folta vegetazione, che con rami e radici rischiava di provocare danni irrimediabili, vista la situazione già critica.
Nel 1975, il Faglia riuscì ad individuare addirittura alcune caratteristiche della struttura interna della torre, oggi non più distinguibili. Scrisse infatti “all’interno si legge un inizio di volta e risega di appoggio (cisterna o locale sotterraneo)”. Torre Diso come ogni torre costiera della sua tipologia presentava una cisterna al piano terra ed un vano agibile al primo piano. Fu costruita con pietre irregolari ricavate dall’ambiente circostante e molto probabilmente nei suoi quattro angoli vi erano pietre regolari e squadrate come nella vicina Torre del Sasso, nel Comune di Tricase.
Torre Diso come appariva in alcuni scatti d’epoca.
Il rudere in una foto del 2009 mostra gravi segni di peggioramento. Si nota infatti che, a differenza delle immagini precedenti, la parete lato-mare è crollata, infatti non supera più in altezza il cavo della corrente elettrica.
Nel Comune di Diso, nella frazione di Marittima, si erge Torre Capo Lupo a 450 metri dal mare e a un’altitudine di 105 metri. Il rudere è all’interno di una proprietà privata.
Giulia Fersini (2020).
La torre fu indicata nella cartografia antica inizialmente col nome di “Torre della Cala del Lupo”. Successivamente, fu conosciuta anche come “Torre di Marittima” o semplicemente “Torre Lupo”. La più a sud tra le torri rotonde piccole della serie di Otranto, Torre Capo Lupo comunicava inizialmente solo con le fortificazioni di Castro, ma in seguito comunicò anche con Torre Diso a nord e Torre Porto di Ripa a sud, costruite più tardi.
La torre sorge isolata su una notevole altura, in un luogo incantevole e quasi incontaminato. Essa domina l’intero tratto di costa rocciosa che va dalla baia di Castro fino a Marina di Andrano.
La Storia
Non esistono notizie certe riguardo l’edificazione di Torre Capo Lupo. Si pensa che la costruzione della torre risalga alla fine del XV oppure agli inizi del XVI Secolo, pochi anni dopo la battaglia di Otranto. Questo farebbe di Torre Capo Lupo una delle più antiche della zona.
La torre compare in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Esistono delle testimonianze storiche riportate da Vittorio Faglia (1978), Giovanni Cosi (1989) e Vittorio Boccadamo (1983) grazie alle quali si può risalire ai nomi di alcuni dei caporali che hanno prestato servizio presso la torre: Giovanni Urso fino al 1617, Leonardo Forte nel 1672, Giuseppe Danesi nel 1762. Successivamente, il Faglia (1978) accenna ad un torriero interino che, nel 1777, aveva bisogno di risarcimenti. Pochi anni dopo, come tutte le torri costiere, essa fu dismessa.
Esistono poi testimonianze confuse e contrastanti, per le quali la torre nel 1800 risultava distrutta dalle flotte navali inglesi durante il Blocco Continentale napoleonico, nel 1825 invece, si rivelava ancora in buone condizioni. In una successiva ricognizione del 1842, Torre Capo Lupo è abbandonata perché “angusta e poco diruta”.
Un tempo Torre Capo Lupo sorvegliava le sorgenti d’acqua dolce che si trovano all’interno di Seno dell’Acquaviva, dove turchi e corsari facevano spesso rifornimento per proseguire i loro nefasti viaggi.
Non abbiamo trovato certezze per quanto riguarda l’origine del nome della torre. Boccadamo (1983) ritiene che il nome “Lupo” non faccia riferimento all’animale, forse mai stato presente in zona. Piuttosto, Lupo poteva essere il nome del costruttore, o forse, l’originario proprietario della collina su cui essa sorge, tenuto conto che il nome di persona Lupo era abbastanza comune nel Cinquecento.
Oggi la torre è di proprietà privata e in stato di abbandono.
Giulia Fersini (2020)
Torre Capo Lupo vista da Giovanni Cosi nel 1989
La Struttura
Torre Capo Lupo appartiene alla tipologia di torri “a pianta circolare piccole della serie di Otranto.” Queste torri risultano essere tra le prime costruite, probabilmente in seguito all’eccidio del 1480 a Otranto, per l’urgenza di difendersi dalle minacce turche. In generale esse sono composte da una base troncoconica in pietrame e da un corpo cilindrico con all’interno un unico ambiente voltato, possedevano una dimensione minima per l’alloggiamento di una vedetta. La loro struttura è giustificata principalmente da necessità di urgenza ed economia.
Torre Capo Lupo si presenta ai nostri giorni come un’affascinante rudere. Il suo basamento di forma troncoconica integro, privo di aperture, ha diametro di circa 9 metri e un’altezza di 7,20. A divisione del basamento ed il piano agibile vi è un ricco cordolo con fascia orizzontale in pietra squadrata. Il piano agibile, che è la parte della torre più danneggiata dai crolli, consiste in un corpo cilindrico che si sviluppa verticalmente. Ancora visibile all’interno, l’attacco della volta del locale quadrato in conci regolari e lavorati ad angolo nello spigolo.
Nel Comune di Andrano, nella località di Marina di Andrano, si erge Torre Porto di Ripa a 50 metri dal mare, ad un’altitudine di 12 metri. Rudere recuperato.
Giulia Fersini (2020)
Torre Porto di Ripa, conosciuta più recentemente con il nome di “Torre di Andrano”, comunicava visivamente a sud con Torre del Sasso e a nord con Torre Capo Lupo. É situata nelle vicinanze della celebre Grotta Verde di Marina di Andrano, in un tratto di costa bassa e rocciosa.
La Storia
Sicuramente la torre era già in uso nel 1569, essa compare in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo.
Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Lo spagnolo Andrea de Leon, nominato caporale della torre Ripa, sita nella marina di Andrano, dall’allora Vicere Parafan de Ribera, il 21 settembre 1577 cede l’incarico alla R. Corte, non potendo più attendere al servizio di guardia, essendo da due mesi ammalato nell’ospedale dello Spirito Santo di Lecce.”
“Lo spagnolo Consalvo Martines, caporale della torre della Ripa, il 27 maggio 1594, acquista un pezzo di terra da Giovanni Camillo Saraceno, barone di Andrano.”
“Ancora il caporale Consalvo Martines, il 9 ottobre 1595, compra da Nicola Cantoro di Andrano una casa terranea con orto dietro, sita in Andrano alla via della Porta piccola e confinante con i beni dello stesso compratore, per 14 ducati e mezzo.”
“Dall’atto del 29 luglio 1602, in cui è testimone Alonso Martines figlio di Consalvo, si apprende che questi è ancora caporale della Torre.”
“Leonardo Rizzo di Andrano, caporale della torre di Andrano ossia di Portoripa, dopo aver custodito per anni la suddetta torre, il 1° maggio 1661, rinuncia all’incarico in potere della R. Corte perché provveda alla sostituzione.”
Nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Le sue dimensioni e la sua posizione molto esposta, come spiega il Faglia, la caratterizzano come probabile avamposto di difesa. Purtroppo, non abbiamo notizie sulle vicende che hanno portato alla sua semi-distruzione.
Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
Della grande torre troncoconica a base circolare rimane oggi solo il basamento scarpato fino all’altezza del piano agibile. Oggi restaurato, il primo piano conserva ancora all’interno la cisterna a cupola. Come ben visibile nella fotografia tratta dal libro del Faglia (in basso), negli anni ’70, era possibile accedere alla cisterna tramite una rottura nel paramento della torre, oggi definitivamente riparata. La torre, di diametro di 11 metri, è stata realizzata con pietrame irregolare ma in corsi orizzontali, tra dime verticali in tufo a conci regolari a quattro metri circa di distacco.
Torre Porto di Ripa prima e dopo il suo restauro. Anni 1975 e 2020a confronto(foto di Vittorio Faglia e Giulia Fersini).
Nel Comune di Tricase, in località Serra del Mito, si erge Torre del Sasso a 400 metri dal mare e a un’altitudine di circa 110 metri. Il maestoso rudere, in parte crollato, versa in stato di abbandono.
Foto di Daniele Met Photography
Torre del Sasso è un imponente rudere, parzialmente crollato, che si erge isolato in una posizione mozzafiato, nella Serra del Mito, su di un alta roccia da cui prende il nome. La torre comunicava visivamente con Torre Porto di Ripa a nord e con Torre Porto di Tricase a sud. Inoltre, da questa strategica posizione è possibile osservare Torre Palane e Torre Nasparo, entrambe a sud.
La Storia
La vediamo citata in alcuni atti di fine XVI secolo dove sono annotati i compensi per i servizi a torrieri e cavallari. La stessa, inoltre, è presente in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica sempre con il nome “Torre del Sasso” (De Salve).
Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti tratti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“L’Università di Tricase, il 4 maggio 1584 nomina due procuratori per riscuotere presso il Percettore quanto da essa già pagato, per primi quattro mesi dell’anno, al caporale ed ai soci della torre Sasso sita nel territorio dell’Abbazia de lo Mito.”
“Lo spagnolo Andrea Dos, caporale della torre del Sasso, Matteo Coti di Tricase e Lupo Antonio Mellacca di Caprarica del Capo, soci e custodi, il 10 giugno 1588 ricevono dal cassiere dell’Università, il notaio Micetto Micetti, il salario per i primi quattro mesi dell’anno.”
“Il caporale della torre Francesco Cesario ed il custode Didaco Salcedo il 10 marzo 1608 costituiscono un procuratore per riscuotere dal Percettore il salario dei mesi passati.”
“Capitoli del contraendo matrimonio tra il caporale Francesco Cesario e Margherita Martines vengono stipulati il 26 febbraio 1609.”
“Il sindaco di Tricase Antonio Simeone, il 6 maggio 1614, rilascia procura a Giovanni Dana per il prelievo della polvere (per la quale l’Università viene tassata) per munizione della Torre.”
“Il sindaco di Tricase Giulio Cesare Micetto il 16 settembre 1618 rilascia procura a Gaspare Brizio per farsi rimborsare dal Percettore 13 ducati e mezzo che l’Università ha già pagato al caporale Francesco Cesario ed al custode Angelo Zezza, per i tre mesi trascorsi.”
Attualmente di proprietà demaniale, c’è stato negli ultimi anni un fortissimo interesse da parte di alcuni cittadini che si sono attivati per la salvaguardia di questo patrimonio, tuttora in grave rischio di crollo. In particolare, da sottolineare il contributo del gruppo ASD MTB Tricase.
Nell’ottobre 2021 finalmente, come riportato anche dalla testata locale il Gallo, è stato finanziato il progetto di puntellamento di Torre del Sasso, un importantissimo primo intervento che permetterà di mettere in sicurezza e conservare la torre nello stato attuale in attesa di un progetto di recupero definitivo.
Aggiornamenti da BelPaese, 23 settembre 2022:
Nel maggio 2023 sono stati avviati i lavori di puntellamento e messa in sicurezza della torre, nell’attesa di fondi per un vero e proprio restauro. Ringraziamo l’Associazione ASD MTB Tricase, da sempre attenta e attiva in merito alla salvaguardia della torre per la seguente foto.
Cronologia:
1583: Torriero Caporale Garcia Domingo.
1592: Torriero Caporale Fabiano Agostino.
1609: Torriero Caporale Cesario Francesco.
1727: Torriero Caporale Pisano Fortunato
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in cattive condizioni.
1842 Abbandonata perché “in parte diruta”.
1975: Fotografia di Vittorio Faglia (in basso).
1990 Circa: fotografia a colori (in basso).
Vittorio Faglia (1978)
La Struttura
Mettendo a confronto queste due foto è evidente il grave crollo che ha interessato la facciata sud della torre. La foto sulla sinistra (di ASD MTB Tricase) risale anni ’80.
Le seguenti immagini (a sinistra, foto di Davide Marra e a destra TorredelSasso, Instagram) mettono in luce alcuni dettagli architettonici.
Rispetto alle vecchie fotografie da noi riportate, oggi rileviamo un’ulteriore declino. Difatti, metà della torre è interamente crollata. Nonostante ciò, il suggestivo rudere custodisce immutato il suo fascino antico. Torre del Sasso è una torre con base troncopiramidale lievemente scarpata, sulla quale si erge in verticale il corpo parallelepipedo del piano agibile. Nella parte inferiore vi era la cisterna. Nella parte agibile, da alcune finestre, i torrieri scrutavano le coste. Rimane ancora intatta una di queste finestre nella parte di torre ancora superstite, quella che guarda a nord, verso Castro. Il lato che guarda sud invece è ormai ridotto in macerie.
É tuttora possibile ammirare alcuni particolari dell’interno del piano agibile che presentava un unico ambiente con volta a botte semplice. Non vi sono segni leggibili di caditoie e la torre è priva di toro marcapiano. Probabilemte, secondo il Faglia, ci fu in tempi lontani, un rifacimento dei paramenti esterni.
Il corpo parallelepipedo, su base troncopiramidale, presenta spigoli in pietra a conci regolari mentre le pareti sono invece composte da pietre irregolari. É visibile il colatoio del tetto che collegava lo scarico dell’acqua alla cisterna, oggi scoperta e visibile dal piano agibile.
A sinistra, la torre ancora “integra” come si presentava negli anni ’70, tratta dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia). A destra, un’ulteriore fotografia di un autore sconosciuto.
A sinistra, un dettaglio del colatoio come visto dal Faglia neglia anni ’70. Nella foto a destra, un dettaglio della cisterna (foto di Marco Rizzo, 2020).
Torre del Sasso vista da Giovanni Cosi nel 1989
Torre del Sasso oggi
Foto di Daniele Met PhotographyFoto di Daniele Met Photography
Torre Porto di Tricase, come spiega il De Salve, era già esistente nel 1569 secondo gli Elenchi dei Viceré. Era menzionata in molti documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Come riportato in un atto del 18 settembre 1610, la torre originaria dovette essere ricostruita secondo il disegno dell’ingegnere Fontana dai fratelli Sansone ed Ercole Pugliese. Essi dovettero ricostruirla perchè la prima edificazione era probabilmente inutilizzabile.
Questa torre fu definitivamente distrutta dalle forze navali inglesi agli inizi del XIX secolo durante l’epoca del Blocco Continentale Napoleonico. La torre fu distrutta nel luglio 1810 dalla fregata inglese Leonidas, di ritorno dall’assedio dell’isola di S. Maura in Grecia. La torre fu abbattuta, la guardia uccisa, ed il cannone inchiodato per renderlo inservibile. Questo rimase sulle macerie fino ai primi anni del ‘900, quando poi fu finalmente rimosso. Della torre, in assenza di ogni sua traccia, risulta difficile avanzare ipotesi sulla tipologia della sua struttura.
Comunicava visivamente a sud con Torre Palane e a nord con Torre del Sasso. Sorgeva a nord dell’insenatura del porto di Tricase, sulla punta denominata Pizzo Cannone, chiamata così perchè al posto della torre fu posizionato il cannone, successivamente rimosso.
Nel Comune di Tricase, nella località di Marina Serra, si erge Torre Palane a pochi metri dal mare e a un’altitudine di 10 metri. La torre è stata recentemente restaurata.
Da Wikipedia.
Presente nella cartografia antica con diversi nomi, Torre Palane fu indicata inizialmente come “Torre di Punta di Plano”, “Torre Piana”, “Torre di Palena”, “Torre di Plano”, “Torre de Plane” e anche “Torre di Pallana”.
Comunicava visivamente a sud con Torre Nasparo e a nord con Torre Porto di Tricase (non più esistente). Costruita a pochi metri dalla rinomata “piscina naturale”, l’incantevole insenatura di Marina Serra.
La Storia
Già esistente nel 1569 secondo gli elenchi dei Vicerè, è inoltre presente in altri documenti e in tutta la cartografia antica con diversi nomi a partire dal XVI secolo. Risultava in cattive condizioni nel 1825 e abbandonata nel 1842 (De Salve).
Giovanni Cosi (1989) riporta alcuni documenti dall’Archivio di Stato di Napoli nei quali vengono riportate prevalentemente le paghe dei torrieri e caporali:
“L’Università di Tricase, il 4 maggio 1584, nomina due procuratori leccesi per riscuotere dal Percettore, quanto da essa già pagato, per i primi quattro mesi dell’anno, al caporale ed ai soci della Plana.”
“Francesco Barragane, caporale e Pietro Barracane, socio della torre detta Plane in territorio di Tricase, il 10 giugno 1588 ricevono dall’Università di Tricase, rispettivamente 20 ducati e 12 ducati e mezzo per i primi cinque mesi dell’anno.”
“Giovanni Battista Micetto, caporale e Lupo Antonio Micetto, socio e custode ordinario della Torre, il 5 gennaio 1607 nominano un procuratore per riscuotere il salario del mese di dicembre scorso: ducati 4 per il caporale e ducati 2,5 per il socio.”
“Il sindaco di Tricase Antonio Simeone, il 16 maggio 1614 incarica un procuratore dell’Università di prelevare la polvere per munizione della Torre.”
“Il sindaco di Tricase Giulio Cesare Micetto, il 16 settembre 1618 rilascia procura a Gaspare Brizio per ricevere dal Percettore, in base al mandato di Antonio de Mendoza capitano generale in questa provincia, il rimborso di 13 ducati che l’Università ha già pagato al caporale della torre Plane Giovanni Battista Micetto ed al custode Florio Arseni, per il loro salario dei mesi di giugno-agosto.”
Recentemente è stata restaurata ed è di proprietà demaniale.
Da Rete Comuni Italiani.
La Struttura
Torre Palane è una torre quadrangolare, una struttura simile a quella delle torri delle masserie fortificate diffuse nell’entroterra. Dunque molto atipica in confronto alle altre torri costiere. Ha un basamento leggermente scarpato, con accesso recente in lato nord. Oltre il toro marcapiano, si sviluppa verticale il corpo del piano agibile fino al coronamento, sostenuto da beccatelli, e con una sopraelevazione a monte (probabilmente più recente). É presente una piombatoia che proteggeva la porta levatoia d’accesso (oggi una finestra).
Nel Comune di Tiggiano, a ridosso della litoranea Otranto-Leuca, si erge Torre Nasparo a 300 metri dal mare e a un’altitudine di 130 metri. Essa è diroccata nella parte superiore.
Giulia Fersini (2020)
Nel corso dei secoli ha assunto diverse denominazioni: “Torre della cala di Rizzano”, “Torre di Tiggiano”, “de Lissiano”, “Figiano”, “Lizzano”, “Naspade”, “Naspre”, “Naspere”, “Torre di Naspre”, “Torre de Naspre”, “Naspara” ed infine “Nasparo”. La torre, immersa in uno splendido paesaggio e sfiorata dalla litoranea Otranto-Leuca, comunicava visivamente con torre Palane a nord e torre Specchia Grande a sud.
La Storia
La torre di Tiggiano viene segnalata da tutte le cartografie e da molti documenti esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, ed è proprio da questi che si ricava la notizia della sua costruzione, avvenuta per ordine del Duca di Alcalà nel 1565; successivamente viene pure menzionata nel 1569 nell’elenco delle Torri della Regia Corte. I governanti spagnoli fecero pesare l’onere del mantenimento delle torri direttamente sulle popolazioni, tramite la riscossione di tasse, le cosiddette “impositioni”, che ciascun “fuoco” doveva pagare alla Regia Corte. Per quanto riguarda Torre Nasparo, in un libro dell’abate Pacichelli del 1877, sappiamo che si doveva pagare al Bargello ogni mese “grana due e cavalli diege”.
Da uno dei documenti citati si sa che il primo torriero della torre Nasparo, nominato nel 1583 fu il caporale spagnolo Gio. Martinez. Nel 1585 viene fatta una stima della torre da parte dei funzionari spagnoli. Nel 1595 risulta essere terriero Ludovico Ernandez, nel 1609 il caporale Gio. Garcia.
Di seguito alcuni di questi documenti riportati da Giovanni Cosi (1989):
“L’Università di Caprarica del Capo, il 13 novembre 1595 rilascia procura a Pietro Agello di Lecce ed a Francesco Antonio Vincenti di Tricase, perché la difendano nella causa che ha presso la R. Udienza contro l’Università di Lucugnano, circa il pagamento da effettuarsi ai custodi della torre detta di Naspre, sita nel territorio di Tiggiano.”
“Lupo Antonio Luca di Tiggiano, inquisito dalla Corte di Tricase, per stupro commesso in persona di Palma Garzia figlia del caporale della Torre, lo spagnolo Domenico, e di Lucrezia de Duigna, il 22 dicembre 1602 viene condannato a risarcire il danno arrecato.”
Dopo aver svolto la sua funzione di vedetta per la quale venne costruita, nel 1777, Torre Nasparo fu affidata alla custodia degli Invalidi, un’associazione assistenziale, ma la torre subì dei crolli e divenne presto inabitabile.
Attualmente la torre è di proprietà demaniale, ma concessa in gestione al Comune di Tiggiano.
Vittorio Faglia (1975)
La Struttura
Torre Nasparo si presenta oggi come un notevole rudere, si può ancora ammirare gran parte del basamento scarpato fino al cordolo e sopra di questo, un grande frammento del corpo cilindrico del piano agibile. Il rudere è stato ben recuperato e consolidato da alcuni interventi risalenti agli ultimi decenni del XX secolo.
Torre Nasparo ha una base troncoconica, il cui diametro è di 11 metri, dal cordolo in su assume una forma cilindrica. Fu costruita con pietre non squadrate e con dime verticali in conci regolari. Dal cordolo in su esistono conci regolari esterni, almeno per la parte ancora esistente. Secondo Vittorio Faglia, i conci regolari esterni nel frammento superstite più alto potrebbero essere il frutto di un vecchio restauro. Dal piano agibile si può intravedere all’interno una cisterna di circa 4 x 4 metri, con una copertura a botte e le tracce di un colatoio scavato all’interno.
Nel Comune di Corsano, nell’omonima località, si erge Torre Specchia a circa 330 metri dal mare e a un’altitudine di 130 metri. Recentemente restaurata, essa è in concessione al Comune.
Giulia Fersini (2020)
La torre si erge su di un bellissimo spazio panoramico, in un ambiente ancora rurale, su di un alto promontorio, davanti ad una serie di terrazzamenti con uliveti e macchia mediterranea. Da qui partono gli antichi sentieri della Via del Sale. La torre comunicava visivamente a sud con Torre del Ricco e a nord con Torre Nasparo.
La Storia
Torre Specchia Grande fu edificata dall’Università di Corsano, probabilmente nel 1563. Segnalata nella cartografia antica a partire dal XVII secolo, altri documenti ancora ne confermano la sua presenza come riporta il De Salve. Uno di questi, datato il 21 marzo 1584, riferisce di “217 ducati che l’Università ha speso negli anni scorsi nella fabbrica fatta nella torre detta di Specchia Grande”. La somma, interamente a carico della Regia Corte, venne poi recuperata dalla stessa Università grazie all’interessamento di Ortensio Tarantino di Poggiardo, che per questo impegno ricevette 60 ducati, rilasciando quietanza.
Da alcuni documenti rinvenuti dallo studioso Giovanni Cosi (1989) e riportati dalla Caterina Ferrara (2009), la notte del 10 novembre 1626 il caporale Angelo Licchetta, in servizio presso la torre, venne ucciso da un fulmine. La torre risultava ancora in uso dalla guardia doganale nel 1842.
Di fianco, quasi addossata alla torre, è presente una ex caserma militare, anch’essa per molto tempo abbandonata ma oggi recuperata. L’ex caserma fu utilizzata come deposito e avamposto bellico, negli anni della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Esiste una comunicazione, riportata dal De Salve, del 23 gennaio 1925 dell’Ufficio del Registro che sottolinea l’importanza strategica della torre, “servendo la sommità della torre come segnale geodetico della Carta dello Stato Maggiore dell’Esercito”.
Grazie al progetto del federalismo culturale da parte dell’Agenzia del Demanio, Torre Specchia Grande è oggi un centro di informazione e accoglienza turistica, dove avvengono laboratori di educazione ambientale per le scuole, eventi culturali, musicali, artistici di ogni tipo, mostre ed altre iniziative come, ad esempio, lezioni di cucina anche a livello internazionale. Tutto questo, nel 2016, ha valorizzato il complesso immobiliare costituito dalla torre costiera e dall’ex caserma militare risalente ai primi anni del Novecento. Un bellissimo esempio di come l’interesse da parte della cittadinanza e delle istituzioni possa vincere contro l’abbandono ed il degrado.
Dal libro di Vittorio Faglia (1975)
La Struttura
Torre Specchia Grande è una torre a base circolare. Di essa rimane solo il basamento scarpato, privo di aperture, fino al cordolo e un lembo di piano agibile che attualmente però funge da parapetto al terrazzo di copertura. La torre è stata, nel corso degli anni, intonacata e modificata, tanto che non è più distinguibile il suo aspetto originario. Anche la scala, addossata alla muratura esterna è stata realizzata in epoca successiva.
Nel ‘900, in tempo di guerra, fu costruito al centro del terrazzo un corpo cilindrico da utilizzare come piano agibile. Questo, ancora visibile nelle foto d’epoca, fu rimosso durante un restauro negli anni ’80.
Nel Comune di Corsano, nella località di Contrada Guardiola, si ergeva Torre del Ricco a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di 62 metri. Il rudere è di proprità demaniale, in stato di abbandono e quasi del tutto scomparso.
Giulia Fersini (2020)
Comunicava visivamente a sud con Torre del Porto di Novaglie in basso, forse anche con Torre Montelungo, e a nord con Torre Specchia Grande. Il rudere si trova alto sulla costa rocciosa, quasi a strapiombo sul mare, nella bellissima e incontaminata località detta “La Guardiola”.
La Storia
Torre del Ricco fu edificata probabilmente da privati e risultava già esistente nel 1569. Presente nei documenti e nella cartografia dell’epoca, inizialmente come “torre della Cala di Rio”, ma anche come “Torre del Rio” e “Torre di Bosaro/Boraro”. Per quanto riguarda la sua costruzione, si ha conoscenza di un atto del 1587, riportato dal De Salve, nel quale si attesta che l’Università di Montesardo costituisce proprio procuratore Francesco Antonio Vincenti di Tricase per recuperare dalla Regia Corte quanto speso per la costruzione della “Torre dello Rio”. Oggi, di questa torre, collocata su di un’alta scogliera, rimane solo un cumulo di rovine.
Il rudere come appariva nel 1975 fotografato da Vittorio Faglia a confronto con le rovine presenti oggi (foto di Giulia Fersini, 2020).
La Struttura
Quasi scomparsi e distinguibili a fatica, per via dell’ulteriore degrado, il rudere del basamento circolare scarpato (circa 12 metri di diametro) e il frammento del piano agibile, completo di cordolo, che Vittorio Faglia fotografa nel suo censimento del ’78. Nelle foto a confronto è chiaro quanto negli ultimi decenni le condizioni del rudere siano ulteriormente peggiorate.
Non si sa per certo cosa abbia causato tale deterioramento. In quale percentuale lo sfacelo sia dovuto all’incompetenza del progettista, alla disonestà dell’appaltatore (fenomeno esistente anche allora ed ampiamente provato per più di una costruzione) o al vandalismo e all’incuria dei posteri, è molto difficile determinarlo.
Nel Comune di Alessano, nella località di Marina di Novaglie, si ergeva Torre Porto di Novaglie a poco più di 10 metri dal mare e a un’altitudine di 8 metri. Oggi il rudere è in rovina, quasi del tutto scomparso.
Giulia Fersini (2020)
Torre Porto di Novaglie comunicava visivamente a sud con Torre Montelungo (oggi scomparsa) e a nord con Torre del Ricco. Costruita a difesa del porticciolo di Novaglie e delle sue sorgenti d’acqua dolce.
La Storia
La torre era già edificata prima del 1565. Ad iniziare i lavori di consolidamento fu Giovanni Vincenzo Spalletta di Nardò. Successivamente, fu ricostruita dai fratelli Ercole e Sansone Pugliese, intorno al 1610, su progetto dell’ingegnere Fontana. In questa occasione, in via del tutto eccezzionale, fu permesso alle maestranze di utilizzare acqua di mare per la preparazione della malta e probabilmente fu questa la causa del suo attuale degrado.
Nel 1777, secondo alcune fonti, la torre risultava già in parte diroccata.
La Struttura
Distrutta dalle mareggiate, dalle incursioni nemiche, dal vento carico di salsedine e dalle incursioni del tempo, Torre di Novaglie conserva ormai ben poco della sua struttura. I suoi ruderi, così densi di significato, ci riportano però nei tempi in cui questi mari venivano solcati dai pirati saraceni che in questo territorio compivano i loro assalti.
Probabilmente a pianta circolare e a forma troncoconica, fu realizzata in pietrame irregolare. A stento si legge sul terreno la traccia delle sue fondamenta. La base rotonda secondo il Faglia, forse, aveva un diametro di 16 metri. Ma questo è discutibile.
Il rudere, già gravemente compromesso, nella foto del Faglia (1975) a confronto con ciò che rimane oggi (foto di Giulia Fersini, 2020).
Fu edificata tra il 1550 e il 1560 probabilmente nel tratto più sporgente della costa alta e rocciosa che unisce Leuca al territorio di Gagliano del Capo. Di questa torre oggi rimane una testimonianza, riportata dal De Salve, ovvero uno schizzo tracciato nei primi decenni del Ventesimo secolo dallo storico Primaldo Coco che la illustra la base circolare con basamento scarpato e il piano agibile già diroccato. Probabilmente i suoi rudere sono stati incorporati (o rimpiazzati) da una recente costruzione.
La torre era menzionata in vari documenti e in quasi tutta la cartografia antica dal XVII secolo. Uno di questi documenti, rinvenuto da Giovanni Cosi (1989) e riportato anche da Cesare De Salve (2016), attesta che “il 4 giugno 1591 si presentano alla Marina di Gagliano quattro galeotte turche, ma, grazie ad alcuni colpi sparati dalla torre di Montelungo, gl’infedeli non osarono sbarcare, accontentandosi di mandare quattro feluche con alcuni armati che catturano tre uomini e quaranta pecore”.
Comunicava visivamente a sud con Torre Santa Maria di Leuca e a nord con Torre Porto di Novaglie.
Si ipotizza che Torre S.M. di Leuca (detta anche Torre Nuova) fu edificata nel 1565. Di questa torre, voluta da Filippo II Re di Napoli su Punta Meliso, presumibilmente demolita nel 1864 per far posto al faro, è sparita ogni traccia.
Un documento del 1587 (citato da Cosi, 1989 e De Salve, 2016) attesta che il tricasino Francesco Antonio Vincenti, con procura dell’Università di Montesardo fu incaricato di recuperare dalla Regia Corte le spese sostenute dalla stessa Università per la costruzione della torre.
Tra i diversi documenti riportati da Giovanni Cosi (1989) sicuramente il più interessante è il seguente: “Onofrio Greco di Salignano, castellano della torre detta di S. Maria de Finibusterre, in territorio di Salignano, e Ludovico Camisa, tenente in guerra in detta marina, il 9 aprile 1710 dichiarano che il giorno prima verso le due di notte udirono diverse cannonate e moschettate in alto mare. Dopo un’ora e mezzo comparve un caicco con tredici veneziani i quali, sbarcati, riferirono d’essere stati assaliti da una tartana corsara che prese il loro bastimento e tre dell’equipaggio. Ai malcapitati non restò altro che prendere la via per Venezia.”
La torre, indicata da molti documenti ed in tutta la cartografia antica a partire dal XVII secolo, come riporta il de Salve, è stata delineata in uno schizzo dello storico Primaldo Coco nei primi decenni del XX secolo, simile alla torre dell’Omomorto.
Si ritiene che sorgesse nella zona dell’odierno faro, a destra verso l’Adriatico. Comunicava visivamente ad ovest con Torre dell’Omomorto e a nord con Torre Montelungo, anch’essa oggi scomparsa.
Nel Comune di Castrignano del Capo, nella frazione di Santa Maria di Leuca si erge Torre dell’Omomorto a circa 50 metri dal mare e a un’altitudine di 11 metri. Il rudere versa in stato di abbandono.
Anche detta Torre Vecchia, perchè la prima tra le torri di Leuca (per distinguerla dalla nuova, oggi demolita per far posto al faro), fu detta dell’Omomorto (dell’Huomini Morti o Domini Morti) in riferimento a dei ritrovamenti di resti umani nelle vicine grotte. Sorge su un suggestivo promontorio un tempo isolato, ma ormai accerchiato dall’abitato. Comunicava a ovest con Torre Marchiello e ad est con Torre S.M. di Leuca.
La Storia
Citata in alcuni documenti ed in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, è menzionata esistente nel 1569 negli elenchi dei Viceré. Luigi Tasselli la data al 1555 ad opera di Andrea Gonzaga, Conte di Alessano nel 1560.
Nella seconda metà del XVII secolo, quando era considerata ancora valida come torre di difesa dalle frequenti incursioni, fu prontamente riparata dopo un crollo probabilmente dovuto a causa di eventi atmosferici. A conferma di questo, esiste un documento riportato da Giovanni Cosi (1989).
Il Cosi scrive “Verso la metà di febbraio del 1694, per le continue piogge e per la neve abbondante e per i forti venti, crolla la muraglia della Torre verso tramontana, con la gettarola in corrispondenza della porta, per circa tre passi di muro. La Torre, che, armata di un cannone di tre libbre di palla (in sostituzione della prima arma della portata di due libbre), potrebbe non solo impedire lo sbarco dei nemici, ma anche danneggiarli, ora è inabile a difendersi dai corsari nel caso tentassero lo sbarco. Il caporale Domenico Greco di Salignano ed il sopra guardia Diego Brigante di Racale, il 20 marzo successivo al crollo, si recano a Lecce dal Capo-Rota e vice Preside della Provincia Giovanni Battista Ravaschiero per presentare rispettivamente un memoriale ed una relazione. Il Ravaschiero dà ordini al segretario Nicolò Serra di spedire le istruzioni per il restauro della Torre all’Università di Giuliano, ma costui fa presente che, essendo la spesa superiore a dieci ducati, bisogna avvertire Sua Eccellenza. Il caporale, poiché si avvicina il tempo della nuova navigazione ed i corsari possono tentare uno sbarco, a discarico di sua responsabilità, il 5 aprile dello stesso anno fa un atto pubblico in cui dichiara quanto sopra.”
La torre, pur trovandosi nelle pertinenze di Castrignano del Capo, è sempre stata mantenuta dall’Università di Giuliano. Non si conosce il motivo per cui il Governatore della provincia dette l’incarico del restauro della muraglia all’Università di Castrignano. Il maestro Giuseppe Nicolardi di Alessano, il 31 agosto 1696 dichiara di essere stato chiamato dal sindaco di Castrignano Pietro Ciaccia per proseguire i lavori di restauro già iniziati dall’Università di Giuliano e di averli terminati in 27 giorni col concorso di altri tre maestri e 15 manovali (Cosi, 1989).
Nel 1846, come ricorda l’Arditi, la torre venne disarmata.
Foto tratta dalla Pagina Facebook: Fotografando Lecce e il Salento
La Struttura
Torre atipica e possente, è classificata come torre a martello (tipologia dalle caratteristiche di fortezza difensiva). Ha dimensioni notevoli, il basamento scarpato ha muraglie spesse quasi 5 metri e diametro di circa 16 metri. All’interno di questo, si aprivano quattro troniere (quella in lato costa-nord oggi risulta sostituita da una porta d’accesso). Oltre il cordolo a circa 4 metri di altezza, si sviluppa un tozzo corpo cilindrico che si conclude come massiccio coronamento del terrazzo di copertura. É dotata di un ambiente interno voltato a cupola. Nello spessore delle mura è ricavata una scala che conduce alla sommità della torre.
Nelle foto di inizi Novecento si può notare una scala monumentale di pietra, costruita in epoche successive ma da tempo ormai rimossa.
La torre oggi, in abbandono e pericolante, ma ancora fruibile, manifesti i segni di vari, rimaneggiamenti ormai anch’essi poco distinguibili (pare ci sia stato un’opera di consolidamento nel 1987).
Nel Comune di Castrignano del Capo, a ridosso della litoranea tra Leuca e Marina di Felloniche, si erge Torre Marchiello a pochi metri dal mare e a un’altitudine di 12 metri. Il rudere è in stato di abbandono e purtroppo, quasi del tutto scomparso.
Giulia Fersini (2021)
La torre comunicava visivamente a Sud con Torre San Gregorio e a Nord con Torre dell’Omo Morto.
La Storia
Di questa torre non si hanno notizie sull’identità del costruttore. É presente in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo ed è confermata esistente negli Elenchi dei Vicerè del 1569. Questo fornisce validi riferimenti sull’epoca della sua costruzione.
Giovanni Cosi (1989) e Cesare De Salve (2016) riportano alcuni documenti che testimoniano una prima riparazione avvenuta nel 1697 considerata “necessaria”, operata su più ambiti della torre, e di un’altra del 1760, per la quale la rilevante spesa di 285 ducati lascia intuire quanto questa fosse malridotta, ma ancora utile. Nel 1825 venne rilevata in buono stato (Primaldo Coco) e nel 1842 risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale. Oggi le rovine della torre sono di proprietà demaniale.
Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
Dai ruderi che oggi la testimoniano, sulla scogliera che un tempo dominava, si distingue solo parte del basamento circolare presumibilmente di circa 12 metri di diametro.
La torre diede il nome alla Marina di San Gregorio, Comune di Patù. Essa comunicava visivamente a nord con Torre Vado e a sud con Torre Marchiello.
Presente nella cartografia e nei documenti dell’epoca con diversi nomi (Torre della Punta di Morchione, Torre di S. Lioro, Torre del porto, Torre di Tato, infine Torre di San Gregorio), risultava costruita nel 1569. Come riporta il de Salve, un documento del 22 luglio 1697 registra l’impegno che il sindaco di Patù insieme ad altri personaggi assunsero verso la Regia Corte l’impegno “di riparare la gettarola sopra la porta e l’altra verso scirocco della torre di S Gregorio, entro il mese di agosto prossimo”.
Le rovine di questa torre, probabilmente danneggiata nel corso di una non precisata invasione, nel 1899, sono state definitivamente rimosse per fare posto ad una costruzione privata, una villa, posta sul Capo San Gregorio. É anche verosimile che la torre sia stata inglobata nella costruzione stessa,
Nel Comune di Morciano di Leuca, nell’omonima località, si erge Torre Vado a meno di 10 metri dal mare e a un’altitudine di 5 metri. Fu restaurata e rimane tuttora proprità privata.
Torre Vado, che da il nome alla località che si è sviluppata intorno, comunicava visivamente a sud con Torre San Gregorio (oggi scomparsa) e a nord con Torre Pali. Mutua il suo nome dal latino vadum (guado) per la costa dove sorge, facilmente accessibile dal mare.
La Storia
Edificata nel XVI secolo, in alcuni documenti e nella cartografia è menzionata con nomi diversi a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre della Cala del Patto”, poi come “Torre di Marciano”. Torre Vado risulta esistente nel 1569. Essa ricopriva un ruolo esemplare, in quanto era una delle tipiche “torri cavallare”, per via del cavallo impiegato dal corriere per allertare i paesi vicini, della potenziale minaccia di attacco da parte dei pirati.
Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti di ordinaria amministrazione:
“Il sindaco di Morciano Giovanni de Judicibus, il 30 agosto 1608 rilascia procura a Luca Antonio Lisgara per farsi rimborsare dal Percettore il denaro che l’Università ha pagato al caporale della torre detta Mafanto.”
“Lo spagnolo Francesco Rezio caporale della torre marittima di Morciano, dovendo restituire 40 ducati a Michele Diaz del Gado sapraguardia della marina di Gallipoli avuti in più riprese al tempo delle rivoluzioni di questo Regno quando dalla R. Corte non poteva giungere il salario, il 12 febbraio 1650 gli rilascia procura per farsi rimborsare i 40 ducati da Francesco Parata di Racale caporale della torre detta la Suda, debitore del Rezio.”
Il 5 luglio del 1671, nel Libro dei Morti della parrocchia di Morciano, si registra un omicidio di un giovane del posto, da parte di un manipolo di Turchi che si erano spinti nell’entroterra morcianese, presso la Masseria del sig. Duca alli Paduli. Lo stesso giorno i Turchi catturarono come schiavi altri abitanti della suddetta masseria, tra cui alcuni bambini (Daquino 1988).
Fu abbandonata nel 1842. Nel 1930 è stata acquistata da privati e snaturata dal successivo restauro.
Da SalveWeb.it
La Struttura
La torre a base circolare, oggi rivestita e intonacata di bianco, dimostra come un tempo ci fosse poca attenzione nei confronti di questi beni, anche in fase di restauro. Conserva ancora la tipica struttura con zoccolo scarpato del diametro di 12 metri, definito da un cordolo su cui si eregge il corpo cilindrico dell’originario piano agibile. Il coronamento, sostenuto da piccoli beccatelli, ospita due piccole piombatoie e si completa con dei merli, ripetuti sulla garitta. Questi merli, insieme a delle finestre e altre aperture, appartengono ad un periodo successivo.
Giuseppe Palumbo (1916), da torre_vado, InstagramGiovanni Cosi (1989)
Nel Comune di Salve, nell’omonima località, si erge Torre Pali, in acqua, a circa 20 metri dalla riva. Il rudere è stato parzialmente recuperato.
Foto di Luigi Chiriaco
Tra le più caratteristiche, ai tempi della costruzione la torre si trovava sulla terraferma ma a causa dell’erosione costiera si trova completamente circondata dalle acque del mare, a circa 20 metri dalla costa. Comunicava a nord con Torre Mozza e a sud con Torre Vado.
La Storia
Non si hanno notizie precise sulla costruzione della torre. Un documento citato da Giovanni Cosi nel 1989, specifica che un tale Antonio Alemanno, con procura dell’Università di Salve, nel 1581 riceve dalla Regia Corte 243 ducati, in conto per le spese sostenute dalla stessa Università per la costruzione della torre.
Possiamo quindi sostenere la costruzione nel XVI secolo, nello stesso in cui compare come “Torre della Saua” nella cartografia antica e in altri documenti. Molte sono le vicende di attacchi registrati in questo tratto di costa. Torre Pali fu un assetto importantissimo, ma con fortune alterne. Come riporta Ferrara, nel luglio 1617 le navi barbaresche sbarcarono e fecero razzia di merci, portando anche via nove donne, senza che gli addetti al controllo si accorgessero dell’accaduto. Questo portò enormi critiche ai torrieri e ai governanti. Nel 1667, invece, i salvesi allertati per tempo, riuscirono a respingere un incursione turca.
Già all’inizio del XIX secolo, anche a causa delle particolari condizioni del sito, la torre fu censita in cattive condizioni statiche, che si aggravarono ulteriormente nel lungo periodo che ne seguì. La tradizione orale, infine, narra che nei primi anni Settanta del ‘900, un fulmine colpì e distrusse l’ultimo pezzo del coronamento (vedesi in foto). A partire dagli anni 2000, si è iniziato a porre rimedio al degrado in cui versava il rudere effettuando interventi di consolidamento statico.
In queste splendide, quanto uniche, immagini tratte dal sito SalveWeb.it, si può apprezzare la grande porzione di torre oggi crollata che persisteva fino ai primissimi anni ’70.
Foto tratta dal sito SalveWeb.it
La Struttura
Della torre rimane una porzione importante dello zoccolo scarpato (diametro circa 12 metri) e alcuni resti del corpo cilindrico, oltre il cordolo. Nella parte più integra è presente un voltino e l’inizio di una caditoia. Tra i detriti nella parte alta non sono distinguibili altre tracce.
Dalla pagina Facebook, Fotografando Lecce e il Salento
Nel Comune di Ugento, nell’omonima località, si erge Torre Mozza a circa 40 metri dal mare e a un’altitudine di 2 metri. Oggi il rudere è stato recuperato ed è di proprietà del Comune.
Dal sito Full Travel.it
Indicata nella cartografia antica inizialmente come Torre Fiumicelli, comunicava visivamente a sud con Torre Pali e a nord con Torre San Giovanni Marittimo. Sorge poco discostata dalle abitazioni della marina a cui ha dato il nome.
La Storia
Nel 1547, quattrocento turchi sbarcarono, con ventidue galee, nelle acque di Ugento. Le autorità locali in questo periodo, vista la costante minaccia piratesca, decisero di costruire torri costiere nelle vicinanze e in difesa delle sorgenti d’acqua potabile (come succederà anche per Torre Fiume).
L’edificazione della torre fu consegnata nel 1583 ai leccesi Cesare Schero e Giovanni Mischinello. Fu costruita su volontà del vescovo di Gemini a presidio delle preziose fonti d’acqua dolce (da questo il nome originario Torre Fiumicelli), spesso utilizzate da turchi e predoni per il rifornimento.
Di seguito un raro e significativo documento riportato da A. Corchia, nella rivista La Zagaglia (1961).
« Erezione della Torre Mozza in feudo di Gemini presso Ugento. (Archivio di Stato di Napoli. Partium Summariae, n. 589, f. 14).
Il Vescovo di Ugento fa sapere che in quella marina ave uno feudo detto di Gemini presso la marina e un fiume d’acqua dolce con comodità dei vascelli dei Corsari che approdano e si fanno la provvisione dell’acqua, per ovviare a questo abuso e……. fu deciso di fabbricare una torre acciò i corsari non venissero più. Fu deciso che dovessero contribuire i vassalli e pagare duc. 200 per edificare detta Torre mentre l’università vi spese 1600 ducati, per essa si chiede di essere rimborsata la somma ora che detta torre è stata eretta.23 dic. 1568 ».
Giovanni Cosi (1989) riporta ulteriori documenti di grande interesse:
“I maestri Cesare Schero e Giovanni Mischinello, di Lecce, a cui era stato assegnato, verso la fine del 1583, l’appalto per la costruzione della torre detta delli Fiumicelli in maritima di Ugento, il 15 febbraio 1584 costituiscono loro procuratore il maestro Martino Cayzza per riscuotere quanto a loro dovuto dalla R. Camera per il lavoro eseguito e misurato dall’ingegnere provinciale.”
“Nicola Caballo di Ugento, caporale della torre detta delli Fiumicelli della Terra di Presicce, trovandosi malsano ed occupato per altre sue necessità, il 9 aprile 1628 si dimette dal servizio, demandando alla R. Corte l’incarico di provvedere alla sua sostituzione.”
Il nome Mozza, col quale oggi è più conosciuta, ha invece origine dalla sua conformazione più recente, in seguito ai crolli subiti nel tempo. Nella cartografia antica è indicata come Torre Mozza solo a partire dal XVIII secolo. Nel 1825 fu censita in buono stato da Primaldo Coco e nel 1842 risulatava ancora in uso dalla Guardia Doganale.
“Si racconta” che durante la Seconda Guerra Mondiale Torre Mozza sia stata utilizzata dai soldati come postazione di difesa.
Nel 2021 è stato approvato un progetto per degli interventi di restauro conservativo e di consolidamento statico della torre (Piazzasalento, 2021).
La Struttura
L’imponente rudere a base circolare, oggi accortamente risanato, è costituito da uno zoccolo scarpato del diametro di 16 metri alla base, in origine definito da un coronamento aggettante sostenuto da beccatelli (di questo rimane un interessante frammento). Conserva parte della porta levatoia e altre aperture in fascia alta. Le piccole aperture sui lati lasciano intravedere lo spessore delle massicce mura interne. Fu costruita da conci regolari alla base, prosegue poi con pietre irregolari. Non sono leggibili altre eventuali trasformazioni subite.
Dalla Pagina Facebook: Viaggio tra le torri del Salento
Corchia, A. (1961). Monumenti Costieri Salentini Abbandonati. In La Zagaglia, Rassegna di Scienze Lettere e Arti, notiziario del gruppo speleologico salentino. Dicembre 1961, pg 35-42.
Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.
De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.
Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.
Piazzasalento (2021). Torre Mozza (Ugento), progetto da 285mila euro per il recupero della torre. Sito Web.
Nel Comune di Ugento, nell’omonima località, si erge Torre San Giovanni Marittimo a circa 70 metri dal mare e a un’altitudine di 2 metri. Fu trasformata in faro.
Foto dal sito Internet:RoundItaly Cruise
La Torre San Giovanni Marittimo, da cui deriva il nome della località stessa, si trova poco distante dalla litoranea, su di una collinetta che sporge sul mare e che divide in due parti la costa. Torre San Giovanni (detta oggi “Marittimo” per distinguerla da S. Giovanni La Pedata), comunicava visivamente a nord con Torre Sinfonò e a sud con Torre Mozza. Il suo aspetto caratteristico, con la piastrellatura bianca e nera a scacchiera, ed il faro in cima, rende quasi irriconoscibile la struttura originaria.
La Storia
Le prime notizie, sostenute da documenti ufficiali, risalgono al 1580. In questi, si registra di 433 ducati che tal Luzio de Urso di Napoli (con procura dell’Università di Ugento) riscuote, dalla Regia Corte, in conto per le spese sostenute dalla stessa Università per la costruzione della Torre. Possiamo quindi affermare che la torre, indicata in tutta la cartografia antica e molti altri documenti, come pure negli elenchi dei Viceré, dov’è segnalata agibile nel 1569, è stata edificata nel XVI secolo. Censita in buono stato nel 1825 da Primaldo Coco, nel 1842 era ancora in uso dalla guardia doganale.
Nel corso dei secoli, la sua funzione è mutata. Da torre costiera è stata trasformata in faro nel XX secolo, per il sollievo dei naviganti che da sempre incappano nelle pericolosissime secche, situate proprio in prossimità del segnale luminoso. Il faro è stato utilizzato fino a tempi recentissimi come sede della Guardia Costiera.
Nel 21 luglio 2020 L’Agenzia del Demanio comunica che, attraverso lo strumento del federalismo demaniale culturale, ha trasferito il Faro di Torre San Giovanni al Comune di Ugento (LE). Il bene, attraverso un progetto di valorizzazione, diventerà un Ecomuseo del Porto nella Terra tra i due Mari: un vero e proprio cultural hub per turisti e residenti, con spazi espositivi per lo sviluppo di attività culturali e un punto informativo.
La Struttura
La torre atipica ha base ottagonale con sette metri per ogni lato ed è lievemente strombata fino al cordolo. Sulla sommità termina con dei beccatelli ed un coronamento leggermente sporgente, con la presenza di una caditoia centrale per lato.
All’ingresso del piano agibile, in lato monte, oggi si accede tramite una scala, probabilmente addossata alla struttura al momento della trasformazione in faro. Su quello che era l’originario terrazzo di copertura, la torretta del faro si accompagna all’esuberante calca degli edifici di servizio. Alla base, altri corpi di varia destinazione la serrano, addossati su quasi tutto il perimetro.
Questa torre più di altre, come scrive il De Salve, è da segnalare come un cattivo esempio dell’interesse dell’attenzione di Enti ed Istituzioni verso le testimonianze storiche del territorio.
Col tempo è stata notevolmente trasformata da grosse sovrastrutture e altre costruzioni laterali aggiunte, così come ne è stato stravolto anche l’interno originario. Vi si accede per mezzo di una scala in pietra realizzata in tempi più recenti, così come la torretta del faro stesso, attualmente in funzione. un faro che aiutava le imbarcazioni di passaggio ad evitare le secche di acqua bassissima in cui rischiavano pericolosamente di incagliarsi.
Nel Comune di Alliste, nella frazione di Capilungo, si erge Torre Sinfonò a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di 16 metri. Oggi è all’interno di una proprietà privata. Ne resta solo il primo piano.
Il nome della torre, di evidenti origini greche, ha subito nel corso del tempo lievi cambiamenti: Sansone, Sufano, Surfano, Sonsono, Sanfiono, Sonfino. L’attuale denominazione Sinfonò, potrebbe essere dovuta ad una errata lettura della “s” minuscola che nella scrittura e nella stampa dei secoli passati veniva resa come una “f”. La torre comunicava a nord con Torre Suda e a sud con Torre San Giovanni.
La Storia
Non vi sono notizie precise sulle sue origini. É indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, ed è segnalata esistente nel 1569 negli Elenchi dei Vicerè. Giovanni Cosi poi, nella sua pubblicazione del 1989, cita un documento dell’Archivio di Stato di Lecce, del 21 marzo 1591, sul quale la torre è “volgarmente detta Zunfano”.
Già in cattivo stato all’inizio del XIX secolo (Primaldo Coco), nel 1842 fu abbandonato dalla guardia doganale perché troppo distante dal mare.
In stato di abbandono fino alla metà degli anni ’70 del XX secolo e con un vistoso cedimento del paramento a monte (visibile, come scrive il de Salve, nelle foto d’epoca) è stata successivamente recuperata e si trova all’interno del giardino di un’abitazione privata, leggermente nascosta dal muretto di confine e dalle piante decorative.
Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
In posizione più elevata, arretrata dalla costa e serrata dalle nuove edificazioni accalcate intorno, di questa torre a base circolare tutto ciò che rimane è lo zoccolo scarpato (diametro di circa 11 metri) fino al toro marcapiano.
Nel Comune di Racale, nell’omonima località, si erge Torre Suda a 150 metri dal mare e a un’altitudine di 3 metri. Oggi essa è proprietà del comune, e viene utilizzata per mostre ed eventi.
Foto dal sito del Comune di Racale.
Torre Suda comunicava visivamente a nord con Torre del Pizzo e a sud con Torre Sinfonò.
La Storia
Torre Suda, che ha dato il nome alla località cresciuta a ridosso e la caratterizza con la superba presenza, sorge sul litorale roccioso. Risale al XVI secolo, sebbene il periodo di edificazione della torre risulti incerto, essa figura nell’elenco ufficiale del Regno di Napoli datato 1613. Nella cartografia antica e in altri documenti è menzionata a partire dal XVII secolo, sempre col nome di “Torre Suda”. Dismessa dalle funzioni militari, venne sigillata e utilizzata come cisterna, l’umidità filtrata dal materiale calcareo, permeabile, con cui era realizzata, diffuse l’impressione che “sudasse” e il nome, secondo la tradizione popolare, fu suggerito da questa circostanza. L’indicazione con lo stesso nome nella cartografia dei secoli precedenti, però, sembra smentire questa congettura. Nel 1825 venne censita in buono stato (Primaldo Coco) e nel 1842 era ancora in uso dalla guardia doganale.
Oggi la destinazione d’uso della torre è fortunatamente cambiato. Nel modesto locale del piano superiore, infatti, attualmente, si ospitano mostre ed eventi di ogni genere che richiamano l’attenzione di numerosi visitatori.
La Struttura
Torre tra le più rappresentative a base circolare. Il corpo di fabbrica risulta composto da diversi elementi architettonici funzionali a contrastare il deleterio impatto delle più evolute armi da fuoco. Il basamento di forma troncoconica, con diametro di 11 m, ospita una cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua piovana che garantiva, in caso di assedio, la necessaria autonomia agli uomini asserragliati al suo interno. Il secondo ordine a forma cilindrica è stato corredato di elementi strutturali tipici dell’architettura militare. Si tratta di tre feritoie disposte secondo un orientamento strategico dalle quali si poteva rispondere in sicurezza alle varie aggressioni. La divisione dei due moduli, poi, viene sottolineata dal toro marcapiano. Il coronamento è caratterizzato dalla presenza di vari elementi: una caditoia, che oggi per i vari rimaneggiamenti subiti nel corso dei secoli, non sembra difendere nessun accesso alla Torre, da beccatelli, usati per sostenere parti sporgenti di un edificio e da un pettorale, un muretto che corre sulla sommità della torre. La scala esterna costituita da 29 scalini è agganciata al corpo mediano dal quale, attraverso l’unico ingresso più volte rimaneggiato, si accede al suo interno: un vano ottagonale che presenta delle nicchie ricavate nello spessa muraglia. Un angusto ambiente, poi, ospita la scaletta che conduce in cima alla costruzione.
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Dal sito internet del Comune di Racale
Da notare come oggi, la torre sia stata spogliata da quei corpi estranei aggiunti nel corso dei secoli.
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Nel Comune di Gallipoli, nella località di Punta Pizzo, si erge Torre del Pizzo a circa 50 metri dal mare e 8 metri di altitudine. Oggi è in concessione a privati.
Torre del Pizzo (o anche Torre Pizzo) comunicava visivamente a sud con Torre Suda e a nord con Torre San Giovanni la Pedata. Nelle antiche mappe è detta anche “del Cotriero o Catriero”. Secondo alcuni il termine deriverebbe dal greco “acroterion = estremità”. Incastonata in un paesaggio quasi ermetico, immersa nei cespugli della macchia mediterranea, domina una vasta area e custodisce una zona di mare ancora incontaminata e straordinariamente affascinante, la torre è parte del Parco Naturale Regionale Isola di Sant’Andrea e litorale di Punta Pizzo. Immersa nei cespugli della macchia mediterranea.
La Storia
Per la forma cilindrica, secondo quanto afferma la studiosa M. Letizia Troccoli Verardi, potrebbe risalire al tempo del Vicerè D. Pedro di Toledo, cioè nella prima metà del ‘500. É documentato che funzionava perfettamente nel 1569, sotto la denominazione “Punta di Gallipoli” .
Come spiega il Leopizzi, nel 1579 la torre fu oggetto di una disputa legale tra le Università di Taviano e di Gallipoli. Sebbene essa sorgesse in territorio di Gallipoli, tuttavia era molto vicina all’abitato di Taviano; sicchè Gallipoli, già oberata da tante responsabilità militari, insisteva presso la Corte di Lecce perchè la cura della torre, e soprattutto la paga al caporale ed ai compagni torrieri, fosse assolta dai cittadini di Taviano. In seguito a pressanti inviti da parte dei Gallipolini, le autorità centrali, già nello stesso anno 1579, avevano obbligato la città di Taviano alla corresponsione di ducati 69 per spese militari. Immediatamente gli amministratori di Taviano, convinti di essere gravati di pesi non loro, incaricarono il Procuratore dell’Università, Vittorio Baldassarre, di spedire una garbata ma chiara protesta alla Regia Camera della Summaria, la quale liberò la detta Università del pesante fardello. A questo punto Gallipoli, con tutta l’influenza della sua autorità civile e militare, appellò la sentenza e cercò di ottenere l’annullamento del provvedimento, ma non ci riuscì; infatti risulta che nell’anno 1586 il Preside della città di Gallipoli, Gio Cola Verdesca, aveva erogato ducati 12 ad Andrea Pende, Caporale della Torre del Pizzo, e ducati 7 ad Angelo Nigro, compagno torriero, per il servizio di vigilanza prestato per tre mesi dal primo giugno a tutto agosto di quell’anno. Forse alla suaccennata disputa fa riferimento un altro foglio del documento gallipolino (foglio 18); la città di Gallipoli in data 6 novembre 1590 chiedeva nuovamente di essere esonerata dalla paga ai cavallari, ordinari di notte e straordinari di giorno, “in quanto ne poteva fare di manco, poichè essa città è sita sopra di uno scoglio alto in mezzo del mare che facilmente il dì scopre per molte miglia a torno e, senza tenere con tanta spesa detti cavallari estraordinari, si può da se guardare come sempre ha fatto”.
La Commissione Regia del 1815, insieme a poche altre torri della costa ionica, la giudica idonea ad essere armata con pezzi di artiglieria pesanti e nuovi. Dal 1633 al 1639 la torre fu custodita dal caporale di origine spagnola Giovanni Peres che, ha seguito del naufragio nelle acque di Gallipoli di un vascello, sì impossessò di un pezzo di artiglieria trovato e lo usò ad armamento della torre (Caterina Ferrara). Risultava ancora in uso alla Guardia doganale nel 1842.
Oggi in concessione a privati, nel 2012 è stata location del video musicale di “Non Vivo Più Senza Te” di Biagio Antonacci.
Foto di Piero Maraca
La Struttura
Torre a base circolare, è costituita da uno zoccolo scarpato del diametro di 12 metri, definito da cordolo marcapiano a 4,50 metri di altezza, su questo si erge il corpo cilindrico del piano agibile fino al parapetto del terrazzo di copertura. Priva di piombatoie, ha porta di accesso al piano agibile il lato monte, originariamente levatoia, oggi servita da scala in muratura addossata ai paramenti. Ben tenuta, ma intonacata e dipinta di bianco, nasconde i vari interventi di restauro subiti, anche recenti, che hanno cancellato qualche traccia delle origini e aggiunto qualche nuova apertura. Il suo interno è stato ristrutturato e adibito ad abitazione.
NelComune di Gallipoli, in località Lido San Giovanni, si erge l’omonima torre a pochi metri dal mare, ad un’altitudine di 4 metri. Oggi è utilizzata come stazione di biologia marina.
Torre S. Giovanni della Pedata comunicava visivamente a nord con le fortificaizoni di Gallipoli e a sud con Torre Pizzo. A circa tre chilometri a sud di Gallipoli, si erge a pochi metri dal mare nei pressi dell’omonimo lido. Il nome San Giovanni fu certamente preso da un’antica cappellina o edicola devozionale, ma non si è stati capaci di dare una plausibile spiegazione al curioso termine “Pedata”.
La Storia
Secondo quanto afferma Onofrio Pasanisi, l’edificazione di questa torre fu decisa nel 1582, ma effettuata solo dopo il 1608 per mancanza di fondi. Dopo una serie di bandi e rinnovi di gara della Regia Camera per la costruzione di più torri, offerte e ribassi dei vari interessati, la costruzione di questa fu assegnata, con atto del 9 agosto 1582, al leccese Marco Schero che, probabilmente, non ottenendo gli anticipi di denaro pattuiti nei tempi stabiliti, la completò solo dopo il 1608. Comunque, immaginata agibile nel 1569, negli elenchi dei Vicerè, è anche mezionata in vari documenti e nella cartografia antica.
Il Mazzella, quando elenca le torri marittime di Terra d’Otranto, non fa menzione della Torre S. Giovanni della Pedata; mentre l’atlante manoscritto a colori di Mario Cartaro del 1613 e quello di Bari riportano anche la torre costiera in questione; non viene menzionata invece dall’Atlante dei Magini. Il noto documento Gallipolino descrive la sua ubicazione: “Per parte poi della marine di scirocco (Gallipoli) tiene un’altra torre chiamata S. Giovanni della Pedata distante due miglia dalla città”; il medesimo rapporto militare ci informa ancora che il tratto di spiaggia tra la suddetta torre e la città veniva continuamente perlustrato da “Cavallari ordinari e straordinari soliti” pagati dall’Università di Gallipoli. Giuseppe Sala, Capitano, Sopraguardia e Proprietario del Comarca di Cesaria e Marina di Gallipoli fino alla Torre di Novaglie, ci assicura che il Caporale Basso Giovanni e il compagno torriero Giuseppe Pellegrino hanno custodito detta torre per tutto l’anno 1730. Risultava in cattivo stato nel 1825 (Primaldo Coco), e abbandonata nel 1842.
Oggi tutta la zona è stata ormai raggiunta dalle grandi costruzioni moderne che, durante l’estate, fanno riversare migliaia di bagnanti su questo splendido tratto di mare.
Dalla pagina Facebook, Fotografando Lecce e il Salento
La Struttura
Come scrive il De Salve, di questa torre a pianta quadrata, “Tipica del Regno” permangono l’originale corpo quadrangolare scarpato (10,40 m per lato) e la finestrella, in lato mare e nei due lati costa. Ha subito molti interventi di restauro, e ormai raggiunta dalle tante costruzioni moderne, ha in parte perduto la “magia” ancora percepibile osservando foto degli inizi ‘900. Il coronamento controscarpato, definito da toro continuo sulle tre piombatoie (comprese) per ogni lato e il parapetto al terrazzo di copertura, sono stati quasi completamente ricostruiti. La consistente garitta d’origine è stata notevolmente ridotta.
All’accesso il lato-monte (aperto successivamente nello spessore del basamento, sotto l’originale porta levatoia parzialmente murata) è stato aggiunto un nuovo accesso in lato costa-nord. In passato, quasi certamente “un apertura in breccia verso mare permetteva un’uscita oggi occlusa dal livello del piazzale” come scrive Vittorio Faglia. La torre è composta da due piani comunicanti tramite una scala a muro.
Nel Comune di Gallipoli, nella località di Rivabella, si erge Torre Sabea, a circa 50 metri dal mare, ad un’altitudine 3 metri. Restaurata ed in concessione a privati.
Dal sito: Corte del Salento
A circa cinque chilometri da Gallipoli, al centro della grande insenatura a settentrione, si può ammirare Torre Sabea, posta nelle immediate vicinanze del mare. Segnalata nella cartografia inizialmente come “Torre della Punta di Spea”, “Torre di Sapea” e infine Torre Sabea, dai Gallipolini è conosciuta come “La Vecchia Torre”. Comunicava visivamente a sud con le fortificazioni di Gallipoli e a nord con Torre dell’Alto Lido.
La Storia
L’edificazione della torre fu assegnata nel 1568 al leccese Marco Bacci. Una volta stabilito che la costruzione doveva essere realizzata secondo il progetto del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala.
Molto probabilmente la sua costruzione fu decisa durante la visita in Terra d’Otranto del Presidente della Regia Camera, Alfonso Salazar, accompagnato dal regio ingegnere Ettore Scala e fu terminata entro l’estate del 1569. Torre Sabea è riportata negli elenchi delle torri fatti dal Mazzella (1586 e 1601) e da Bacco Alemanno (1609); come pure è sempre presente nella cartografia del ‘600. Nei documenti di Gallipoli troviamo questa descrizione: “La città di Gallipoli per la parte della sua marina di tramontana tiene una torre chiamata la Sapea distante tre miglia dalla città”. La medesima fonte ci informa che la responsabilità della torre, come anche della vicina costa, fu sempre di competenza dell’Università di Gallipoli col contributo però dei paesi convincini. Un dispaccio, redatto a Lecce il 10 dicembre 1569, si assicura che in quella data la Torre Sabea era quasi pronta all’uso: “Magnifico Percettore della nuova città di Otranto Gian Bonori, a noi è stata presentata la sottoscritta fede che l’architetto delle torri e città di Terra d’Otranto e di Bari è Paduano Schiero, regio responsabile in questa provincia, facemmo fede per la spesa fatta per il Magnifico Silvio Zaccheo sindaco della città di Gallipoli in la Torre dei Sapea, sita nel territorio di detta città per la scala, porte, finestre e serratura, quale ispesa somma ducati 8 e grana dudici e mezzo”. Infine il Sindaco di Gallipoli, in data 3 gennaio 1570, conferma che, secondo quanto stabilito, furono effettuati i lavori per la torre Sabea la cui somma ammontava a ducati otto e grana dodici e mezzo.
Torre Sabea divenne effettivamente funzionante nella primavera del 1570. Da quel momento in poi il presidio militare fu in grado di vigilare il tratto di mare antistante e di segnalare alla città di Gallipoli l’arrivo di navi battenti bandiera turca o corsara.
Nel 1820 la torre era in abbandono ed in pessimo stato, anche se sul terrazzino vi era ancora un cannone di ferro con calibro 3. Agli inizi del nostro secolo la torre subì alcune modifiche nel suo interno.
Nel 1974 fu definitivamente restaurata per interessamento di Angelo Mollone e su perizia di Vittorio Faglia. Attualmente Torre Sabea è in concessione alla famiglia Mollona Magno.
La Struttura
La torre rientra nella classificazione di torre tipica del regno. A pianta quadrata, (9,40 metri per lato), corpo quadrangolare scarpato, coronamento controscarpato definito da toro continuo sulle tre piombatoie per ogni lato e parapetto ricurvo verso il terrazzo di copertura. Conserva due finestrelle originarie sui lati costa. In lato monte, in corrispondenza della originaria porta levatoia al piano agibile, nel corso di un restauro della fine del XIX secolo, venne aperto un nuovo accesso che attraversa lo spessore del basamento (tutt’ora utilizzato). Probabilmente, durante questo stesso restauro, alla garitta, a filo del parapetto in lato a monte, è stato aggiunto un piccolo vano. Nell’ultima apprezzabile restaurato del 1974 di Vittorio Faglia, invece un altro accesso è stato aperto in lato costa-nord. Prima del restauro, la parete sud dell’edificio aveva subito un crollo probabilmente dovuto ai venti di scirocco.
Planimetria del Leopizzi (vedesi bibliografia)
La Leggenda
Una triste leggenda avvolge Torre Sabea. Si racconta che nel 1500, periodo continuamente funestato da assalti di pirati, le torri costiere venissero sorvegliate da schiere di soldati opportunamente addestrati, soldati chiamati torrieri. Si narra che tra questi torrieri, il cui compito era quello di difendere l’antica torre, vi fosse un giovane di bell’aspetto, Flavio, il quale era perdutamente innamorato di Florilanda, divenuta anche sua sposa, giovane gallipolina di grande bellezza ma di povere origini. La leggenda narra che nel giorno di Pentecoste (detto anche Pasqua delle Rose) la giovane sposa, dettata dall’ardente desiderio di rivedere anche solo per pochi istanti il proprio sposo di stanza alla Vecchia Torre, insieme ad alcune compagne raggiunse la torre e si unì al suo amato in un appassionato abbraccio, lasciandosi andare alla passione. Poiché, nonostante i richiami delle amiche Florilanda non tornava, al calar del sole le compagne presero da sole la via del ritorno. Quando Florilanda si svegliò in piena notte, volle rientrare in città ma a causa del buio della notte perse la strada e decise di ritornare alla torre da Flavio. Lo sposo, di guardia alla torre, insospettito dal rumore e credendo si trattasse di un nemico, corse incontro alla figura trafiggendola con la propria alabarda. Accortosi del tragico e fatale errore, egli posò il corpo esanime della propria amata su una barca ed insieme sparirono in mare, senza fare più ritorno.
Ancora oggi si dice che ogni sera due gabbiani bianchi riposino al riparo della Vecchia Torre per poi spiccare il volo verso l’infinità del mare.
Nel comune di Sannicola, nella località di Lido Conchiglie, si erge Torre dell’Alto Lido a quasi 300 metri dal mare e a un’altitudine di circa 70 metri. Oggi è all’interno di una propietà privata.
Dal sito 365 Giorni Salento.
A circa sette chilometri da Gallipoli si può osservare Torre dell’Alto Lido. La denominazione è probabilmente dovuta alla posizione sopraelevata della torre, alquanto distante dal mare in direzione dell’attuale località della “Montagna Spaccata” nei pressi di Lido Conchiglie. Nella cartografia del tempo il suo nome ha subito varie alterazioni: talvolta è detta semplicemente dell’Alto, altrove dell’Artellotto, dell’Arteglio, dell’Attolido. Il suo nome potrebbe dunque essere la deformazione del toponimo Otholithos, ovvero luogo elevato. Comunicava visivamente a sud con Torre Sabea e a nord con Torre Fiume e la più lontana Torre dell’Alto.
La Storia
Secondo quanto affermano gli storici Onofrio Pasanisi e Primaldo Coco, la torre con molta probabilità venne costruita nel 1565; ma gli stessi confessano che non hanno potuto accertare se la torre dell’Alto Lido, insieme a poche altre nel Salento, fu costruita in seguito ad un ordine del Duca d’Alcalà negli anni 1560-61 oppure alcuni decenni prima per ordine di Don Pietro di Toledo nel 1532-33.
Il peso della vigilanza ed efficienza della torre ha sempre gravato sulla Università di Galatone, la quale, in un documento dell’1 luglio 1686, informava le autorità provinciali che in quello stesso anno aveva sopportato il peso di rifare il ponte nuovo, e ancora di aver speso annui ducati 60 per il caporale e ducati 25 per il compagno torriero, oltre alla continua provvisione di munizioni, cioè palle, polvere e miccia occorrenti per l’esercizio di tale presidio. Nel 1583 la torre era custodita dal caporale Cordoba Bartolomeo; nel 1609 invece troviamo come responsabile militare un certo Carlo Caputo.
Il quadro indicante il grado di conservazione e funzionalità delle torri costiere dello Jonio, redatto nel 1820, la indica in pessimo stato e abbandonata. Sebbene nel 1686 il sindaco di Galatone dichiarasse che l’Università aveva a sue spese costruito il nuovo ponte per la Torre dell’Alto Lido, oggi la medesima risulta sprovvista di scala esterna monumentale.
Fino al 1842 risultava essere ancora utilizzata dalla guardia doganale. Oggi è in proprietà privata.
La Struttura
Una torre di modeste dimensioni a base circolare, con basamento troncoconico, sorge appartata sulla sommità di un’altura in un ambiente ancora incontaminato. La torre è ben conservata ma è priva di alcune tracce delle sue origini per via dei molti restauri. Si può apprezzare il basamento scarpato del diametro di circa 16 metri, definito dalla toro marcapiano a 4,70 m di altezza, oltre questo, si sviluppa fino al terrazzo di copertura, il corpo cilindrico del piano agibile che include in lato monte l’originaria grande porta levatoia, in parte murata. In lato mare invece, sotto la finestrella, una porta d’accesso che attraversa lo spessore del basamento è stata aperta in tempi recenti. Il suo limitato spazio interno, oltre al fatto che la torre non presenta coronamento nè piombatoie, porta ad immaginare che essa fu utilizzata esclusivamente come vedetta.
Nel suo interno presenta una piccola stanza a piano terra, con porta d’ingresso, ed una al piano superiore, cui si accede tramite una scaletta ricavata, forse in epoca tarda, all’interno della spessa muraglia perimetrale.
Nel Comune di Nardò, nella località di Santa Maria al Bagno si erge Torre Fiume a poco più di 50 metri dal mare e a un’altitudine di circa 3 metri. Oggi all’interno di una propietà privata.
Conosciuta inizialmente come Torre del Fiume di Galatena, o semplicemente come Torre Fiume, è oggi più comunemente nota col nome di “Quattro Colonne”. Torre Fiume era una vera e propria fortezza, un piccolo castello, a protezione di una ricca sorgente d’acqua dolce dalla quale prende il nome. Oggi, rimangono solo i suoi quattro grandi bastioni angolari. Comunicava visivamente al sud con Torre dell’Alto Lido e a nord con Torre Santa Caterina.
La Storia
Questa località veniva ricordata anticamente come Torre del Fiume di Galatena, perché al lato della fortezza, scorreva un tempo una sorgente ricca di acqua dolce oggi purtroppo molto ridotta. Fu costruita con lo scopo di vigilare affinché i corsari non si avvicinassero alla costa per rifornirsi di acqua potabile, indispensabile per le loro imprese. L’approvvigionamento d’acqua, per chi doveva restare in mare per molto tempo, rappresentava un problema vitale anche per corsari e barbareschi. Per questo motivo essi conoscevano perfettamente i punti della costa dove affiorava anche uno zampillo d’acqua che raggiungevano rapidamente e, dopo aver fatto rifornimento del prezioso liquido, proseguivano la loro caccia alle navi in transito nella zona oppure si preparavano a compiere attacchi alle popolazioni della costa, scegliendo il posto più favorevole e aspettando il momento più opportuno.
Tutto ciò era ben noto alle autorità, le quali avevano previsto la costruzione di torri nelle vicinanze e in difesa delle sorgenti d’acqua potabile. Infatti, come riferisce il Coco, fu questo il motivo che nei 1568 spinse il Vescovo di Ugento a fabbricare Torre Mozza, detta anche “Torre Fiumicelli”. Per proteggere il fiume di Nardò, nei pressi di S. Maria al Bagno era stata eretta già nel 1565 la Torre dell’Alto Lido, ma questa costruzione ben presto si rivelò insufficiente allo scopo, in quanto era posta molto in alto e distante un paio di chilometri dalla sorgente. Fu questo il motivo che consigliò l’Università, il Vescovo e i nobili di Nardò ad edificare, proprio alla foce della ricca sorgente d’acqua, una vera fortezza, la cui sola vista doveva scoraggiare turchi e pirati del mare di accostarsi alla riva o addirittura di progettare razzie nell’interno.
Foto di Giuseppe Palumbo, originariamente in bianco e nero.
Il progetto, straordinariamente dettagliato, redatto dall’architetto leccese Giovanni Perulli, incaricato dalla Sacra Regia Provinciale Audienza Hidruntina, venne consegnato il 22 novembre 1595 ai neretini Angelo e Giovanni Vincenzo Spaletta, rispettivamente padre e figlio. I lavori si prolungarono per più di dieci anni, anche a causa di molti dissidi con la Regia Corte (che sospettava da parte degli assegnatari l’utilizzo di materiali scadenti, con ragionevole probabilità di crollo della costruzione) e la litigiosità degli Spalletta. Finalmente la torre, completata, venne ritenuta tenuta in efficienza nel 1606 e l’ultimo pagamento per i lavori fu incassato nel 1609 da Giovanni Vincenzo, essendo Angelo deceduto. Il peso maggiore per l’assistenza a questa fortificazione spettava alla città di Nardò, ma sappiamo anche che Galatone contribuiva con un quarto delle spese occorrenti al mantenimento di un numero adeguato di torrieri.
Il Mazzella e l’Alemanno non la elencano nelle loro opere, mentre è riportata nella mappa geografica del 1613 di Mario Cartaro e in quella successiva di Bari. Esiste notizia sicura che un certo Francesco Scaglione ricopriva la carica il caporale già nel 1609. Nel 1616 fu al comando della torre il caporale Leonardo Vecchio, nativo dì Galatone; nel 1695, come assicura la Sopraguardia Leonardo Antonio Napoli, era caporale Tommaso De Ferraris in compagnia del subalterno Tommaso Camisa; infine nel 1730 esercitava l’ufficio di caporale Angelo Longo, con i compagni Pietro Stasi e Leonardo Antonio Francone. Col tempo i pericoli provenienti dal mare diminuirono, e le attività di controllo della torre erano indirizzate verso gli atti di brigantaggio e contrabbando, soprattutto di sale.
Il corpo centrale, è ipotizzabile che possa essere crollato a causa del famoso Terremoto di Nardò, che si verificò il 20 febbraio del 1743. La torre nel 1820 risultava in pessimo stato e abbandonata.
Nel secondo dopoguerra la struttura interna fu svuotata ed usata per altri scopi, dapprima si insediò un albergo ristorante con palco e pista da ballo, il rinomato “Quattro Colonne Dancing“. Negli anni ’60 il luogo è stato il punto di riferimento del Jet set salentino e pugliese e si sono esibiti artisti di fama internazionale Domenico Modugno, Claudio Villa, Ray Charles, Celentano, Massimo Ranieri, Santo & Jhonny, Bobby Solo, Little Tony, I Platters ed altri.
Dal sito del Comune di Nardò
La Struttura
La struttura è atipica e assai differente dalle altre torri costiere. La torre viene comunemente detta “Quattro Colonne” a motivo dei quattro bastioni ancora superstiti, ma nel suo disegno originario costituiva un vero e proprio fortino, capace di ospitare un discreto numero di uomini e di mezzi che potevano garantire il controllo della sorgente d’acqua e della zona circostante. Nella torre risiedevano stabilmente almeno due caporali che avevano il compito di controllare il mare ed avvisare tempestivamente sia le città dell’entroterra, sia le torri con cui comunicavano visivamente.
É composta da un corpo centrale a pianta quadrata completato da quattro torri, alte 16 metri, a pianta esagonale, scarpate fino al secondo toro marcapiano e coronato da parapetto a sbalzo su beccatelli. Da lontano appariva come un vero e proprio baluardo inespugnabile, un piccolo castello più che una torre di avvistamento. I lati della torre misuravano circa 18 metri con lo spessore murario alla base di quasi 9 metri. La struttura si presentava maestos, scandita da due cornici marcapiano e coronata da beccatelli che sorreggevano il cammino di ronda avanzato. Era inoltre dotata di caditoie per proteggere le aperture. L’ingresso avveniva dal primo piano servendosi di una scala in legno. Anche in questa torre il piano terra era occupato dalla cisterna, che garantiva l’approvvigionamento di acqua per i militari presenti. Anche se non ci sono resoconti sulle armi da fuoco presenti, si può ipotizzare che questa torre sia stata una delle meglio rifornite, sia per l’ampio terrazzo e le varie feritoie presenti, sia per il fatto che proteggeva una delle poche sorgenti di acqua dolce molto ambita per i rifornimenti dei pirati.
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NelComune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Santa Caterina. Essa domina dall’alto il porticciolo, nel mezzo di una pineta, a 200 metri dal mare e a un’altitudine di circa 32 metri. Oggi è proprietà privata.
Giulia Fersini (2021)
Detta anche Scorzone (dialettale di serpente), probabilmente mutuato dalla forma sinuosa della roccia sottostante, ancora oggi noto come Punta dell’Aspide, è la prima torre a sud tra quelle classificate come serie di Nardò a base quadrata. Il posto fu scelto accuratamente in modo che la torre dominasse il porto omonimo e nello stesso tempo facesse da raccordo per tutte le comunicazioni che, provenienti dalla Torre S. Maria dell’Alto, fossero indirizzate alla Torre dell’Alto Lido, e viceversa. Arretrata rispetto alla costa e circondata da alti pini, la torre si trova in un luogo sorprendentemente straniante, a pochi passi dalla vitalità vacanziera della marina, si ha la percezione di un’atmosfera che evoca tempi lontani.
La Storia
Il Governatore della Terra d’Otranto nel 1580 sollecitò presso la Regia Camera di Napoli la costruzione nel Salento di almeno altre sei torri. Per raccogliere i fondi necessari la Corte di Napoli pensò bene di riattivare un’antica tassa di 7 ducati a famiglia fino a tutto il 1582. Grazie ai proventi di tale tassa e certamente per l’intervento massiccio dell’Università e della Curia Vescovile di Nardò, iniziarono i lavori per la costruzione della Torre di Santa Caterina.
L’edificazione fu assegnata definitivamente nel 1582 a Massenzio Gravili di Lecce. Fu nominato sorvegliante dei lavori lo spagnolo Pietro de Tecza, ma il completamento si prolungò oltre le aspettative, nel 1608 (secondo Onofrio Pasanisi) la torre non era ancora ultimata. Nella cartografia antica e in altri documenti è segnalata dal XVII secolo. All’inizio del XVIII secolo, dagli atti del notaio Emanuele Bonvino di Nardò, risulta adibita a lazzaretto per la quarantena di “Turchi e Corsari”.
Non sappiamo l’anno preciso di quando fu terminata torre Santa Caterina; il Mazzella non la nomina; secondo il Pasanisi essa non era stata completata nel 1592 e forse nemmeno nel 1608. Grazie alla testimonianza del Cartaro possiamo ritenere che la Torre S. Caterina era in piedi almeno nel 1613. Un foglio scritto a Gallipoli il 1° maggio 1695 ci conferma che in quell’anno il caporale Leonardo Antonio Lombardo e il suo compagno Stefano Carlino avevano scrupolosamente vigilato di giorno e di notte detta torre. Nel 1730 era caporale Giuseppe Antonio Lombardo e come compagni torrieri si alternarono Oronzo Minnella, Libberio Scarano, Domenico Calabrese, Domenico Pizzone, Francesco Minnella. Nel 1820 la torre era ancora in buono stato, aveva in dotazione un cannone di ferro di calibro 3 ed era affidata alla Guardia Doganale.
Dal sito del Comune di Nardò
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La Struttura
Ha piano terra quadrangolare scarpato, 12 metri per lato (con un accesso alla stalla in lato monte ipotizzato dal XVIII secolo), definito da toro marcapiano. Il piano agibile, con finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte, continua verticale fino al parapetto di coronamento. Questo, leggermente aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e tre piombatoie in lato monte, due sugli altri tre lati, tutte a sbalzo e localizzate anche sulle aperture. La garitta, angolare, continua a filo del parapetto.
Come scrive il de Salve, questa scala, negli ultimi decenni, era stata devastata dai “vandali” per usare un eufemismo, per via di una sciocca pratica, recentemente diffusa, che consiste nel depredare pietre dalle costruzioni d’epoca per integrarle a nuovi fabbricati, nel tentativo di attribuire a quest’ultimo improbabile pregio.
Al piano terra, è presente un unico vano con volta a botte. Al piano superiore, invece, sono presenti tre vani comunicanti di diverse dimensioni, tutti voltati a botte. La camera più grande ha alle pareti in parte affrescate e le due più piccole includono un camino. La torre fu realizzata in blocchi squadrati di pietra locale e le solide pareti hanno una sola finestra per lato. Dalle foto d’epoca inoltre, si nota come la vegetazione intorno alla torre fosse quasi inesistente.
Dopo l’odierno e adeguato restauro della torre, anche la bella scala rampante, che serve tutt’ora l’accesso al piano agibile, è tornata agli antichi splendori. Rimane tutt’ora di proprietà privata e non è ancora chiaro il possibile futuro utilizzo.
La torre, con la sua scalinata, prima e dopo il restauro.
Nel Comune di Nardò, nella località di di Santa Caterina, si erge Torre dell’Alto. Essa si affaccia sul Parco Naturale Regionale di Porto Selvaggio, a poco più di 50 metri dal mare e a un’altitudine di 50 metri.
Torre di Santa Maria dell’Alto, o semplicemente Torre dell’Alto è una delle torri costiere più scenografiche e pittoresche della costa jonica. Comunicava a nord con Torre Uluzzo e a sud con Torre Santa Caterina. È ubicata sul dirupo della Dannata (esistono diverse versioni della leggenda che diede il nome alla rupe) dal quale secondo la tradizione popolare, venivano gettati in mare i condannati a morte. La torre cinquecentesca era compresa nei territori di pertinenza dell’omonima masseria.
La Storia
La prima menzione ufficiale di questa torre costiera, nota anche come torre “del salto della capra”, è conservata in un atto ufficiale del 1575, relativo ad un pagamento dell’Universitas di Nardò al maestro costruttore neretino Angelo Spalletta e del capomastro Lupo Antonio Mergola. I lavori proseguirono fino al 1598, quando si decretò la necessità di interventi di restauro su lastricato, guardiola di avvistamento, barbacani, caditoie e cisterna, fortemente deteriorati a causa della notevole esposizione all’azione erosiva degli agenti atmosferici. Agli inizi del ‘700 la torre perse la funzione di struttura difensiva per trasformarsi, stando ai documenti dell’epoca, in un vero e proprio lazzaretto per il ricovero di infermi “Turchi seu Schiavi”.
Talvolta sulle navi turche o barbaresche, stipate di pirati e di cristiani fatti schiavi, si potevano verificare, per comprensibili motivi, dei casi di colera, di peste o di altre pericolose malattie. In tal caso o si arrendeva l’intera ciurma oppure venivano sbarcate sul litorale le persone infette o ritenute tali. Per salvaguardare le nostre popolazioni, le autorità militari e sanitarie convogliavano i suddetti individui dentro qualche torre costiera. La torre di S. Maria dell’Alto, come pure quella di S. Caterina, svolse verso il 1706 la funzione di lazzaretto, come ci informa il Notaio Bonvino di Nardò “Turchi e Schiavi tenuti in quarantena nelle torri di Nardò”.
Il 10 settembre 1569 Don Parafan Duca d’Alcalà, Vicerè del Regno di Napoli, impartì disposizioni alla Regia Camera perchè anche le torri finite di costruire nell’estate di quell’anno in Terra d’Otranto, tra cui quella di S. Maria dell’Alto nei pressi di Nardò, fossero munite senza indugio “di alcuni pezzi d’artiglieria de mitallo”. Cadendo nell’influenza di Nardò, fu precisamente questa città ad occuparsene per tutto ciò che occorreva al suo buon funzionamento. Nel 1730 era custodita dal caporale Felice Verri e dal torriero Giovanni Giorgetta. Nel 1820 era mal ridotta e abbandonata dalla Guardia Doganale.
Nelle vicinanze della torre dell’Alto sono ubicate anche altre importanti testimonianze di età medievale e postmedievale. Si fa riferimento ad esempio, al complesso abbaziale di Santa Maria dell’Alto, edificato nel XII secolo e più volte ristrutturato fino all’epoca moderna. Oggi la torre si trova in buono stato di conservazione e dal piano superiore, cui si accede per mezzo della monumentale scala esterna, si può lanciare lo sguardo verso mezzogiorno per ammirare il panorama dell’affascinante insenatura fino a Gallipoli, e verso settentrione per godere dello spettacolo straordinariamente naturale di Porto Selvaggio.
É stata acquistata dalla Regione Puglia ed inserita nel Parco di Porto Selvaggio, dotato di una pineta di 300 ettari, un’area verde fra le più importanti del Salento. Alta 14 metri, domina da un lato, il mare cristallino verso il golfo di Gallipoli e, dall’altro, la vasta pineta.
La Struttura
La struttura è ubicata, a circa 50 metri s.l.m., in prossimità dell’omonima masseria. L’attributo dell’Alto non sembra essere legato alla strategica collocazione del monumento, quanto piuttosto alla tipologia di quest’ultimo; il toponimo, infatti, trarrebbe origine dal termine arabo haddou, che sta ad indicare un luogo protetto e fortificato. Più leggendaria, invece, sarebbe l’origine delle denominazioni torre “del salto della capra” o “della dannata” attribuite a questo monumento a causa delle tragiche morti di persone che, si narra, persero la vita gettandosi (o spinti) da questa rupe.
Realizzata in blocchi regolari di carparo, la torre si compone di una base tronco-piramidale e di un corpo parallelepipedo, con lato di 14 metri, sviluppato al di sopra di un cordolo. Oltre a quelle appena segnalate, la struttura rivela ulteriori ed evidenti analogie con la vicina Torre di Santa Caterina, rintracciabili nella presenza di una porta levatoia e di una scala esterna monumentale a tre arcate, nella divisione del primo piano in più vani (quattro nel caso di Torre dell’Alto) e nell’articolazione della parte sommitale in beccatelli, caditoie e merloni. Sulle murature esterne sono osservabili numerosi interventi di sostituzione di alcuni conci, nonché opere di intonacatura realizzate in epoche successive, in particolar modo sul parapetto della scalinata posteriore. La scala interna in pietra, ricavata nel muro perimetrale, consentiva di salire sulla sommità al fine di controllare meglio il territorio. La parte superiore è completata da mensole e caditoie che le conferiscono un aspetto grave e solennne.
Costituita da due piani, sottolineati da un cordone marcapiano. Il piano superiore racchiude un vasto ambiente che comunica con tre altri vani di dimensioni più ridotte, dotati di camino e voltati a botte. Vasti ambienti atti ad accogliere un intero drappello di soldati, è servita di modello nella costruzione della vicina Torre S. Caterina.
Immagini tratte dal Leopizzi (vedesi bibliografia).
“I racconti del nonno“
Una particolare testimonianza, che arricchisce ancor di più la storia di Torre dell’Alto, mi è stata raccontata da mio nonno Vittorio Fersini, classe 1943, (il terzo da sinistra nella prima fila in questa fotografia). Durante le estati degli anni ’50, Torre dell’Alto fu utilizzata dai Frati Cappuccini dell’Addolorata che, dalla vicina Galatone, portavano i ragazzi delle colonie a Santa Maria al Bagno e Santa Caterina, pernottando addirittura nella torre stessa.
Leopizzi, T. (1984). Le torri costiere intorno a Gallipoli. Sito Web.
Gran parte delle informazioni storiche e architettoniche sulla torre sono state prese dai cartelloni informativi che si trovano nei pressi della torre stessa.
Nel Comune di Nardò, a quasi 100 metri dal mare e a un’altitudine di 32 metri si erge Torre Uluzzo. Essa si affaccia sul Parco Naturale Regionale di Porto Selvaggio. Ormai in parte crollata e ridotta in rudere, è stata recentemente restaurata.
Dal sito Santa Maria al Bagno.info
Detta anche Crustano la torre deve il suo nome a uluzzu nome dialettale con cui viene indicato l’asfodelo, pianta delle gigliacee presente nella macchia mediterranea circostante. Torre Crustano poi Uluzzo, insieme a torre Inserraglio, vennero costruite in un secondo momento, rispetto alle altre cinque più possenti della costa neretina. Il nome Crustano secondo alcuni, deriverebbe invece da ‘crusta’ (incrostazione) da intendersi, in questo caso, come il rivestimento, sulla testa, della ‘rozza’ torre, del secondo piano (quello dei voltini), trattato con cura e controllata composizione.
Torre Uluzzo comunicava visivamente a sud con Torre dell’Alto e a nord con Torre Inserraglio, entrambe nello stesso territorio di Nardò. Si trova su di un dirupo, a strapiombo sul mare, che caratterizza un incantevole insenatura, tra l’altroarea di notevole interesse archeologico nota per alcuni dei giacimenti preistorici più conosciuti a livello europeo, tra questi La Grotta del Cavallo, dove è stata scoperta una cultura autoctona del Paleolitico superiore denominata uluzziana.
La Storia
Torre Uluzzo viene indicata nella cartografia antica partire dal XVI secolo, inizialmente col nome “Torre del Capo delle Vedove”, poi “Torre del Crustamo”, “Torre de Crostomo”, infine “Torre Uluzzo”. Risulta agibile nel 1569 secondo gli Elenchi del Vicerè.
L’edificazione fu aggiudicata nel marzo 1568 al neretino Leonardo Spalletta che doveva costruirla secondo il disegno del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala e consegnarla entro otto mesi dal primo maggio successivo. In un documento posteriore risulta che nel 1583 lo Spalletta non aveva ancora ricevuto il saldo dalla regia corte per i lavori della torre.
Nel 2020, il rudere è stato finalmente restaurato e messo in sicurezza con un progetto, che ha avuto un costo di 34 mila euro (25 mila di fondi regionali e 9 mila di fondi di bilancio comunale).
Come scrive il De Salve, dalla documentazione dell’epoca si evince che la torre, ancora efficiente nel 1695, risultava già gravemente danneggiata nel XVIII secolo. Ma esiste invece una testimonianza ancora più antica della torre che la precedeva.
Differenti dalle loro sorelle più grandi e possenti torri di difesa, quelle di solo avvistamento, le cosidette “tipiche del Regno”, avevano sola funzione di orientamento per i naviganti e di allarme per gli abitanti dell’entroterra.
Il suggestivo e scenografico rudere è ormai privo di copertura con i muri parzialmente crollati. Con le impronte dei barbacani di tre piombatoie in lato mare (il più integro), lascia ancora intuire la struttura di una torre tipica del Regno a corpo quadrangolare scarpato (9,50 m per lato) e coronamento controscarpato.
Nel comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Inserraglio a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di circa 3 metri. Versa tuttora in completo stato di abbandono.
Torre Inserraglio (detta anche di Critò, alterazione dialettale di critmo, finocchio marino) comunicava visivamente a sud con Torre Uluzzo e a nord con Torre Sant’Isidoro, entrambe nel Comune di Nardò. Si trova in una zona relativamente poco urbanizzata.
La Storia
L’edificazione di questa torre fu aggiudicata nel marzo 1568 al leccese Camillo Chiarello, che si impegnò a costruirla secondo il disegno del Regio Ingegnere Giovanni Tommaso Scala e a ultimarla entro otto mesi dal maggio successivo. A causa della morte di Camillo, però, la torre fu completata nel settembre del 1570 dal fratello Donato, che gli era subentrato. Menzionata in tutta la cartografia antica a partire dal 1620, risultava già in cattivo stato nei primi anni del XIX (Primaldo Coco) e ancora in uso alla guardia doganale nel 1842.
La Struttura
É un esempio di torre tipica del regno a corpo quadrangolare scarpato (9,50 metri per lato) e coronamento controscarpato. La torre è stata abbondantemente snaturata da un vistoso corpo in muratura aggiunto in lato-monte. Un altro invasivo intervento di restauro ha conservato però fortunatamente, un tratto del coronamento controscarpato completo di una piombatoia. La torre è costituita da due stanze voltate a botte al piano terra e da un ampio vano unico al piano superiore sul lato nord. La struttura è in stato di abbandono in proprità demaniale, in discreto stato di conservazione.
Nel Comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Sant’Isidoro a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di 3 metri. Oggi è in concessione a privati.
Foto di Giorgio Maghenzani.
Comunicava visivamente a sud con Torre Inserraglio e a nord con Torre Squillace.
La Storia
Di Torre Sant’Isidoro sappiamo con certezza che nel 1622 fu necessario ricostruirla dalle fondamenta. I lavori della ricostruzione furono aggiudicati al neretino Giovanni Vincenzo Spalletta, questo ne affidò l’esecuzione ai concittadini: Ortensio Pugliese, Giovanni Francesco Mergula e Francesco Antonio Pugliese, che portarono a compimento i lavori nel 1624. Compare in tutta la cartografia antica. Fu censita in cattivo stato nel 1825 da Primaldo Coco e fu abbandonata intorno al 1842.
Un tempo la torre dominava questo bellissimo tratto di costa bassa indisturbata ma è stata raggiunta da un’espansione edilizia in tempi governati da assoluta “leggerezza” e insensibilità tanto da essere tollerate costruzioni addossate alla torre stessa. Oggi la torre è in concessione a privati.
Sappiamo che la torre attuale è la ricostruzione dalle fondamenta, iniziata intorno al 1622, della vecchia che era entrata in funzione nel 1569; la notizia dell’esistenza di una torre già nel 1443 e la testimonianza del Galateo che ho riportato alla fine (potrebbe per motivi cronologici riferirsi tanto alla torre originaria quanto alla sua prima ricostruzione) fanno pensare che quella attuale costituisca in realtà almeno una seconda ricostruzione. Da notare che il documento riportato è lo stesso in cui si parla in modo che non lascia assolutamente adito a dubbi, circa una possibile confusione con questa torre, di un’altra torre, da identificare probabilmente con Torre Uluzzo.
La Struttura
Compresa nella serie di Nardò a base quadrata, presenta piano terra quadrangolare senza aperture, di 12 metri per lato, definito da una marcata scarpatura (forse lascia pensare ad un intervento successivo di potenziamento). Il piano agibile, oltre il primo toro marcapiano, presenta finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte. Ma come scrive il Faglia, esistono segni di una porta levatoia sul lato sud anzichè sul lato monte dove ora esiste la scalinata. Si sviluppa inoltre un secondo piano, definito da un altro toro, che continua verticalmente fino al parapetto di coronamento. Questo, aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e una piombatoia su ogni lato, in corrispondenza delle aperture. La garitta, sul terrazzo di copertura, è a filo del parapetto. L’accesso al piano agibile è servito da una scala rampante, probabilmente di epoca successiva.
Al suo interno è presente, al primo piano, un grande locale con camera e piccolo gabinetto in spessore di muro, camino e botola per raggiungere la cisterna sottostante, in un ampio locale voltato a botte. Sul terrazzo si accede alla guardiola attraverso una stretta scala di legno.
Immagini tratte dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia).
Nel Comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Squillace a poco più di 50 metri dal mare e all’altitudine di un metro. Essa è in buono stato di conservazione e tuttora in fase di restauro.
Jack100iso, Flickr
Torre Squillace detta anche “Li Scianuri”, nome che deriva probabilmente dalla scilla, una cipolla selvatica tipica della zona, comunicava visivamente a sud con Torre Sant’Isidoro e a nord con Torre Cesarea.
La Storia
Torre Squillace, allora denominata Scianuri, fu iniziata in località San Giorgio, in corrispondenza del porto omonimo, negli ultimi mesi del 1567, ma i lavori restarono fermi per oltre un anno a causa delle difficoltà finanziarie della competente università di Copertino. Risulta completata nel 1570, ad opera del mastro copertinese Pensino Tarantino, avendo richiesto circa ottomila ducati per la sua realizzazione.
Nel 1640 viene dotata della scala esterna in pietra.
Nel 1707 ospita nelle sue prigioni sedici turchi, naufragati lungo la costa, per osservare la rigorosa quarantena prevista per scongiurare la peste. Da un sopralluogo del 1746 viene attestato che non abbisogna di alcuna manutenzione, per essersi conservata molto bene.
Nel secolo successivo viene data in custodia alle Guardie Doganali (1820), quindi all’Amministrazione della Guerra e della Marina (1829). Nel 1940 i soldati dell’Esercito vi installano una postazione di artiglieria, rimasta attiva fino all’armistizio del 1943.
Nel 2009, ci furono importanti interventi di consolidamento. Ma proprio recentemente, nel 2020, sono in corso lavori di restauro. La Regione Puglia, infatti, ha finanziato con 25mila euro un intervento di conservazione dell’immobile, nell’ambito delle risorse della legge regionale n. 44/2018 sulla tutela e fruibilità delle torri costiere pugliesi. Intervento cui il Comune di Nardò contribuirà con altri 5 mila euro di cofinanziamento. La volontà dell’amministrazione comunale è quella di preservare l’immobile dal degrado e di valorizzarlo a fini turistici e culturali rendendolo anche fruibile al pubblico.
Torre della serie di Nardò a base quadrata, il lato misura circa 13 metri e la sua altezza è di circa 16. Il piano terra è quadrangolare scarpato, senza aperture. Il piano agibile presenta finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte. Il coronamento, leggermente aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e una piombatoia su ogni lato in corrispondenza delle aperture. La garitta, sul terrazzo di copertura, è a filo del parapetto. L’ accesso al piano agibile è servito da una scala rampante probabilmente di epoca successiva poggiante su due archi. Si dota di merloni e di una guardiola sulla terrazza. All’interno si trova un ampio locale voltato a botte con camino sul lato sinistro della porta e il pozzo sul lato destro.
Giovanni Cosi (1989)
Planimetria
Immagini tratte dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia).
Nel comune di Porto Cesareo, a meno di 30 metri dal mare e a un metro di altitudine si erge Torre Cesarea. Attualmente ospita gli uffici della Guardia di Finanza.
Torre Cesarea, anche detta “Torre di Porto Cesareo”, “Torre Capitana”, “Torre del Porto di Leverano” o “di Cesaria”, si trova nel cuore del centro abitato, a pochi metri dalla costa. Comunica a vista con Torre Squillace a sud e con Torre Chianca a nord.
La Storia
La torre fu aggiudicata nell’aprile 1568 al maestro neretino Virgilio Pugliese che lasciò al precettoreuna plegeria di 300 ducati per la costruzione. Si prese dunque l’impegno di completarla entro nove mesi, in conformità al progetto del Regio Ingegnere Giovanni Tommaso Scala. In realtà la torre venne completata molti anni dopo da un altro neretino, Leonardo Spalletta, che subentrò alla morte di Pugliese. Appena mezzo secolo dopo, nel 1622, la torre fu ricostruita dalle fondamenta ed i lavori furono nuovamente assegnati ad un neretino, Giovanni Vincenzo Spalletta, nipote del primo.
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La Struttura
La torre ha una pianta quadrata, il basamento troncopiramidale (21,50 metri per lato) lievemente scarpato e il corpo verticale è coronato da due cordonature, che separano i due piani superiori. In cima alla torre vi sono beccatelli e sei caditoie pensili in corrispondenza delle aperture. La porta del primo piano è raggiungibile attraverso una scala esterna sicuramente costruita successivamente, a doppia rampa, con un arcata sottostante. Al primo piano la torre possiede quattro vani e si accede al secondo tramite una scala ricavata nello spessore delle mura. Entrambi i piani sono coperti da volte a botte.
Nel Comune di Porto Cesareo, nell’omonima frazione, si erge Torre Chianca a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine 2 metri. É conservata in ottimo stato. Da non confondere con l’omonima torre sul litorale adriatico.
Torre Chianca, conosciuta anche come Torre di Santo Stefano, sorge su una penisola tra Torre Lapillo e Torre Porto Cesareo con le quali comunicava rispettivamente a nord e a sud. Mutua il nome dal termine dialettale “chianca” che significa “lastra di pietra”.
La Storia
Non si hanno indicazioni precise su chi la costruì ma avvenne con ogni probabilità durante il regno di Filippo II (1527-1598). Nella cartografia e in altri documenti, compare a partire dal XVIII secolo. Fu censita in cattivo stato da Primaldo Coco nel 1825 e venne abbandonata intorno al 1842.
Durante la seconda guerra mondiale, venne usata dai soldati italiani come rifugio, i quali decisero di creare al suo interno una stazione di artiglieria. Durante questo periodo, la torre subì diverse lesioni e ammaccature a causa dei soldati tedeschi rifugiatisi nei campi di Leverano e San Pancrazio, che erano soliti compiere le loro esercitazioni belliche nell’area della torre. Dopo una serie di accurati restauri, l’ultimo dei quali nel 2017, che hanno mirato al consolidamento delle pareti e dei soffitti, Torre Chianca è divenuta oggi la sede del Centro di Primo Soccorso Tartarughe Marine e Centro di Esperienza Ambientale.
La Struttura
La torre, alta circa 18 metri, è l’unica tra le torri della serie di Nardò a base quadrata, a non avere l’imponente scala esterna, ha piano terra quadrangolare scarpato (16 metri per lato), oltre il toro marcapiano, il piano agibile con finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in alto monte, continua verticale fino al parapetto di coronamento. Questo leggermente aggettante e sostenuto da beccatelli ha tre piombatoie a sbalzo su quattro lati, anche non corrispondenti alle aperture.
Immagini tratte dal libro di Vittorio Faglia (vedi bibliografia)
Nel Comune di Porto Cesareo, nell’omonima frazione, si erge Torre Lapillo a 50 metri dal mare e a un’altitudine di 2 metri. Si presenta ben conservata e restaurata.
La torre,che oggi presta il suo nome alla località balneare, si trova a cinque chilometri dal centro di Porto Cesareo. In passato conosciuta anche col nome di “Torre di San Tommaso”. Essa domina un’insenatura detta “dell’uomo morto” e comunicava visivamente con Torre Chianca a sud e con Torre Castiglione, oggi un rudere, a nord.
La Storia
Torre Lapillo fu ultimata nel 1568. Giovanni Cosi nel 1989 riporta i seguenti documenti reperiti presso l’Archivio di Stato di Napoli:
“Marco Antonio Gigante di Leverano e Donato Casavecchia di Veglie l’11 settembre 1567, ricevono dal loro procuratore, per il servizio di cavallaro nella guardia detta lo Lapillo: il primo 31 ducati, 2 tari e 10 grana per il periodo 1 dicembre 1566 – 31 agosto 1567, in ragione di tre ducati e mezzo il mese; il secondo 17 ducati, 2 tari e 10 grana per il periodo dal 1° aprile al 31 agosto 1567, in ragione di tre ducati il mese.”
“Marco Antonio Gigante di Leverano e Donato de Orazio di Taranto, cavallari, come sopra, il 13 settembre 1567, ricevono dal loro procuratore, lo spagnolo Michele de Valera, 4 ducati ciascuno per mese di settembre 1567.”
Venne documentata da Primaldo Coco, come riporta il De Salve, in cattivo stato nel 1825 e poi abbandonata nel 1842. Notizie in contrasto con quanto scritto dalla Ferrara, che la descrive come una residenza estiva nobiliare e rifugio di caccia, una volta terminato il periodo dei pericoli dal mare.
I suoi locali ospitano oggi un Centro Visite Turistico-Ambientali dove è possibile reperire un vasto materiale informativo turistico, sia sul territorio salentino che sul parco naturale in cui è incastonata come una gemma Porto Cesareo.
Dal sito NelSalento.com
La Struttura
Alta ben 17 metri, è una delle torri più grandi del territorio. La recente ristrutturazione ha incorniciato la torre tra bassi muretti a secco e un prato verde, e all’interno ha portato alla luce i diversi ambienti, dalla grande sala voltata a botte al primo piano, alle altre numerose stanze dove dormivano i torrieri. La torre ha una cisterna al piano terreno, dove si conservavano le provviste e gli armamenti. Classificata come torre della serie di Nardò a base quadrata, ha un piano terra quadrangolare definito da moderata scarpatura (16 m per lato), senza aperture.
Il piano agibile con finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte (quello opposto al mare), si sviluppa fino al parapetto di coronamento. Questo, aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e tre piombatoie su ogni lato, anche asimmetriche alle aperture, in lato mare e ne annette una quarta verso costa-sud. La garitta, sul terrazzo di copertura, interna al parapetto, è stata rifatta successivamente e trasformata in camera. L’accesso al piano agibile è servito da un’imponente scala rampante a tre arcate. L’ultimo arco è di realizzazione più recente. Essendo una torre fortificata, infatti, alle origini la scalinata finiva su di un ponte levatoio.
Nel Comune di Porto Cesareo, nell’omonima località, si ergeva Torre Castiglione a 3 metri sul livello del mare. Oggi il rudere è quasi del tutto scomparso, in pessimo stato di conservazione.
Dal sito 365 Giorni nel Salento
Torre Castiglione comunicava visivamente a sud con Torre Lapillo e a nord con Torre Colimena, nel comune di Manduria. Nella cartografia dell’epoca è indicata inizialmente come “Torre della Punta di Castiglione”. Essa è l’ultima torre presente sulla costa Ionica in provincia di Lecce, muovendosi da sud verso nord.
La Storia
L’edificazione della torre risale al 1568. I lavori furono affidati prima a Virgilio Pugliese e poi, dopo la morte di quest’ultimo, furono proseguiti dal compaesano neretino Leonardo Spalletta. La torre fu censita in buono stato nel 1825 da Primaldo Coco e risultava ancora in uso nel 1842 dalla Guardia Doganale. Succesivamente, in un epoca non precisa, essa crollò probalbilmete a causa di un cedimento del terreno dovuto all’attivo carsismo, un fenomeno che interessa tutto il territorio pugliese.
In prossimità della torre infatti sono presenti delle cavità nel terreno (doline) definite localmente “spunnulate”, termine salentino che indica “le sprofondate”. Si tratta di un fenomeno caratterizzato dal cedimento delle volte di grotte sotterranee, ad opera di corsi d’acqua che si insinuano nel sottosuolo.
La Struttura
É classificata nella serie di Nardò a base quadrata per le caratteristiche dedotte dal rudere ancora presente sulla piccola penisola rocciosa che un tempo dominava. Si evince ancora parte del basamento quadrato scarpato di circa 11 metri per lato.