Tag: salento archeologico

Torre Borraco

Nel Comune di Manduria, nella località di San Pietro in Bevagna, si erge Torre Borraco a circa 200 metri dal mare e a un’altitudine di 14 metri. La torre è stata restaurata.

Da Wikipedia.

Torre Borraco sorge in contrada Bocca di Borraco e prende il nome dall’omonimo ruscello che scorre a circa 240 metri di distanza. La torre, un esempio classico di tipica del Regno, comunicava visivamente a est con Torre San Pietro in Bevagna e a ovest con Torre Moline. Il suo nome subisce variazioni in base alle fonti consultate: Barraco, Burraco o Boraco sono solo alcune di esse.

La Storia

Torre Borraco appartiene a quella serie di torri che furono erette in seguito all’ordinanza del 1563 del vicerè don Perafan De Ribera che, proprio in quel periodo, incrementò di gran lunga il numero di torri costiere sul territorio. La torre fu iniziata dal maestro Virgilio Pugliese e completata da Leonardo Spalletta. Riguardo la sua costruzione, Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“Il maestro Virgilio Pugliese si è aggiudicato, oltre a quello delle torri di Porto Cesareo e di Ponte di Castiglione, anche l’appalto della torre di Borraco, con l’offerta di 7 carlini la canna della fabbrica. Nel rilasciare al Percettore una «plegeria» di 300 ducati, il 28 aprile 1568 accetta anche le condizioni dell’appalto, nelle quali viene stabilito, tra l’altro, che la torre dovrà essere costruita secondo il disegno dell’ingegnere Giovanni Tommaso Scala e dovrà essere completata entro 9 mesi dal primo maggio prossimo.”

Alla morte di Virgilio Pugliese subentrò il maestro Spalletta, il Cosi (1989) riporta infatti che: “Leonardo Spalletta che, come è già stato detto, è subentrato al defunto Virgilio Pugliese, il 1° luglio 1569 riceve dal Percettore 40 ducati in acconto”. E infine: “Leonardo Spalletta, il 28 aprile 1583 rilascia procura al figlio per riscuotere dalla Tesoreria generale il saldo anche di questa torre.”

Torre Borraco compare in tutta la cartografia antica a partire dal XVII Secolo con i nomi: Buracco, Beraco, de Sorano, Borago, Borajo, Boraggo, Boraco e anche Boraca. Non è presente nell’elenco del vicerè del 1569.

La torre, oltre a comunicare con le vicine Torre San Pietro in Bevagna, con Torre Moline e con le masserie dell’entroterra, presidiava il vicino fiumicello in quanto era molto appetibile per il rifornimento di saraceni e pirati di ogni tipo.

La torre, scampata la minaccia dal mare fu utilizzata fino all’800 dalle Guardie Doganali. Una volta abbandonata, per via degli agenti atmosferici, si stava sgretolando. Era crollato il tetto e all’interno della struttura cresceva spontaneo un albero di fico. Nel 2011 e per i due anni successivi la torre è stata sottoposta a un restauro completo che l’ha riportata al suo antico splendore e alla costruzione ex novo di una scala. Per maggiori informazioni più dettagliate sul restauro: http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=5924

Cronologia

1583: torriero Caporale Garzia Francesco.
1695: torriero Caporale di Lauro Vito Antonio.
1777: custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: torre in buono stato (Primaldo Coco).
1842: utilizzata dalle Guardie Doganali.
1978: ruderi (ricognizione Vittorio Faglia).
2011: definitivo restauro.
In parte, Vittorio Faglia (1978)

Torre Borraco prima e dopo il restauro a confronto.

Foto di Lorenzo Netti.
Fabio Protopapa (2014).

Torre Borraco negli anni ’70 e ’80.

La prima foto è di Giovanni Cosi (1989), le successive di Marcello Scalzi (1982), l’ultima è tratta dall’opera di Vittorio Faglia (1978).

La Struttura

Torre Borraco è classificabile nella tipologia di tipica del Regno, tronco piramidale a base quadrata (10,30 x 10,20) a tre caditoie per lato con la caratteristica particolare di due feritoie basse su ogni lato e al centro dei barbacani centrali. E’ caratterizzata da spigoli e caditoie in pietre squadrate, mentre le pareti sono costituite da pietre irregolari disposte in corsi.

Contrariamente alle altre torri, a cui si accedeva tramite una scala esterna, a Torre Borraco si arriva al vano interno mediante una serie di aperture posticce aperte in breccia sulla facciata a monte e nella cisterna. L’ingresso originale è a circa 5 metri da terra. Entrando a destra si trovava l’apertura del pozzo, inoltre, ricavati nella parete, i fori a sezione quadrata che convogliavano le acque raccolte dal terrazzo nella cisterna e a sinistra si trovava il camino. La volta che ricopriva il tutto era a botte.

Foto di Gloria Valente.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/6X2k9YCfHHeHDAUW6

Bibliografia:

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Caprara, A., Crescenzi, C., & Altri (1982). Le torri costiere per la difesa anticorsara in Provincia di Taranto. Firenze-Taranto: Edizioni il David.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

VisitManduria (2020). Torre Borraco. Sito Web.

Torre delle Saline

Nel Comune di Manduria, nella Riserva naturale Salina dei Monaci, si ergeva Torre delle Saline a 350 metri dal mare e a 5 metri d’altitudine. Oggi restano solo dei modesti ruderi.

Il rudere della torre alle spalle della salina. Dal sito Visit Manduria.

Torre delle Saline differisce nella sua funzione dalle altre torri costiere sul litorale salentino perché non faceva parte del sistema unitario ideato dagli aragonesi nel XVI Secolo. La torre era adibita alla protezione delle strutture adiacenti dove avveniva la lavorazione e il deposito del sale. Nelle vicinanze vi è anche una piccola cappella, anch’essa in stato di abbandono.

La Storia

Il nome Salina dei Monaci deriva dal fatto che questa fabbrica del sale fu gestita dai monaci benedettini a partire dal XVIII Secolo. Torre delle Saline fu citata per la prima volta nella cartografia antica nell’ultimo decennio del XVI Secolo da Mario Cartaro. Comparirà anche in tutta la successiva cartografia del XVII e XVIII Secolo. Fu indicata nel 1874 e 1947 come Casa della Salina.

Lo studioso Vittorio Faglia (1978) la ritiene più antica di tutte le altre torri ma, non viene data una giustificazione e questa notizia non può essere confermata in quanto l’autore sembra confondere queste saline con quelle di Castellaneta.

Con la fine di questa breve storia, ne inizia una nuova a seguito della bonifica antimalarica negli anni del 1940, che portò a realizzare questo favoloso ambiente naturale ideale per la nidificazione di numerosi uccelli acquatici e migratori. Con una superficie di circa 2,7 Km la Salina dei Monaci e le dune di Campomarino fanno parte della Riserva Naturale Regionale Orientata del Litorale Tarantino a partire dagli anni 2000.

Di seguito, alcune immagini tratte da Le torri costiere per la difesa anticorsara in Provincia di Taranto (1982).

La Struttura

Della torre oggi rimangono pochi ruderi e sembra purtroppo destinato a sparire presto. La costruzione era in conci di tufo regolarmente squadrati, su due piani distinti da un toro marcapiano. Sono caratteristiche collegabili alle torri della Serie di Nardò. Come quelle, la torre presentava base quadrata troncopiramidale, corpo parallelepipedo sul toro, coronamento in lieve sbalzo su beccatelli, caditoie su mensoloni, leggibili fino agli anni ’80. Vi era un locale ricavato al piano terra, probabilmente in comunicazione con i magazzini del sale ma non è possibile fare ulteriori analisi per via del materiale di crollo.

Dalle testimonianze raccolte da Roberto Caprara, nel 1982 era ancora possibile ammirare ciò che restava del primo piano ovvero le pareti vista mare e costa-est. Su quest’ultima si trovava uno stipo e si leggevano le tracce di un’apertura e di una probabile scala al terrazzo in spessore di muro. Entrambi i locali della torre erano voltati a botte. In linea massima, alla base la torre doveva misurare 10 metri per 10 circa, mentre in altezza si doveva sviluppare per circa 12 metri.

Oggi della struttura rimangono due importanti frammenti verticali.

Dal sito del FAI.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/wrYA6uYBY5uWWPGr6

Bibliografia:

Caprara, A., Crescenzi, C., & Altri (1982). Le torri costiere per la difesa anticorsara in Provincia di Taranto. Firenze-Taranto: Edizioni il David.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Punta Prosciutto.com (2020). Salina dei Monaci. Sito Web.

Torre Colimena

Nel Comune di Manduria, nell’omonima località, si erge Torre Colimena, a 30 metri dal mare e a un’altitudine di 4 metri. La torre è in ottimo stato di conservazione.

Dal sito Visit Manduria.

Torre Colimena (Columèna in dialetto manduriano oppure Culimèna/Culumèna in dialetto avetranese) comunicava visivamente a sud con Torre Castiglione e a nord con Torre delle Saline. Muovendosi lungo la costa da sud verso nord, essa è la prima delle torri costiere della Provincia di Taranto e l’ultima classificabile come torre della serie di Nardò a base quadrata. La torre ha dato il nome all’omonima località balneare che si è sviluppata principalmente nello scorso secolo quasi a ridosso della torre stessa. La zona è rinomata anche per via della Riserva naturale regionale orientata del Litorale Tarantino Orientale. Il termine Colimena è di dubbia origine e con molta probabilità, deriva dal greco.

La Storia

Nel 1855, Girolamo Marciano racconta un’evento accaduto presso quello che descrive come il “porticello detto della Calimera” in riferimento ad un porticciolo nella stessa zona dove oggi sorge la torre. I fatti risalgono al 1547 quando ancora Torre Colimena non esisteva. Furono innumerevoli gli episodi di questo tipo ed interessarono l’intero territorio, tanto da spingere le autorità aragonesi a prendere dei provvedimenti costruendo il sistema difensivo che possiamo ammirare tuttora.

Esattamente il 1° gennaio 1547 circa cento corsari Turchi sbarcarono da cinque galeotte dopo essere approdati nel porticciolo di Colimena e si spinsero in un’incursione nell’entroterra, depredando i raccolti delle masserie attorno a San Pancrazio e assalendo il castello di Avetrana guidati da Chria, “un certo rinnegato del detto castello”, o meglio, un uomo locale convertito all’Ilsam.

Torre Colimena fu costruita dal maestro leccese Camillo Chiarello, nella seconda metà del XVI Secolo, secondo il progetto del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala, come evidenziato dai documenti reperiti dallo studioso Giovanni Cosi (1989) dall’Archivio di Stato di Napoli:

“L’appalto dei lavori per la costruzione della torre della Colimena viene assegnato al maestro leccese Camillo Chiarello per aver questi offerto, all’asta fatta bandire a Taranto nel marzo 1568 da Alonso de Salazar, 7 carlini e 8 grana la canna della fabbrica. Il partitario, il 13 aprile 1568, rilascia al Percettore una plegeria di 300 ducati e accetta il capitolato d’appalto in cui, tra l’altro, è detto che la torre dovrà essere costruita in base al disegno dell’ingegnere Giovanni Tommaso Scala e dovrà essere completata entro otto mesi dal prossimo maggio.”

“Il Chiarello, per la riscossione degli acconti a lui dovuti dalla R. Corte per la costruzione della Torre, il 27 luglio 1568 rilascia procura al maestro Gabriele Meschinello.” Successivamente, “un acconto di 56 ducati viene dato il 1° luglio 1569 dal Percettore al Chiarello per i lavori finora eseguiti.”

Nel settembre 1570, il maestro Camillo Chiarello morì e i lavori di costruzione di Torre Colimena (nonché quelli di Torre Inserraglio) furono momentaneamente sospesi, per poi essere ripresi dal fratello, il maestro Donato Chiarello coadiuvato dai maestri Ortensio e Gabriele (detto Beli) Mischinello.

Torre Colimena non appare nell’elenco del Vicerè del 1569 e nemmeno in quello di Henrico Bacco Alemanno del 1611. Compare però nella Descrizione del Regno di Napoli di Scipione Mazzella del 1601 come Torre Columena e nella successiva cartografia del XVII e XVIII Secolo.

Si è a conoscenza di alcuni nomi di coloro che vivevano la torre. Nel 1583 è torriero il Caporale Pietro Grano coadiuvato da Orazio Monaco. Nel 1730 è torriero il Caporale Giulio Brigante.

Nel XIX Secolo le torri persero la loro funzione originaria e molte furono abbandonate. Torre Colimena però, ancora in buone condizioni, fu utilizzata anche come residenza estiva. Infatti, la maestosa scalinata e anche il complesso di costruzioni aggiuntive sul terrazzo, furono aggiunte in tempi in cui era svanita la minaccia dal mare.

Nel XX Secolo, la località, considerata in passato un ricovero per soli pescatori, già a partire dagli anni ’60 ha avuto uno sviluppo urbanistico importante, divenendo sede di case di vacanza in particolare per gli abitanti dei paesi circostanti, attratti dalle bellezze naturali e dalla tranquillità del luogo. La torre per lungo tempo è stata in concessione a privati, oggi è custodita da un guardiano.

Dal sito del FAI.
Torre Colimena nel 1982, fonte in bibliografia.

La Struttura

Torre Colimena è classificabile come torre della serie di Nardò dunque molto simile alle vicine Torre Lapillo, Torre Chianca, Torre Squillace, ecc. E’ una torre a base quadrata troncopiramidale fino all’altezza del toro marcapiano, a 6 metri circa da terra, da qui si erge come un parallelepipedo, alto altri 8 metri. In cima vi è un coronamento particolarmente curato, a quota 14 metri circa, caratterizzato da beccatelli e caditoie pensili. La torre fu costruita in conci di tufo regolari. Sulla facciata si aprono due finestre, la prima illumina il vano scala, la seconda illumina il vano principale. All’interno, sulla parete a destra dell’entrata si trova l’imboccatura del pozzo; sulla sinistra il grande camino nel tempo modificato, illuminato da una finestra, ingloba il forno e uno stipo, entrambi ricavati nel muro perimetrale della torre. Due finestre si affacciano sui lati minori ad est e ad ovest. La stanza è voltata a botte.

La scala monumentale di accesso, a tre arcate, costruita in un periodo successivo, è larga 1,75 metri ed è provvista di un parapetto alto circa 90 cm. Si ipotizza che l’accesso in origine avvenisse tramite un ponte levatoio, come confermerebbe il riquadro intorno alla porta per l’incastro di una ribalta. In cima alla torre vi sono delle costruzioni aggiunte in epoche successive. Con esse la torre raggiunge i 21 metri di altezza circa.

Nelle seguenti planimetrie realizzate da Carmela Crescenzi e Marcello Scalzo, tratte dal libro “Le torri costiere per la difesa anticorsara in Provincia di Taranto“, si nota a sinistra la cisterna al piano terra; a destra invece, il piano agibile con i suoi tre grandi spazi principali.

Foto di Francesco Loliva.
Dal sito ItalianWays.com

Torre Colimena vista dall’alto

Dove si trova: https://goo.gl/maps/S6bKuRxxYsyXxDxJ7

Bibliografia:

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

ItalianWays.com (2020). Torre Colimena Storia e Mare di Salento. Sito Web.

Marciano, G. (1855). Descrizione, origine e successi della provincia d’Otranto. Napoli.

Caprara, A., Crescenzi, C., & Altri (1982). Le torri costiere per la difesa anticorsara in Provincia di Taranto. Firenze-Taranto: Edizioni il David.

Torre Villanova

Nel Comune di Ostuni, nell’omonima frazione, si erge Torre (o Castello) Villanova, a 5 metri dal mare e a un’altitudine di 5 metri.

Foto della Lega Navale Italiana Ostuni.

Torre Villanova, o meglio, il Castello di Villanova, faceva parte di quella serie di fortificazioni difensive preesistenti in Terra d’Otranto, che nella seconda metà del Cinquecento furono ritenute essenziali da parte degli aragonesi e furono comprese nel sistema unitario e ininterrotto di torri costiere. La sua posizione strategica permetteva al castello di difendere non solo il porticciolo ed il piccolo borgo ma anche la vicina città di Ostuni, comunicando con Torre San Leonardo a nord e con Torre Pozzelle a sud.

La Storia

Nel 1182, Tancredi, Conte di Lecce e signore di Ostuni, concesse al vescovo e ai cittadini ostunesi di fondare un centro presso San Nicola di Petrolla e di popolarlo. Nel 1277, Carlo d’Angiò fondò Villanova rimpiazzando la piccola Petrolla.

Nel 1278, in epoca angioina dunque, fu iniziata la costruzione della cinta muraria di Villanova e dopo circa una ventina di anni ebbe inizio l’edificazione del primo nucleo del castello. Purtroppo, per diversi motivi, ben poco resta dell’originale fortezza.

Esistono documenti che testimoniano i nomi di alcuni dei castellani che assunsero il comando della fortezza, fra cui si ricordano Gaspare Petrarolo nel 1463, Cipriano Arsenio nel 1562 e Prospero Idrosio nel 1579.

Giovanni Cosi (1989) riporta alcuni interessanti documenti tratti dall’Archivio di Stato di Napoli, tra cui il seguente:

Giovanni Maria Pilante procuratore dell’Università di Ostuni, in virtù di lettere della R. Camera della Summaria spedite il 29 gennaio 1579 (in Curie 35 fol. 8), il 3 febbraio 1580 riceve dal Percettore provinciale 211 ducati, 1 tari e 16 grane che l’Università ha speso per la riparazione della torre.

Dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’30 del Novecento, la torre è stata usata come presidio militare e quindi manutenuta a cura del Genio civile, sezione fabbricati demaniali. Quando il castello perse la sua funzione, fu abbandonato ed è rimasto in tale condizione fino ai nostri giorni.

Dal sito La Voce di Maruggio

La Struttura

Si tratta più che di una torre, di un vero e proprio fortino. La struttura, seppur molto articolata e distante dalla concezione tipica di torre costiera, presenta similitudini, per certi aspetti, con Torre Santa Sabina o Torre San Pietro in Bevagna con la loro tipica forma a stella a quattro punte. Nel complesso, si distinguono facilmente una base a scarpa con cordolo alla sommità e, a seguire, un corpo verticale. Degni di nota anche alcuni corpi aggiuntivi e una torretta adibita a faro in tempi più recenti. Purtroppo la struttura versa nell’incuria.

Giovanni Cosi (1989)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/23tXDfQQBWU7QVgJ6

Bibliografia:

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

La Voce di Maruggio (2019). Fortezze e Castelli di Puglia: Il Castello di Villanova (Ostuni). Sito Web.

Wikipedia (2021). Villanova (Ostuni). Sito Web.

Torre Pozzelle

Nel Comune di Ostuni, nell’omonima località, si erge Torre Pozzelle, a 70 metri dal mare e a pochi metri d’altitudine. Il rudere è in parte crollato ma è stato recentemente restaurato.

Foto di Enzo Suma.

Torre Pozzelle (o Pozzella) è inserita in un bellissimo contesto naturale, immersa in un tratto di costa quasi incontaminato, caratterizzato da basse scogliere, macchia mediterranea e piccole insenature. Comunicava visivamente con Torre Santa Sabina a sud e con Torre Villanova a nord.

La Storia

Torre Pozzelle è una torre costiera classificabile come tipica del Regno, la cui origine risale all’Orden General di Perafan De Ribera (1563) che proprio in quel periodo incrementò di gran lunga il numero di torri costiere sul territorio. Nella cartografia antica ha assunto diversi nomi tra cui “Puzzelle”, “Puzzelli”, “Puzzeglie”, “Puzzella” e “de’ Pozzelli”.

Giovanni Cosi (1989) riporta un documento tratto dall’Archivio di Stato di Napoli, a proposito della costruzione della torre affidata a Massenzio Gravili:

“Il maestro Massenzio Gravili di Lecce, in virtù di lettere del 9 settembre 1567 spedite dalla R. Camera (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese del Governatore provinciale, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a bon conto per la costruzione della torre detta le Puzzelle.”

La torre nel XIX Secolo fu abbandonata nel momento in cui perse la sua funzione originaria. In anni recenti vi sono stati degli interventi di restauro che fortunatamente hanno messo in sicurezza la struttura che versava in stato di degrado e rovina.

Cronologia:

XVI Secolo: compare nella cartografia.
1655: torriero Cap.le Cagnas Sebastiano.
1730: torriero Cap.le Calcagno Giovanni.
1777: custodita dagli Invalidi (associazione).
1842: in abbandono.
1978: censita da Vittorio Faglia.
Faglia (1978)
Vittorio Faglia (1978)
Dal sito AgendaBrindisi.

La Struttura

Torre Pozzelle è un classico esempio di torre tipica del Regno, a base troncopiramidale con tre caditoie in controscarpa, ormai poco visibili. Gli angoli sono caratterizzati da blocchi squadrati e regolari, mentre il resto della muratura è costituito da pietrame informe ma disposto in corsi orizzontali. Sulle pareti vi sono anche evidenti segni di intonaco databile ad epoche passate. Al piano terra vi è tuttora la camera un tempo adibita a cisterna.

Attualmente la torre presenta un ampio crollo nella zona lato nord-ovest che ha messo in evidenza l’interno del piano agibile. I recenti interventi di restauro sono ben evidenti in particolare in parte del coronamento.

Vittorio Faglia (1978)
Dal sito Italiani.it
Dal sito BarbarHouse.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/LaegPFM7dTU6Ze7S7

Bibliografia:

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Torre Testa

Nel Comune di Brindisi, in località Giancola o Torre Rossa, si erge Torre Testa a 15 metri dal mare e a un’altitudine di pochi metri. Vi sono stati diversi tentativi di restauro ma mai definitivi.

Dal sito Senza Colonne

Torre Testa, anche detta “Torre Testa di Gallico” o “Capogallo”, è situata a 7km lungo la litoranea nord da Brindisi, in una splendida posizione all’estremità di una piccola penisola lontana dalle più recenti costruzioni. Comunicava un tempo con Torre Punta Penne a sud e con Torre Guaceto a nord.

La Storia

Secondo alcuni, il nome “gallico” deriverebbe dalla forma di testa di gallo del promontorio su cui è posta. In realtà, come sottolineato dal sito BrindisiWeb, è più probabile che derivi dal termine Jaddico che, nelle lingue nordiche, significava bosco o foresta.

Come in altri casi in Terra d’Otranto, Torre Testa era posta alla foce di un canaletto, quasi un fiumicello, detto Giancola, dal quale turchi e corsari potevano rifornirsi di acqua dolce per proseguire i loro nefasti viaggi. Di conseguenza, la sua posizione era estremamente strategica.

Torre tipica del Regno, i lavori di costruzione iniziarono nel 1567, in seguito all’Orden General di Perafan De Ribera che proprio in quel periodo incrementò di gran lunga il numero di torri costiere sul territorio.

Torre Testa fu realizzata da Giovanni Maria Calizzi e continuata da Cesare Schero e Marco Guarino di Lecce. A conferma di ciò, Giovanni Cosi (1989) ha riportato i seguenti documenti reperiti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“Il maestro Giovanni Maria Calizzi di Brindisi, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal marchese di Capurso, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a bon conto, per la costruzione della torre detta le Teste de Gallico.”

“Ancora il Calizzi, in virtù di mandato spedito il 30 giugno 1569 dal Governatore provinciale, il giorno successivo (1° luglio 1569) riceve dal Percettore provinciale 22 ducati per la fabbrica della suddetta torre.”

“Dopo 15 anni dall’inizio dei lavori, la Torre non è ancora ultimata ed essendo il maestro Calizzi troppo distante ed in altro occupato, il 30 giugno 1582 affida i lavori di completamento ai maestri leccesi Cesare Schero e Marco Guarino.”

Dal censimento di Vittorio Faglia negli anni ’70 dello scorso secolo, si comprende che la torre versava in pessime condizioni. In anni recenti sono stati effettuati dei necessari interventi di messa in sicurezza e di recupero, purtroppo lasciati incompleti ed insufficienti.

Cronologia:

1569: esistente secondo l’elenco del vicerè.
1582: torriero Caporale Chiabrera Jouan.
1590: torriero Caporale Parescia Consavo.
1596: torriero Caporale Perez Francesco.
1696: torriero Caporale Pinto Donato.
1727: torriero Caporale Santoro Pietro.
1777: custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: in cattivo stato (secondo Primaldo Coco).
1842: abbandonata.
1978: ruderi (censimento di Vittorio Faglia).
Faglia (1978).
Vittorio Faglia (1978), lato costa-monte.
Vittorio Faglia (1978), lato nord.
Tiziana Balsamo, Instagram (2021)

La Struttura

Torre Testa è una torre classificabile come tipica del Regno. Essa è caratterizzata da pianta quadra, corpo troncopiramidale e originariamente tre caditoie per lato. Tutte le pareti sono in tufo e nel tempo sono state corrose dal mare ma anche manomesse dagli uomini. Nella parte originale della torre si nota bene il pietrame non regolare utilizzato. All’interno vi era una volta a crociera, un camino e un vano sopra la porta per salire al terrazzo.

Come spesso accade, è crollata la volta del piano agibile superiore. Alcune impalcature sono state montate per prevenire un ulteriore crollo. Il lato nord risulta il più danneggiato. Sono ben riconoscibili i nuovi rifacimenti di muratura che hanno (in parte) messo in sicurezza la torre.

Dal sito BrindisiWeb.
Giovanni Cosi (1989)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/zZMvHLfjYDC6URBT7

Bibliografia:

Brindisi Web (2007). Monumenti, Torri Costiere Brindisine. Sito Web.

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Torre Punta Penne

Nel Comune di Brindisi, nella località di Punta Penne, si erge l’omonima torre, a 50 metri dal mare e all’altitudine di 3 metri. Il rudere è in discrete condizioni.

VolgoBrindisi, Instagram

Torre Punta Penne, o semplicemente Torre Penna, comunicava visivamente con le difese della città di Brindisi a sud e con Torre Testa a nord. Sorge a Punta Penne o Capo Gallo. Il paesaggio costiero è di tipo roccioso con piccole insenature caratterizzate da lidi sabbiosi, basse scogliere, calette e ampi tratti di macchia mediterranea, ma purtroppo fortemente abbandonato a se stesso. Anche la torre versa in una condizione di degrado.

La Storia

Indicata da tutta la cartografia antica, la torre esisteva già prima dell’ordinanza vicereale con la quale, nel 1563, per volontà del vicerè Duca d’Alcalà don Perafan de Ribera, venne ricostruita. La ricostruzione vide impegnato nei lavori, almeno nel 1568, il maestro muratore brindisino Giovanni Parise (lo stesso che terminò i lavori di Torre Mattarelle). Le spese di riparazione di muratura e di falegnameria rimanevano accollate all’Università di Brindisi.

Vicino a Torre Penna, nel 1676 sbarcarono due galere turche e saccheggiarono cinque delle limitrofe masserie spingendosi sino alla Madonna del Casale. Nello stesso anno, una galera turca, sbarcò nella zona compresa tra Torre Penna e Torre Testa, facendovi dodici schiavi dalle vicine masserie. Questi due eventi dimostrano così l’inefficienza della cortina vicereale.

Nel corso del 1800 fu costruito affianco anche un faro, adesso non più presente. La torre fu riutilizzata dalla Guardia di Finanza negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale che intervenne rimuovendo brutalmente buona parte dell’intera struttura che originariamente era molto più alta. Purtroppo, oggi rimane solo la scarpata. Nell’area circostante viene poi realizzata una batteria militare denominata “Menga” con la presenza anche di una polveriera.

In anni più recenti, il Gruppo Archeologico Brindisino ha installato nei pressi di Torre Punta Penne e Torre Testa, un pannello illustrativo che racconta la storia delle torri, sia in lingua italiana che in inglese. Inoltre, sulle torri sono stati apposti degli striscioni con su scritto “AIUTATEMI A NON CROLLARE”.

Dal sito BrindisiWeb

La Struttura

Torre Punta Penne è caratterizzata da una pianta quadrata. La base della torre troncopiramidale è stata secondo Vittorio Faglia (1978) probabilmente svuotata in un secondo tempo. Gli spigoli sono costituiti da pietre regolari e le pareti da pietre non regolari. La scala esterna al primo piano, in parte ricavata nel basamento, è di epoca successiva in quanto, originariamente, si accedeva con scale rimovibili. In origine verosimilmente era classificabile come torre tipica del regno. All’interno vi sono due locali per piano. La rara cartolina d’epoca che ritrae la torre prima di essere troncata lascia pensare che essa abbia subito diversi rifacimenti sia in epoche passate che più recenti.

Torre Penna nel 1970, dal libro di Vittorio Faglia (1978)
Immagini tratte dal libro di Giovanni Cosi (1989)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/f9KEWS7SJmjbwHv68

Bibliografia:

ArcheoBrindisi (2013). Torri Costiere Brindisine. Sito Web.

Brindisi Web (2007). Monumenti, Torri Costiere Brindisine. Sito Web.

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.





Torre Cavallo

Torre non più esistente.

I resti di Torre Cavallo nel 1966, dal sito BrindisiWeb

Tra Storia e Leggenda

La particolare conformazione a sud del porto di Brindisi e gli isolotti delle Pedagne, rappresentavano un problema per le imbarcazioni. I naufragi in questo tratto di costa erano frequenti. Come riporta BrindisiWeb, al Registro Angioino risulta che nel 1275 un tale Pasquale Faccirosso, cittadino di Brindisi, morendo, lasciava con atto testamentario la cifra di 50 once d’oro perché nel luogo detto “scoglio del Cavallo” fosse costruita una Torre con faro “onde i naviganti potessero evitare gli infortuni navigando in quei paraggi”.

Alcuni anni prima, Capo Cavallo prese il nome da un leggendario evento avvenuto nel 1250, quando la nave di Luigi IX re di Francia, conosciuto come il Re Santo, si incagliò contro uno scoglio rischiando di affondare e, mentre tutto l’equipaggio era in preda al panico, il re si mise tranquillamente a pregare innanzi al Corpo di Cristo. Dalla cronaca di S. Antonino di Firenze si legge: “… dopo la terza notte di navigazione, alle prime luci del giorno, la nave che conduceva il Re andò ad urtare ripetutamente contro uno scoglio o lingua di terra, e così violentissimamente che i marinai e tutti gli altri che erano a bordo ritennero per certo di essere sul punto di naufragare. Atterriti dal fortissimo e rovinoso urto, i Sacerdoti e tutti gli altri trovarono invece che il santissimo Re era tranquillamente assorto a pregare innanzi al Corpo di Cristo: e fu ferma convinzione di tutti che soltanto per i di lui meriti e per le di lui preghiere, l’onnipotente Iddio li aveva scampati da quel pericolo mortale“.

Il re dei francesi, portava con sé, privilegio unico nella storia della Chiesa, l’Ostia Consacrata. Per ricevere il sovrano e la SS. Eucarestia si mosse dalla città l’Arcivescovo Pietro III, che essendo anziano montava su un cavallo bianco; ricevuta l’Eucaristia l’avrebbe portata in processione verso la città, sul destriero tenuto dalle briglie dai reali Federico II e Luigi IX con il seguito del clero e del popolo, e terminò alla Cattedrale; questo episodio però è avvolto nella leggenda. Ancora oggi nel mese di giugno l’arcivescovo, montando su un cavallo bianco, ripercorre le strade della città il giorno del Corpus Domini (la cosiddetta “Processione del Cavallo Parato”).

Pasquale Camassa nella sua Guida di Brindisi (1897) narra che secondo la credenza popolare, sul punto della spiaggia dove il cavallo pose le zampe durante il trasporto dell’Eucaristia, erano rimaste delle fossette con la forma tipica dell’orma, da dove sgorgava acqua dolce.
Da qui, l’abbreviazione popolare latina “caput valli”, capo di difesa, si trasformò in Lu Caballu e poi in Punta Cavallo. Ancora oggi nel mese di giungo, viene celebrata l’antichissima processione del Corpus Domini che ricorda quell’evento

Dal sito BrindisiWeb

La Costruzione

Durante il regno di Carlo I d’Angiò fu costruita Torre Cavallo, una torre-faro fatta erigere per volere di Pasquale Faccirosso che aveva donato in punto di morte a tale scopo 50 once d’oro, come già detto.

Al fine di terminare l’opera nel modo più veloce possibile, il re incaricò i brindisini Ruggero Ripa e Nicola Uggento. I lavori di costruzione furono supervisionati dai Templari, ma sfortunatamente la torre crollò subito dopo il suo compimento. Dopo il crollo venne nuovamente ricostruita e terminata nel 1301 sotto il regno di Carlo II d’Angiò.

La torre, ancora una volta crollò, e nel 1567 fu ricostruita sulla stessa base cilindrica di quella angioina, per volontà del viceré aragonese Perafan de Ribera nel suo grande progetto che prevedeva, oltre alla costruzione di nuove torri, anche la riqualifica di quelle già esistenti. I lavori furono affidati al maestro Martino Cayzza come riporta Giovanni Cosi (1989): “Il leccese maestro Martino Cayzza, in forza di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato del 27 dello stesso mese del marchese di Capurso, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore 100 ducati a buon conto, per la costruzione della torre detta del Cavallo.”

Verso la fine del XIX secolo l’archeologo G. Tarantini scoprì una lapide marmorea con l’effige della torre, l’Eucaristia e le colonne della città; essa si trovava sopra la porta d’accesso dell’antica torre angioina.

Dal sito BrindisiWeb

La Demolizione

Impegnata per vari usi, l’ultimo documento sull’esistenza della torre è datato 1842. Probabilmente già diroccata e fatiscente, fu in seguito completamente demolita. Durante la Prima Guerra Mondiale fu costruita una batteria di artiglieria della Marina Militare, sul sito, in piena zona industriale, si notano i ruderi. Ancora nel 1966, in base alle foto realizzate da Federico Briamo, si notavano alcuni resti della muratura basamentale della torre, attualmente non più esistenti.

Resti di Torre Cavallo nel 1966, dal sito BrindisiWeb
Dal libro di Gianfranco Budano in bibliografia.

Dove si probabilmente trovava: https://goo.gl/maps/2JHytMpL85huBitGA

Bibliografia:

BrindisiWeb (2020). Monumenti, Torri Costiere Brindisine, Torre Cavallo. Sito Web.

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.


Torre Mattarelle

Nel Comune di Brindisi, nella località di Punta Mattarelle, si ergeva l’omonima torre, a un’altitudine di circa 10 metri. É quasi del tutto crollata a causa dell’erosione del mare.

Dal sito BrindisiWeb
Roberto Trinchera, Facebook, 2020

Torre Mattarelle comunicava visivamente a nord con Torre Cavallo, non più esistente, e a sud con Torre San Gennaro, anch’essa crollata. La torre, purtroppo rappresenta un monumento perso irrimediabilmente. Ciò che resta oggi del rudere a picco sul mare, sostenuto da una terra morbida e friabile, è visibile recandosi nei pressi della centrale ENEL in località Cerano e percorrendo dei sentieri che portano alla costa.

La Storia

Indicata in antichità anche con i nomi “T. della Punta delle Mattarelle”, “Matrelle”, “Mattarelli” e “Matarelli”, compare nella cartografia a partire dal XVI Secolo.

La sua costruzione cominciò nel 1567, sotto la guida del maestro muratore brindisino Virgilio Pugliese e i lavori furono continuati nel 1569 da Giovanni Parise, impegnato anche su Torre Penna. Le spese di riparazione in muratura e di falegnameria rimanevano di competenza dell’Università di Brindisi. A riguardo, Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“Il maestro Virgilio Pugliese di Brindisi, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal Governatore provinciale, il 6 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a buon conto per la costruzione della torre di Matrelle.”

“Il maestro Giovanni Parise di Brindisi, in virtù del mandato spedito il 29 giugno 1569 dal Governatore provinciale, il 1° luglio 1569 riceve dal Percettore provinciale 104 ducati per la fabbrica della torre detta Matrella.”

Lo stesso Cosi (1989) riporta un documento per il quale “Bernardo Romano di Napoli, caporale della torre Le Matrelle della comarca di Lecce, non potendo attendere al servizio della torre per le sue infermità, il 30 luglio 1702 rinuncia alla sua piazza in favore del congiunto Oronzo Marsilio di Alessano, persona <<abile, atta e sufficientissima>> al detto servizio, avendolo istruito per molto tempo nella torre.”

Altre fonti ci narrano del tenente Gennaro Ripa il quale racconta che il 22 settembre del 1787 all’interno della torre morì un soldato, tale Giuseppe Migliorino, che fu seppellito dietro la torre “e costretto a custodirla anche dopo la propria dipartita” (ArcheoBrindisi).

Intorno agli anni ’80, Torre Mattarelle subì un crollo devastante quando il morbido terreno sottostante franò per via dell’erosione del mare che man mano farà precipitare ciò che rimane di quella che un tempo era una splendida costruzione.

Torre Mattarelle vista da Vittorio Faglia (1978) a sinistra e da Giovanni Cosi (1989) a destra. A conferma che il crollo avvenne negli anni ’80.

La Struttura

Torre Mattarelle era un esempio classico di torre tipica del Regno. Fondamentale è la descrizione di Vittorio Faglia (1978) che ha l’opportunità di ammirarla nella sua interezza alcuni anni prima che franasse la terra sottostante: “In pietrame, spigoli a conci regolari, pareti in pietra irregolare disposte a corsi orizzontali. Crollata la volta a botte, semplice e in tufi regolari, lo spigolo a monte-Sud e quasi due lati. Visibilissimo lo scarico nella cisterna. Attacchi delle caditoie partono da un cordolo di appoggio. La cisterna è in spessore di muro verso monte. La roccia tenera su cui è fondata la torre è stata asportata dal mare nello spigolo mare-nord. Copertura in chianche sezionata.”

Al giorno d’oggi (2021), della torre a pianta quadrata troncopiramidale con caditoie in controscarpa, resistono solo poche vestigia dell’angolo nord-ovest.

Dal sito ArcheoBrindisi
Dal sito ArcheoBrindisi
Torre Mattarelle nel 2007, BrindisiWeb
Dal sito BrindisiWeb

Dove si trova: https://goo.gl/maps/vigqmkA4hyL3LPuv7

Bibliografia:

ArcheoBrindisi (2013). Torri Costiere Brindisine. Sito Web.

Brindisi Web (2007). Monumenti, Torri Costiere Brindisine. Sito Web.

Budano, G. (2018). Regine del Mare: Censimento delle Torri Costiere di Terra d’Otranto.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Nel Comune di Squinzano, in località Casalabate, a pochi metri di distanza dal mare e a circa due metri di altitudine si erge Torre Specchiolla, recentemente restaurata.

Gianluigi Tarantino (2021)


Torre Specchiolla domina la marina di Casalabate, nata un tempo come piccolo borgo di pescatori, oggi meta balneare per molti turisti. Comunicava visivamente a nord con Torre San Gennaro  (oggi scomparsa), nel comune di Torchiarolo e a sud con Torre Rinalda.

La storia

Torre Specchiolla è classificabile come torre tipica del Regno. Questa tipologia di torri costiere furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-75 in seguito all’Orden General di Perafan de Ribera emanato nel 1563, per aumentare ulteriormente il numero di torri a protezione della Terra d’Otranto che proprio in quegli anni era in particolare sofferenza. La torre viene indicata nella cartografia d’epoca inizialmente col nome di “Torre della punta dello Specchio”

La costruzione della torre fu assegnata, come attesta un atto del 19 agosto 1582, a Mario Schero di Lecce in seguito ad una lunga serie di bandi e offerte per l’aggiudicazione e spartizione degli appalti di più torri. Riporta Giovanni Cosi (1989): “Al bando fatto in Napoli, verso la metà del 1582, per la costruzione delle torri: Specchiulla, S. Giovanni de la Pedata, fra Saturo e Capo S. Vito (Lama), Fiumicelli di Otranto, Venneri e S. Caterina, partecipa il maestro Martino Cayzza con l’offerta di 90 ducati d’incanto. La R. Camera ordina a Ferdinando Caracciolo Governatore di Terra d’Otranto di rinnovare l’asta per ottenere una migliore offerta.” In un successivo documento del 15 febbraio 1584, Mario Schero richiedeva dalla Regia Camera, quanto gli spettava per il lavoro già terminato e approvato dal Regio Ingegnere provinciale Paduano Schero.

La torre agli inizi del XIX secolo venne censita in buono stato e nel 1842 risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale. Recentemente ha subito un importante restauro che ne ha consolidato la struttura ma che ha, in parte, snaturato la torre, eliminando alcuni importanti elementi architettonici, aggiungendone di nuovi. La torre è tuttora proprietà privata. 

Dalla rivista La Zagaglia (1964)
Carlo Carrisi, Instagram (2017)

La struttura

Torre Specchiolla, come detto, è un bellissimo esempio di torre tipica del Regno, caratterizzata dunque da una base quadrata (circa 11 metri per lato), un corpo scarpato ed il coronamento in controscarpa. Gli spigoli sono costruiti con blocchi squadrati mentre le pareti sono realizzate con pietrame irregolare. La torre presenta dodici caditoie, tre per lato. Dall’appoggio dei barbacani in su è stato tutto ricostruito e, in lato mare, sono state realizzate due grandi aperture, una porta d’ingresso e una finestra. Originariamente, il piano terra era utilizzato come cisterna e il primo piano era il vano agibile al quale si accedeva tramite scala rimovibile o ponte levatoio situato in lato monte (il lato opposto al mare).

Pro Loco Casalabate Marina di Squinzano, Facebook

Dove si trova: https://goo.gl/maps/NJMicYCatgoYX4rZ7

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Tricarico, G. (2020). Le fortificazioni litoranee di Terra d’Otranto: una panoramica sulle torri costiere della provincia di Lecce.

Torre Rinalda

Torre Rinalda, il cui rudere è stato recuperato, si erge nel Comune di Lecce, sul livello del mare.

Emanuele Stifanelli, Flickr.

Torre Rinalda comunicava visivamente a nord con Torre Specchiolla e a sud con Torre Chianca. Ormai quasi a ridosso del mare per via dell’erosione del litorale sabbioso, la torre ha dato il nome all’omonima località balneare sviluppatasi attorno, oggi marina di Lecce. É presente in tutta la cartografia a partire dal XVII secolo, col nome di “Torre della Rinalda”.

La Storia

La costruzione di Torre Rinalda fu opera del maestro costruttore Nicola Saetta di Lecce, come testimoniato da un documento del 2 ottobre 1567, citato dal Cosi (1989) e dal De Salve (2016), che riporta dei 200 ducati che Saetta ricevette dalla Regia Camera per la costruzione della stessa.

Riporta a riguardo il Cosi (1989): “Il maestro Nicola Saetta di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal marchese di Capurso, il 2 ottobre 1567 riceve dal Percettore 200 ducati a buon conto per la costruzione di tre torri, nelle marine di Lecce e Squinzano, nei luoghi detti Raynalda, Vienneri e la Chianca.”

Tra gli altri documenti citati dal Cosi vi sono i seguenti:

“Andrea Perefuan, nominato caporale della torre Rinalda dal vicere Alfonso Pimentel y Herrera con lettere patenti spedite da Napoli il 31 maggio 1607 (Reg. tas in Patentium 1° turrium f.° 49), il 9 agosto 1608 si dimette dall’incarico essendo da molti mesi ammalato nella torre.”

Giovanni Vincenzo Rucco di Nardò, caporale della torre di Rinalda, e Angelo Zacheo di Martano, caporale della torre dello Scorzone (S. Caterina), il 1° agosto 1609 si scambiano le torri (con richiesta di R. Assenso), perché a nessuno dei due è favorevole il clima della torre finora occupata.”

Torre Rinalda fu censita in buone condizioni nel 1825 e risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale nel 1842. Fu restaurata nel 2001 perché gravemente danneggiata dai fenomeni atmosferici e dall’azione del mare. Tuttavia necessiterebbe di maggiori tutele in quanto il livello del mare, avvicinandosi progressivamente, mette in serio pericolo il rudere superstite.

Giovanni Cosi (1989)

La Struttura

La torre, classificabile come tipica del Regno, appare oggi in discrete condizioni perché fortunatamente restaurata. Del suo grande rudere si può ammirare l’intero basamento scarpato oltre ad un’ampia parte di quello che era il piano agibile. Presenta una struttura troncopiramidale a base quadrata e fu innalzata utilizzando blocchi di carparo regolari. Sono ancora ben visibili due feritoie in lato mare e in lato costa-nord. Inoltre è visibile una parte della volta a botte del vano agibile, ormai quasi completamente crollata. La parte superiore è completamente diroccata. Probabilmente presentava dodici caditoie, tre per lato.

Dal sito Robintur.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/T4udYakyMXVqztDH6

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Wikipedia (2020). Torre Rinalda. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Rinalda

Torre Chianca (Lecce)

Nel di Comune di Lecce, nell’omonima località, sorge Torre Chianca a 20 metri dal mare e a un’altitudine di due metri. Il rudere è oggi in stato di abbandono.

Vito Pezzuto (2020).

Torre Chianca, da non confondere con l’omonima torre nel comune di Porto Cesareo, comunicava visivamente a sud con Torre Veneri e a nord con Torre Rinalda. Chianca, nel dialetto salentino, significa “lastra di pietra”. È la prima torre a base circolare grande della provincia di Lecce muovendosi da nord a sud. Il rudere domina questo tratto di litorale roccioso basso e ha dato il nome alla rinomata marina di Lecce.

La Storia

La costruzione della torre fu merito del maestro Nicola Saetta di Lecce, come testimoniato da un documento del 2 ottobre 1567, che riporta dei 200 ducati che lo stesso ricevette dalla Regia Camera per l’edificazione di questa e di altre due torri, tra cui la vicina Torre Rinalda. Viene citata in tutta la cartografia a partire dal XVI secolo, con il nome di “Torre di porto della Chianca” e nel 1569 era già presente negli Elenchi dei Viceré. Venne censita in buono stato nel 1825 ma fu abbandonata da lì a poco.

Vito Pezzuto (2020)

La Struttura

Il grande rudere a base circolare si trova in cattive condizioni di conservazione. Resta l’intero basamento, con diametro di circa 12 metri, insieme ad un massiccio frammento verticale del paramento del piano agibile, quest’ultimo quasi interamente crollato. Ancora evidente il segno di quella che un tempo era la porta levatoia d’accesso al piano agibile, in lato monte. Presenta similitudini architettoniche con Torre Porto di Ripa e Torre Nasparo.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/h7s1ugT4DrM9Adhy5

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Torre Veneri

Nel Comune di Lecce in località Frigole, si erge Torre Veneri a pochissimi metri dal mare. Il rudere è in stato di abbandono.

Gaetano Andriani de Vito, Instagram

Torre Veneri comunicava visivamente a sud con Torre San Cataldo (oggi scomparsa) e a nord con Torre Chianca. Si trova in un bellissimo tratto di litorale sabbioso, immersa nella natura ancora incontaminata, nelle vicinanze di una vasta area utilizzata per l’addestramento militare. Per raggiungerla è necessario percorrere una stretta via di campagna che dalla strada principale porta alla spiaggia.  Viene indicata in alcuni documenti e nella cartografia a partire dal XVII secolo, anche col nome di “Torre di Manasca”. Nel tempo ha subito un lungo processo di degrado dovuto all’azione degli agenti atmosferici e del mare.

La Storia

Stando ai documenti esistenti citati dal de Salve (2016), la costruzione di Torre Veneri fu assegnata al maestro leccese Alessandro Saponaro con atto del 19 agosto 1582, solo dopo una lunga trafila di offerte per la costruzione di più torri, rinnovi di gara della Regia Camera e ribassi dei vari partecipanti. L’edificazione di questa torre, peró, secondo Onofrio Pasanisi, nel 1608, non era ancora stata completata.

Alessandro Protopapa, Facebook
Dal sito del Quotidiano di Puglia

La Struttura

Torre Veneri è una torre a base quadrata atipica perché presenta caratteristiche simili alle torri dello Stato della Chiesa, integrate con quelle delle masserie fortificate dell’entroterra salentino. La struttura della torre è quadrangolare con corpo scarpato. Ogni lato misura circa 11 metri. Oltre il toro marcapiano continua con un parapetto verticale. Sono evidenti i segni di rovina sui paramenti di ogni lato, in particolare in lato monte dove vi era l’originaria porta levatoia. Piuttosto in rovina anche la parte inferiore del lato mare. Presentava al pian terreno una cisterna e una scala in pietra che conduceva al primo piano. Quest’ultimo, con volte a crociera, conserva ancora l’antico camino e una scala che conduce al terrazzo. Attualmente la torre, in grave rischio crollo, è sostenuta da delle strutture di supporto in ferro in quanto gli stessi spigoli della torre sono gravemente danneggiati.

Giovanni Cosi (1989)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/GPpN5sPb2gUUf3kp7

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

365 Giorni nel Salento (2020). Torre Veneri. Sito web.

Torre San Cataldo

Questa torre non è più esistente.

Cartografia antica tratta dal sito Fondazione di Terra d’Otranto (vedesi bibliografia).

La Storia

Fu edificata probabilmente nel XV secolo nella zona del porto antico “presso un’acqua sorgente che a scalaggio de nimici et che se ne può servire un’armata potente“. Fu restaurata dal leccese Giovanni Tommaso Garrapa, affidatario dei lavori. II Garrapa, nell’esecuzione, fu tenuto alla stretta osservanza che il suo operato fosse conforme al disegno del Regio Ingegnere Tommaso Scala. I lavori sarebbero dovuti terminare entro quattro mesi dal 15 aprile 1568.

I termini furono disattesi per via di una serie di logoranti complicazioni, non ultima, la morte di Giovanni Tommaso Garrapa. I lavori furono completati da Giovanni Angelo Garrapa (subentrato al fratello insieme ad altri soci) e saldati dalla Regia Corte il 2 giugno 1583 (De Salve).

Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti: “Il maestro Giovanni Angelo Garrapa, il 12 dicembre 1580 dichiara che negli anni scorsi, assieme a suo fratello Giovanni Tommaso, fece partito con la R. Corte per le fabbriche delle torri di S. Cataldo, di Roca Vecchia e de l’Urso alias Creta Russa. Essendo stati i lavori compiuti, nonostante la morte di Giovanni Tommaso, e <<cannigiati> (misurati a canne) dal R. Protomastro provinciale, dovendo riscuotere il saldo dei lavori, costituisce suoi procuratori i maestri Marco Guarino e Martino Cayzza. Ancora il 14 aprile 1581 il Garrapa deve rilasciare procura al Cayzza per riscuotere presso la R. Camera la differenza a saldo per le tre torri.”

Successivamente “I soci dell’appalto delle tre torri il 2 giugno 1583 dichiarano d’aver ricevuto tutto il denaro dovuto dalla R. Corte e che è stato diviso in parti uguali a tutti gli aventi diritto.”

San Cataldo, l’antico Porto di Adriano, scalo portuale di Lecce in epoca romana, disponeva di una fortezza ora scomparsa. Infatti, nel tomo di Antonio De Ferraris, noto come Il Galateo: De situ Yapygiae, pubblicato a Basilea nel 1553, è riportata la seguente frase che per ragioni di comodità traduciamo in Italiano dall’originale in Latino:“Chi procede da lì per 10 miglia s’imbatte nel castello che prese il nome da San Cataldo, antichissimo arcivescovo dei Tarantini, per il fatto che egli provenendo dall’oriente toccò dapprima questi luoghi, dove c’è anche un piccolissimo tempio a lui dedicato. Gualtiero fondò anche questo castello per emporio dei Leccesi più vicino alla città […]”.

Consultare anche https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/06/16/

Il Gualtiero cui si accenna era uno dei Conti di Lecce, appartenente alla famiglia de Brienne, ed il castello in questione doveva essere più probabilmente una torre, forse più imponente delle altre disseminate lungo la costa, infatti in un altro testo manoscritto dei primi anni del XVII secolo: I Castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611, è riportato: “La Torre di S. Cataldo sta in funzione di guardia di un molo […]” ed il suo armamento nel 1610 consisteva in quattro pezzi di artiglieria leggera tipici dell’epoca rinascimentale: “Tre falconetti” e “Uno sparviero”. (Corriere Salentino).

Era indicata in tutta la cartografia antica, a partire dal XVII secolo come castello. Su più recenti tavole dell’istituto Geografico Militare sono invece distinti sia il faro, sia i ruderi, evidentemente riferiti alle vestigia della torre e dei quali oggi non è rimasta traccia (De Salve).

Comunicava visivamente a sud con Torre Specchia Ruggeri e a nord con Torre Veneri.

Dove si trovava: https://goo.gl/maps/M2nomz65FzFLFUat5

Bibliografia:

Corriere Salentino (2020). Alla scoperta del Salento: la scomparsa Torre di San Cataldo. Link: https://www.corrieresalentino.it/2020/08/alla-scoperta-del-salento-la-scomparsa-torre-di-san-cataldo/

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Fondazione Terra d’Otranto (2015). I castelli di Terra d’Otranto tra il 1584 e il 1610 in una relazione manoscritta del 1611: TORRE DI SAN CATALDO (5/6). Link: https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/06/16/

Fondazione Terra d’Otranto (2017). Lecce: il porto di S. Cataldo era così al tempo di Adriano? Link: https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/

Torre Specchia Ruggeri

Nel Comune di Melendugno, in località di Torre Specchia, si erge Torre Specchia Ruggeri a pochi metri dal mare e a 5 metri di altitudine. Il rudere è in stato di abbandono.

Fernando Venuti, Facebook (2020)

Torre Specchia Ruggeri comunicava visivamente a sud con Torre San Foca e a nord con Torre San Cataldo (oggi scomparsa). Il rudere, che ha subito molte modifiche nel tempo, domina uno splendido tratto di costa ancora incontaminato e facilmente raggiungibile dalla litoranea che conduce da San Cataldo a San Foca. Per quanto riguarda il suo nome, la presenza di “specchie” nel territorio salentino ha influenzato anche la toponomastica, tant’è che “Specchia” è appunto un toponimo che deriva dal latino spècula, termine con cui si indicava un luogo, spesso elevato, dotato di visuale privilegiata e utilizzato come osservatorio.

La Storia

La torre compare in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo ed è indicata inizialmente come “Torre di capo dello Specchio”. Non vi sono notizie specifiche sull’identità del costruttore. Risulta già esistente nel 1569, secondo gli Elenchi dei Viceré.

Dalla documentazione riportata da Giovanni Cosi (1989), la torre fu indicata come “Torre di Specchia de Ruggero, sita nella marina detta Saso e in territorio del Casale di Vanze”. In questi registri militari inoltre, si registra la presenza di un primo corpo di guardia dal 1° dicembre 1566. Il drappello è composto da tre cavallari: Balli Calà di Acquarica di Lecce, Donato Garrofalo di Vanze e Cesare Longo. Rientrava, infatti, nella giurisdizione territoriale dell’Università di Acquarica di Lecce. Lo spagnolo Giovanni Sanchez fu il primo caporale, pagato 8 ducati a bimestre.

La torre, dopo gli importanti interventi di consolidamento del costone roccioso che la ospita, eseguiti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, periodo a cui si deve anche la costruzione del vistoso corpo a due piani aggiunto all’originaria struttura, è in discrete condizioni. Le stanze aggiuntive erano destinate inizialmente ad abitazione del custode. Successivamente è stata sede di un presidio del Corpo Forestale dello Stato sino agli anni ’70 e ’80 del Novecento. In seguito, fu abbandonata.

La Struttura

La torre presenta pianta quadrata, con le caratteristiche costruttive delle torri tipiche del Regno è però priva di caditoie. Secondo il Faglia (1978), è possibile ipotizzare che siano state abolite completamente, durante uno dei possibili restauri, perché danneggiate o crollate. Oltre al corpo aggiuntivo addossato alla torre, sono leggibili tracce di rifacimenti, dal coronamento alle finestre ad arco sui due lati costa, oltre a quelle di un’apertura in lato mare. Non è possibile vedere l’originaria porta levatoia in lato monte proprio per l’edificio aggiuntivo costruito a ridosso della torre. 

Dove si trova: https://goo.gl/maps/dFCFfg1r7Ma3aY4Q9

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Visit Melendugno (2020). Torre Specchia Ruggeri. Sito web.

Torre San Foca

Nel Comune di Melendugno nell’omonima località si erge torre San Foca, a 15 metri dal mare e a un’altitudine di 5 metri. La torre fu restaurata ed è oggi utilizzata dalla Capitaneria di Porto.

Fabio Protopapa (2014)

Torre San Foca comunicava visivamente con Torre Roca Vecchia a sud e con Torre Specchia Ruggeri a nord. Un tempo sorgeva isolata, oggi domina il grande porto turistico e peschereccio dell’omonima marina. Nel territorio di Melendugno, Torre San Foca è l’unica ad aver ricevuto un restauro recente, che permette una visione unitaria dell’edificio, a differenza di Torre Roca Vecchia e Torre dell’Orso, compromesse dall’erosione del vento.

La Storia

Torre San Foca, conosciuta anche come “Torre di San Fucà” o “di Capo di Sapone”, fu costruita nel 1568 dal maestro Antonio Saponaro di Lecce, come risulta dal seguente documento del 2 ottobre 1567 riportato da Giovanni Cosi (1989): 

“Il maestro Antonio Saponaro di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito dal Governatore provinciale il 27 dello stesso mese, il 2 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 150 ducati a buon conto per la costruzione della torre nella marina di Acquarica di Lecce, in luogo detto Sapone e della torre nella marina di Otranto in luogo detto Fiumicelli.”

“Il maestro Antonio Saponaro, l’8 giugno 1568, costituisce suo procuratore Marcello Buttazzo per la riscossione degli acconti dovutigli dalla R. Corte per la costruenda torre Santa Focà alias Sapone.” (Cosi, 1989).

Torre San Foca è indicata da tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, è presente negli Elenchi dei Viceré già nel 1569. Fu censita in buono stato nel 1825 e risultava ancora in uso nel 1842 dalla Guardia Doganale. La torre è stata restaurata alla fine del XX secolo ed ospita oggi gli uffici della Capitaneria di Porto. Il suo restauro però è stato considerato da molti come “invasivo”, ovvero fatto con criteri discutibili, in contrasto con il metodo di restauro conservativo.

Torre San Foca prima del restauro.

La Struttura

Torre San Foca rientra nella categoria di torri tipiche del Regno. Presenta dunque una base quadrata e con corpo troncopiramidale, formata da due piani sovrapposti voltati. Il piano terra era utilizzato come cisterna, mentre il piano superiore era costituito dal vano agibile. La muratura esterna, costruita in conci regolari di tufo, è lievemente scarpata. A differenza di altre torri tipiche del Regno, manca la controscarpa alle caditoie. Queste, tre per lato, sono ricavate in spessore di muro, come nella gemella Torre dell’Orso. Il restauro ha purtroppo cancellato molte delle tracce delle origini ma ha consentito di salvare la struttura rendendola utilizzabile.

Fotografando Lecce e il Salento, Facebook

Dove si trova: https://goo.gl/maps/Ypp4nQuM8bSVhSrGA

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Torre Vado Info (2020). Torre San Foca. Sito Web.

Visit Melendugno (2020). Torre di San Foca. Sito Web.

Wikipedia (2020). San Foca (Melendugno). Sito Web.

Torre Roca Vecchia

Nel Comune di Melendugno, nell’omonima località, si erge Torre Roca Vecchia a pochi metri dal mare e a un’altitudine di 6 metri. Il rudere è stato recuperato.

Foto di Alfonso Zuccalà.

Torre Roca Vecchia si erge su un piccolo isolotto, nei pressi di Roca, rinomata località per gli importanti scavi archeologici e per la presenza della famosa Grotta della Poesia, meta turistica soprattutto d’estate. Immersa nella bellezza di questo tratto di costa caratterizzato da un mare cristallino, la torre comunicava a sud con Torre dell’Orso e a nord con Torre San Foca, entrambe molto simili per caratteristiche. In passato era conosciuta anche come “Torre di Maradico”, termine corrispondente alla dizione dialettale di “malarico”, che sta ad indicare la natura umida e paludosa della zona circostante. 

La Storia

Si racconta che nel XIV secolo, il conte Gualtiero di Brienne decise di edificare in questo luogo una cittadella fortificata, attratto della sua posizione strategica, e la chiamò Roche, da cui Roca. Gli abitanti di Roca (Vecchia) dopo l’assedio di Otranto del 1480, fuggirono da questo luogo e fondarono il piccolo villaggio di Roca Nuova. Numerose abitazioni furono abbandonate alla ricerca di rifugi più sicuri anche nell’entroterra. Quando la torre fu edificata nel 1568, la città medievale era già da tempo abbandonata e in rovina.

Fu costruita dal maestro Giovanni Tommaso Garrapa al quale fu ordinato che i lavori terminassero entro sei mesi a partire dal 15 aprile 1568 e che si attenesse, come da prassi, al progetto del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala. Di fatto, la costruzione della torre dopo varie vicende fu ultimata solo molto tempo dopo dal fratello, Giovanni Angelo e fu saldata dalla Regia Corte il 2 giugno 1583. Nel 1576 Antonio Tamiano, procuratore dell’Università di Roca, la munì di un moschetto da una libbra, ricevuto dal sindaco di Lecce.

Nel 1639, il torriero Agostino Lopes a causa dell’età avanzata, rinunciò alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos figlio di Giovanni, un milite del Castello di Lecce: “Lo spagnolo Agostino Lopes, caporale della torre di Roca vecchia, non potendo più attendere al servizio della torre, per la sua età di circa 80 anni, il 1° maggio 1639 rinuncia alla sua carica in favore di Carlo Viglialovos, figlio del fu Giovanni già milite del R. Castello di Lecce. Carlo è abile al servizio, essendo stato per molti mesi istruito da Agostino.” (Cosi, 1989).

La torre è indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente coi nomi di “Torre di punta Rocca Vecchia” o “Torre de Voga” ed è presente negli Elenchi del Vicerè del 1569. Essa rimase attiva per circa due secoli. All’inizio del XIX secolo fu censita in cattivo stato e nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Il rudere è stato recentemente oggetto di importanti interventi di consolidamento.

Da Fotografando Lecce e il Salento, Facebook

La Struttura

Torre Roca Vecchia è un bellissimo esempio di torre tipica del Regno nonostante il suo stato attuale di rudere. Molto simile per caratteristiche alle vicine Torre dell’Orso e Torre San Foca anche dal punto di vista dei materiali adottati, la sua struttura troncopiramidale a pianta quadrata, ospita al piano terra una grande cisterna un tempo utilizzata per la raccolta dell’acqua. Il primo piano è costituito dal vano abitabile e vi era anche un camino. L’ingresso era raggiungibile con scale a pioli mobili.

Sono crollati, del piano agibile lato monte nord, parte del tetto e due pareti adiacenti. Rimangono tuttora tracce del coronamento di caditoie a filo dei paramenti e una finestra originale. In lato mare, sono distinguibili i barbacani in controscarpa. Il materiale calcareo che la costituisce è pesantemente deteriorato ma il recente intervento di restauro ha fortunatamente messo in sicurezza la struttura.

Luca Candito.
Piero Maraca.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/FkuU4QPqVdvwe5Fw7

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Visit Melendugno (2020). Area archeologica di Roca Vecchia. Link: https://www.visitmelendugno.com/dettaglio/punti-interesse/storia-e-cultura/area-archeologica-di-roca-vecchia/

Wikipedia (2020). Roca Vecchia. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Roca_Vecchia

Torre dell’Orso

Nel Comune di Melendugno, nell’omonima località, si erge Torre dell’Orso a circa 20 metri dal mare e a un’altitudine di 16 metri. Il rudere è stato recuperato ed è in attesa di ulteriore restauro.

Dal sito Villaggi Hotel Puglia.

Torre dell’Orso fu edificata a picco sul mare, su di un alto sperone roccioso che poi si arresta bruscamente per lasciare posto alla meravigliosa baia sabbiosa che caratterizza l’omonima località balneare. In un luogo difficilmente controllabile da altre posizioni, la torre comunicava visivamente a sud con Torre Sant’Andrea, oggi scomparsa, e a nord con la gemella Torre Roca Vecchia. Al di sotto della torre, nella tenera pietra del costone roccioso, si aprono diverse cavità, che costituiscono un sito rupestre frequentato fin dall’antichità.

Non vi sono certezze riguardo l’origine del nome. Esistono però diverse ipotesi: forse Orso sarebbe da ricondurre a Urso, cognome del probabile proprietario dell’agro nell’antichità. Stando ad un’altra interpretazione, avendo le torri costiere nomi di santi, il suo nome doveva essere Torre di Sant’Orsola, da cui Torre dell’Orso. Altra ipotesi del toponimo è data dal fatto che sotto la torre vi sia una roccia che rappresenta il profilo di un orso. Guardando la spiaggia, con la torre alla propria sinistra, si nota una formazione rocciosa raffigurante il profilo di un orso. L’erosione ha, nel corso dei decenni, modificato tale sembianza ma è tuttora visibile.

La Storia

Nella cartografia antica la torre è indicata a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre del Porto dell’Orso”, successivamente come “Torre dell’Urso”, poi “Torre del Capo Dorso”, infine “Torre dell’Orso”. Risultava esistente negli Elenchi del Viceré del 1569.

La costruzione fu affidata al maestro leccese Giovanni Tommaso Garrapa. A testimonianza di questo vi è un documento del 27 settembre 1567, in cui si registra che egli ricevette cento ducati per la costruzione della torre. L’opera subì un brusco arresto a causa della sua improvvisa morte. I lavori furono portati a termine successivamente da Angelo Garrapa, fratello di Tommaso. Esiste un documento che dimostra come il povero Angelo stesse ancora cercando di riscuotere il saldo dei lavori conclusi il 12 dicembre 1580. Egli riuscì a recuperare dalla Regia Camera il credito solo nel 1583. Il procuratore dell’Universitas di Borgagne, Bartolomeo Petruzzo, ricevette il compito di armare la torre. Risultava abbandonata nel XIX Secolo perché in cattive condizioni. 

Nell’ottobre 2020, la Regione Puglia riconobbe un contributo per la manutenzione straordinaria, il restauro e la messa in sicurezza della torre e anche il sindaco annunciò che il comune avrebbe contribuito. 

Fotografie tratte dalla pagina Facebook, Fotografando Lecce e il Salento.

La Struttura

Torre dell’Orso rientra nella categoria di torri tipiche del Regno. L’importante rudere della torre, danneggiato dall’erosione degli agenti atmosferici, ha subito un vistoso crollo in spigolo monte-sud che ci permette di osservare la volta interna del piano agibile. Esistono ancora tracce delle caditoie, queste erano originariamente tre per ogni lato, ricavate in spessore di muro e si distinguevano bene nel corpo quadrangolare scarpato della torre. Fu costruita in conci regolari di tufo tenero. Su un lato della muratura si nota ancora una feritoia. Foto d’epoca ci dimostrano come alcuni vistosi crolli siano avvenuti nel corso del Novecento.

Foto di Luca Candito (2018)
Dal sito Agriturismo Antares.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/bMciVnbbvgZwSJrDA

Bibliografia:

Corriere Salentino (2020). Trovate le risorse per il restauro della Torre costiera di Torre dell’Orso. Link: https://www.corrieresalentino.it/2020/10/trovate-le-risorse-per-il-restauro-della-torre-costiera-di-torre-dellorso/

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Visit Melendugno (2020). La torre di Torre Dell’Orso. Link: https://www.visitmelendugno.com/dettaglio/punti-interesse/storia-e-cultura/la-torre-di-torre-dellorso/

Wikipedia (2020). Torre dell’Orso. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dell%27Orso

Torre Sant’Andrea

Questa torre non è più esistente.

Torre Sant’Andrea caratterizzava l’omonima località nel Comune di Melendugno. Comunicava visivamente a sud con Torre Fiumicelli e a nord con Torre dell’Orso. È indicata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente come “Torre del porto di Sant’Andrea”. Oggi della torre non ci sono più tracce. Probabilmente fu demolita per far posto al Faro di Torre Sant’Andrea di Missipezza, che domina oggi questo incantevole e caratteristico tratto di costa, rinomato per i suoi faraglioni e le sue acque limpidissime. 

L’edificazione della torre fu assegnata a Vittorio Renzo di Lecce, come risulta da un documento del 30 ottobre 1567, che riferisce dei cento Ducati che lo stesso ricevette “per la costruzione della Torre di Sant’Andrea”. La torre fu poi completata dal concittadino Massenzio Trisolo alla morte di Renzo. Tra i diversi documenti, Giovanni Cosi (1989) trascrive anche che: “Il sindaco di Borgagne Andrea de Jacobo, il 5 giugno 1578. riceve dal sindaco di Lecce un pezzo di artiglieria, detto mezzo falconetto lungo, della portata di 3 libbre di palla, lungo 9 palmi, del peso di 4 cantare e 65 rotoli, e 100 palle di ferro, per armare la Torre.” 

Probabilmente era una torre tipica del Regno come le vicine Torre dell’Orso e Fiumicelli, risultava agibile secondo gli Elenchi dei Viceré nel 1569. Pare che fosse ancora in uso dalla Guardia Doganale nel 1842. Fu rasa al suolo pochi decenni dopo.

Dal sito Italy for Movies.

Dove si trovava: https://goo.gl/maps/xKSeV9fVcxtcTTsN8

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Torre Fiumicelli

Nel Comune di Otranto in località spiaggia degli Alimini si erge Torre Fiumicelli. Il rudere in stato di abbandono versa in condizioni critiche, raggiunto dalle onde del mare.

Torre Fiumicelli prima dei crolli del 2020 (foto di Fabio Protopapa 2016)

Torre Fiumicelli comunicava visivamente a sud con Torre Santo Stefano e a nord con Torre Sant’Andrea (oggi scomparsa). Torre Fiumicelli si trova a pochi chilometri a nord di Otranto, in località Laghi Alimini. Lungo questo tratto costiero, alte falesie lasciano il posto ad una spiaggia sabbiosa lunga più di 6 km, bordata verso l’interno da un cordone dunare. Come vedremo, la torre fu spesso data per crollata anche da importanti studiosi, Mastronuzzi e Sansò (2014) ne conducono un importante studio del quale riporteremo alcune informazioni. Il loro studio si concentra sulla profonda erosione che ha caratterizzato negli ultimi decenni la spiaggia e che ha messo in serio pericolo il rudere. Purtroppo, nonostante le innumerevoli segnalazioni, non è stato fatto nulla per recuperare la torre che nel 2020 ha subito danni irreparabili.

La Storia

Torre Fiumicelli comunicava visivamente a sud con Torre Santo Stefano e a nord con Torre Sant’Andrea (oggi scomparsa). La torre si trova a pochi chilometri a nord di Otranto, in località Laghi Alimini. Lungo questo tratto costiero, alte falesie lasciano il posto ad una spiaggia sabbiosa lunga più di 6 km, bordata verso l’interno da un cordone dunare. Come vedremo, la torre fu spesso data per crollata anche da importanti studiosi. Mastronuzzi e Sansò (2014) ne conducono un importante studio del quale riporteremo alcune informazioni. Il loro studio si concentra sulla profonda erosione che ha caratterizzato negli ultimi decenni questa spiaggia e che ha messo in serio pericolo il rudere. Purtroppo, nonostante le innumerevoli segnalazioni, non è stato fatto nulla per recuperare questo rudere che, nel 2020, ha subito danni irreparabili.

La Storia

Simbolo della rinascita di Otranto dopo la liberazione dai turchi, la torre fu edificata nel 1582, sotto l’incarico dell’allora governatore della Terra d’Otranto, Ferdinando Caracciolo. Il maestro Martino Cayzza di Lecce fu l’esecutore designato della torre.

L’analisi della cartografia storica permette di comprendere la ragione del nome della torre (Torre del Fiumicello, Torre dei Fiumicelli, Torre Fiumicelli). Nella cartografia, infatti, è riportata la presenza a ridosso della fascia costiera di un’ampia palude connessa con la linea di riva per il tramite di un breve corso d’acqua, un fiumicello appunto.

“L’analisi della cartografia storica evidenzia come la posizione della torre sia indicata nella carta di Cartaro (1613), nella carta del De Rossi (1714), nella carta del De Bargas Machuco (1743), nell’Atlante Marittimo del Rizzi-Zannoni (1785), nell’Atlante Sallentino di Pacelli (1807), nell’Atlante Geografico del Rizzi-Zannoni (1808), nella Carta delle Province Continentali dell’ex Regno di Napoli (1822), nella carta di cabotaggio (1834), nella carta topografica dell’ITMI (1877). E’ interessante notare come già in una carta anonima realizzata nel 1785 la torre venga indicata come diruta. La non facile identificazione della torre sul terreno è testimoniata dalla sua assenza nelle carte del Magini (1620), del Blaew (1631-1635), del Bulifon (1734), del Marzolla (1851) nonostante siano costantemente riportate le torri limitrofe (Torre dell’Orso e Torre Sant’Andrea a nord-ovest, Torre Santo Stefano a sud-est, tutte ubicate in prossimità del ciglio di falesie)” (Mastronuzzi & Sansò, 2014).

Torre Fiumicelli viene data per distrutta dagli studiosi che hanno sin qui realizzato censimenti delle torri costiere (per es. Faglia et al., 1978; Cosi, 1992). Vittorio Faglia (1978) nel fondamentale catalogo delle torri di difesa costiera di Terra d’Otranto ne conferma la distruzione e ne desume la presenza solo sulla base dei dati storici. Il Cosi (1992) riporta una serie di documenti inediti che rivelano come la costruzione della torre fosse stata appaltata per la prima volta nel 1567 e poi nuovamente nel 1582; nel 1596 la torre risulta ancora in costruzione. Anche questo autore non individua la posizione della torre sul terreno riportando una sua probabile posizione geografica in coordinate metriche e a 5 metri di quota. Il De Salve (2016) la segnala “non costruita” nella sua lodevole pubblicazione. Eppure esiste, la Ferrara la include nel suo libro del 2009.

Torre Fiumicelli “conserva” oggi solo il piano terra che ospitava una cisterna voltata a botte. La torre si presenta ubicata in corrispondenza della battigia e con il piede sommerso dai sedimenti di spiaggia. Il moto ondoso ha raggiunto solo da qualche anno lo spigolo Nord Est della torre a causa degli intensi fenomeni erosivi che stanno interessando il litorale.

Fu subito evidente che il mare gradualmente stesse iniziando ad avvicinarsi sempre di più alla torre ma le segnalazioni non furono ascoltate. Nei mesi di gennaio, marzo e aprile 2020 ci sono stati dei crolli che hanno devastato ulteriormente il rudere. La notizia fu riportata da diverse testate giornalistiche tra cui il Nuovo Quotidiano di Puglia e LeccePrima. “Il Comune di Otranto, nel novembre 2017, ha segnalato lo stato di pericolo del monumento a tutti gli enti interessati. In quel caso era arrivata la risposta della Soprintendenza che, nel dicembre 2017, ha inserito la torre tra i monumenti considerati in pericolo. Rischio crollo, insomma. Appelli, lettere, atti di tutela che, però, sono rimasti lettera morta. Inviati e protocollati, ma senza produrre misure concrete. Né una rete di protezione, né un’azione di puntellatura. Niente di niente. Nonostante le occasioni rappresentate anche da bandi di varia natura per le torri o il litorale da valorizzare. Nonostante le stime del Comune non portino a cifre impossibili: servirebbero circa 150mila euro per restauro, protezione e messa in sicurezza. Prima che il mare si porti via tutto. Quello che neanche i Turchi riuscirono a fare.” (Nuovo Quotidiano di Puglia, 11 Gennaio 2020).

Mastronuzzi & Sansò, 2014
Francesco Pio Fersini (2018)
LeccePrima, 8 Aprile 2020, in seguito al crollo che ha danneggiato ulteriormente il rudere.

La Struttura

Torre Fiumicelli rientra nel gruppo delle torri troncopiramidali a base quadrata, le cosiddette tipiche del Regno. L’altezza di queste torri si aggira intorno a 12 metri con la misura del lato di base esternamente tra i 10 e i 12 metri. Il piano terra ospitava una cisterna alimentata dalle acque di pioggia convogliate dal terrazzo mediante una canalizzazione ricavata nello spessore della muratura. La volta a botte della cisterna sosteneva il vano abitabile della torre con ingresso sopraelevato da 3 a 5 metri circa, cui si accedeva per mezzo di una scala a pioli retraibile. Al terrazzo si accedeva per mezzo di una gradinata ricavata nello spessore della muratura, preferibilmente sul lato a monte, meno esposto alle offese provenienti dal mare. Un buon esempio di questo tipo di torre è rappresentato dalla vicina Torre San Foca.

In particolare, Torre Fiumicelli è costruita con grandi conci ricavati dalle tenere calcareniti plioceniche affioranti diffusamente nell’area. La torre ha una base quadrangolare di 10.5 metri di lato. La torre conserva soltanto il piano terra, occupato da un ambiente voltato a botte, una cisterna, appunto, come suggerisce una canalizzazione presente lungo lo spesso muro perimetrale. Torre Fiumicelli è posta in corrispondenza della linea di riva e presenta il piede al di sotto del livello del mare. La torre è parzialmente ricoperta da un potente cordone dunare oggi in forte erosione.

Il recente crollo ha reso ben visibile la volta a botte che caratterizza quella che un tempo era la cisterna al piano terra.

Alessandro Fersini (2021)

Quotidiano di Lecce del 17 Marzo 2020

Dove si trova: https://goo.gl/maps/vTJPBFXfepTs1G1cA

Bibliografia:

LeccePrima (2020). La torre “Fiumicelli” continua a crollare, avviso di pericolo della capitaneria. Link: https://www.lecceprima.it/cronaca/la-torre-fiumicelli-continua-a-crollare-avviso-di-pericolo-della-capitaneri.html

Mastronuzzi, G. & Sansò, P. (2014). Torre Fiumicelli (Otranto) e l’evoluzione storica del litorale adriatico salentino. Link articolo: http://www.gnrac.it/rivista/Numero22/Articolo10.pdf

Nuovo Quotidiano di Puglia (2020). Prima le falesie, ora l’antica torre: nuovo crollo, allarme ignorato.

Torre Santo Stefano

Nel Comune di Otranto, in località Baia dei Turchi, si ergeva Torre Santo Stefano a 30 metri dal mare e a un’altitudine di 13 metri. Il rudere, quasi del tutto scomparso, si trova all’interno di una proprietà privata.

Vittorio Faglia (1975)

Torre Santo Stefano comunicava un tempo a sud con le fortificazioni di Otranto e a nord con Torre Fiumicelli. Si ergeva molto vicina al mare e dominava la splendida Baia dei Turchi. Purtroppo, quasi del tutto scomparso.

La Storia

L’edificazione della torre risale al 1567, a conferma, in un documento del 9 settembre dello stesso anno, Paduano Baxi di Lecce riceve 100 ducati per la costruzione della Torre di Santo Stefano. Questa, esistente nel 1569, secondo gli Elenchi dei Vicerè, è indicata da molti documenti e in tutta la cartografia antica dal XVI secolo in poi, inizialmente come “Torre del porto di Santo Stefano” e poi “Torre di Santo Stefano”.

Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“Il maestro Paduano Baxi di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal Governatore provinciale, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore 100 ducati a buon conto per la costruzione della torre di S. Stefano.”

“Il procuratore della città di Otranto Geronimo Centoarti, il 3 ottobre 1576 riceve dal sindaco di Lecce Gaspare Maremonte un pezzo di artiglieria detto mezzo falconetto, della portata di 2 libbre, lungo 6 palmi e mezzo, del peso di 2 cantare e 68 rotoli e 100 palle di ferro, per armamento della torre.”

“Il sindaco di Specchia dei Galloni Felice Notarpietro, il 7 febbraio 1604 rilascia procura a Giovanni Angelo Vitale U.I.D. per farsi rimborsare dalla R. Camera quanto l’Università ha pagato, per più mesi ed anni, ai cavallari della Torre, come da dichiarazioni del sopra-custode Nicola Suarez e da ricevute degli stessi cavallari.”

La torre risultava in buone condizioni nel 1825, tanto da essere ancora utilizzata nel 1842 dalle Guardie Doganali. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu danneggiata. Il definitivo crollo avvenne alla fine del XX secolo quando la torre, custodita all’interno di un villaggio turistico, fu abbandonata a se stessa senza che nessuno si occupasse dei necessari interventi.

Cronologia:

1569: Esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1575: Torriero Caporale Mandossino Francesco.
1582: Torriero Caporale Palma Cristoforo.
1655: Torriero Caporale De Fuentes Pedro.
1697: Torriero Caporale Giannocculo Francesco Antonio.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in buono stato.
1842: In uso dalle Guardie Doganali.
1945: Risulta danneggiata durante la guerra.
1975: Censita da Vittorio Faglia (foto in alto).
Anni 2000: Cumolo di macerie.

Nell’immagine a sinistra (Vittorio Faglia, 1975) si nota un importante dettaglio dell’interno della torre, con scala e finestrelle feritoie. L’immagine al centro raffigura il rudere prima del crollo definitivo. A destra infine, le rovine della torre come appaiono ai nostri giorni.

La Struttura

La torre fu descritta nel seguente modo nel 1975, quando ancora il rudere era in discrete condizioni: “Rimangono in piedi solo due spigoli contrapposti della torre: monte-costa sud e mare-costa nord. Il primo moncone è il più interessante. Base tronco-piramidale con cordolo marcapiano e corpo parallelepipedo di un piano. Coronamento distrutto. Rimane ben sezionata la muratura a corsi anche interni regolari e una scaletta interna in luce. All’esterno la costruzione è in blocchi regolari di carparo. Due finestrelle originali il lato costa sud” (Vittorio Faglia).

Torre Santo Stefano, a base quadrata, presentava caratteristiche simili alla torri edificate dallo Stato della Chiesa, integrate con quelle delle masserie fortificate dell’entroterra. Quasi del tutto scomparsa e nascosta dalla vegetazione, sono rimaste solo alcune tracce del basamento scarpato e del piano agibile verticale, oltre ad indistinte macerie dalle quali si percepisce la grandezza della torre in origine.

Le successive foto d’epoca sono tratte dal libro di Giovanni Cosi (1989) indicato in bibliografia.

Il modesto rudere oggi:

Dove si trova: https://goo.gl/maps/AfXdYU5KXQbMfe2E8

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Torre del Serpe

Nel Comune di Otranto, nell’omonima località si erge Torre del Serpe a 200 metri dal mare e a un’altitudine di 35 metri. Il rudere fu recuperato ed è di proprietà comunale.

Prima antico faro, poi utilizzato come torre costiera, Torre del Serpe è un simbolo della Città di Otranto. Comunicava a nord con le fortificazioni della città e a sud con la vicina Torre dell’Orte. Si erge in uno scenario incantevole ancora incontaminato a sud di Otranto.

La Storia

Torre del Serpe si ritiene edificata in epoca romana. Fu un faro ad olio di grande importanza, punto di riferimento per gli innumerevoli navigli che approdavano nel porto dell’antica Hydruntum. Questa sua funzione la vide protagonista per lungo tempo. Nel XIII secolo, l’imperatore Federico II volle restaurare il faro in seguito ad un potenziamento strategico che coinvolse l’intero territorio.

In seguito alla Battaglia di Otranto del 1480 e all’eccidio degli 800 martiri, il Regno iniziò la sua grande opera di costruzione di una ininterrotta serie di torri costiere. Questo progetto, oltre a prevedere la costruzione di molte nuove torri, riteneva che le vecchie torri di epoche precedenti fossero acquisite, restaurate ed integrate nella fitta rete di nuove sentinelle. Torre del Serpe era una di queste. Questo giustifica la sua presenza negli Elenchi del Vicerè del 1569 (indicata col nome di “T. di capo Cocorizzo”).

La torre è indicata solo in parte della cartografia antica. Nel 1648 nella carta di Johannes Janssonius porta il nome di “Torre Cocorizzo”. Il nome Torre del Serpe compare solo nella cartografia più moderna. Il nome, legato alla leggenda verrà spiegato successivamente.

Torre del Serpe è costantemente presente nell’iconografia e nell’immaginario collettivo di Otranto, tanto da essere inclusa nello stemma della città. Fu restaurata intorno al 1997, ma le modalità dello stesso hanno comportato un completo snaturamento della torre.

Torre del Serpe, fotografata da Giuseppe Palumbo nel 1923 e disegnata da Primaldo Coco nel 1930.

Torre del Serpe prima del restauro (1919 e 1990 ca.)

La torre prima e dopo il restauro a confronto.

La Struttura

Della torre alta e cilindrica rimane un imponente rudere che sembra quasi avere la forma e le sembianze di una vela posta al di sopra dell’originario zoccolo scarpato, anch’esso consolidato e in parte ricostruito. La sua porzione muraria superstite, in lato mare, conserva ancora visibili alcune feritoie. Un basamento di questo tipo era necessario per dare una maggior superficie di appoggio alle murature che si ergono in altezza. Il diametro del cilindro misurava circa sei metri.

Leggenda e Curiosità

Lo stemma della Comune di Otranto raffigura una torre intorno alla quale scivola un serpente nero. La torre a cui si fa riferimento è senza dubbio Torre del Serpe.

Lo stemma della Comune di Otranto raffigura una torre intorno alla quale scivola un serpente nero. La torre a cui si fa riferimento è senza dubbio Torre del Serpe.

La parte inferiore dello stemma reca la scritta “Civitas Fidelissima Hydrunti”, la fedelissima città di Otranto. Analizzare la simbologia presente nello scudo non è stato facile e tuttora vi sono pareri discordanti, ma ciò che è certo è il fatto che essa derivi da un accadimento fantastico conservato gelosamente nella memoria popolare e tramandato oralmente nel corso del tempo:

Si narra che la torre che pochi anni prima della presa di Otranto nel 1480, i Saraceni si erano diretti verso la città salentina per saccheggiarla, ma anche in quell’occasione il serpente, avendo bevuto l’olio, aveva spento il faro. I pirati senza punti di riferimento passarono oltre e attaccarono la vicina Brindisi.

Secondo alcuni, la torre, edificata in età imperiale per favorire i traffici via mare, rappresenterebbe la città. La lampada ad olio, invece, raffigurerebbe l’abbondanza dell’entroterra. Il serpe ghiotto di olio ci ricondurrebbe agli scali orientali e italiani che importavano il prezioso nettare.

Antonio Ciatara diede una sua interpretazione in merito alla questione. Egli affermò che il serpente fosse il simbolo della prudenza, riconducibile alla dea Minerva, della quale era il sacro animale. La torre per lui era l’incarnazione del grande coraggio dimostrato dagli otrantini nell’assedio saraceno del 1480. Per Luigi Maggiulli, invece, il faro simboleggerebbe il primo bagliore della fede che, da Otranto, si diffuse poi nel mondo pagano. Difatti, dal mito si evince che questa città fu la prima in Occidente ad accogliere San Pietro. 

Altre versioni:

Un’antica leggenda racconta di un serpente che ogni notte saliva dalla scogliera per bere l’olio che teneva accesa la lanterna del faro. Ad un certo punto gli abitanti di Otranto tesero un’imboscata al mostro uccidendolo e la compagna del serpente, saputolo, salì sulla torre, si avvolse attorno e la strinse fino a distruggerla.

Foto di Alessandro Fersini (2020)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/xB4wpyTGVmrSXZoVA

Bibliografia:

Coco, P. (1930). Porti, Castelli e Torri Salentine. Roma: Istituto di Architettura Militare.

Comune di Otranto (2020). Stemma. Link: https://www.comune.otranto.le.it/vivere-il-comune/territorio/stemma

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Musei Online (2020). Torre del Serpe. Link: https://www.museionline.info/tipologie-museo/torre-del-serpe

Wikipedia (2020). Torre del Serpe. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_del_Serpe

Torre dell’Orte

Nel Comune di Otranto in Località Baia dell’Orte si erge Torre dell’Orte a 100 metri dal mare e a un’altitudine di 35 metri. Il rudere è in proprietà privata ed è in fase di restauro.

Torre dell’Orte comunicava visivamente a nord con la vicina Torre del Serpe e a sud con Torre Palscìa, oggi scomparsa. Si trova in una splendida posizione, sulla scogliera a sud di Otranto e domina l’omonima baia.

La Storia

Esiste un documento che cita Cesare D’Orlando, Tommaso Vangale, Cola D’Andrano e altri compagni di Otranto, come incaricati della costruzione di Torre dell’Orte. Indicata da alcuni documenti e da quasi tutta la cartografia a partire dal XVII secolo, anche col nome di “Torre dell’Horto”. Nel 1608 risultava ancora in costruzione.

Alcuni studiosi, in primis il Faglia, esprimono qualche dubbio sulla contemporaneità con le altre torri del Regno, sia per la sua atipicità, sia per l’immediata e ingiustificata prossimità a Torre del Serpe. La massiccia struttura infatti, la accomuna di più ad una casamatta. Più plausibile che fungesse da avamposto per la difesa della tormentata città di Otranto, che semplice torre d’avvistamento.

Già alla fine del XVIII secolo, ancora vigilata dall’ultimo torriere, la torre risultava in avanzato stato di degrado. Nel 1826, con la definitiva scomparsa dei pericoli che l’avevano resa necessaria, fu abbandonata per poi essere incorporata all’interno di una masseria di cui fungeva da magazzino. Oggi risulta in proprietà privata e sono in corso dei lavori di restauro.

Foto di Fabio Protopapa (2014).

La Struttura

Torre atipica, è caratterizzata da un basso e massiccio corpo quadrangolare scarpato, di 16 metri per lato e presenta un accesso in lato monte. La torre è interamente costruita in carparo, con spigoli rinforzati da bugne dello stesso materiale.

La completa al piano del terrazzo, un basso parapetto definito da toro continuo. In origine quest’ultimo aveva la funzione di facilitare il piazzamento e la movimentazione delle artiglierie lungo tutto il perimetro.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/W5ijRpKSCWkFU1xh9

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Museo Italia (2020). Torre dell’Orte. Link: https://www.museionline.info/tipologie-museo/torre-dell-orte

Wikipedia (2020). Torre dell’Orte. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dell%27Orte

Torre Palascìa

Torre non più esistente.

Torre Palascìa si ergeva sul promontorio più orientale d’Italia, Capo d’Otranto. La sua posizione la rendeva di enorme importanza strategica per l’avvistamento di pericoli provenienti dal mare.

Agibile nel 1569 secondo gli Elenchi del Viceré, era menzionata in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Fu indicata inizialmente come “Torre di Capo della Pelliccia”, poi “Torre Pelagia”, “de Palegia”, “di Pelgia”, “Palanda” e infine “Palascìa”.

Giovanni Cosi (1989) riporta un interessante documento: “Francesco Antonio Antonino di Minervino, caporale della torre «Pelagia», in solido con suo padre Agostino, il 12 marzo 1672, prende in affitto una masseria dell’abate Carlo Guarini dei baroni di Poggiardo.”

Scomparso il pericolo turco, la torre fu abbandonata e nel giro di pochi decenni andò in rovina. Nel 1869, fu definitivamente demolita per far posto alla costruzione del rinomato faro. La torre era posta probabilmente più in alto rispetto al faro, forse dove oggi sorge l’edificio dell’Aeronautica Militare.

Della torre non ci sono più tracce, Si può immaginare, per collocazione, che fosse rotonda piccola della serie di Otranto. Comunicava un tempo a sud con Torre Sant’Emiliano e a nord con Torre dell’Orte.

Dove si trovava: https://goo.gl/maps/7dWwpkDwkvbKoSqd6

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

365 Giorni nel Salento (2020). Torre Palascia. Sito Web.

Torre Sant’Emiliano

Nel Comune di Otranto, nell’omonima località, si erge Torre Sant’Emiliano a 120 metri dal mare e a un’altitudine di 45 metri. Il rudere è in parte diroccato.

Torre Sant’Emiliano si erge isolata a margine di un alto e ripido sperone roccioso e continua a dominare, da secoli, la vallata e l’insenatura che unisce Porto Badisco con Punta Palascìa. Nel cuore di un contesto paesaggistico ancora incontaminato. Particolarmente amata da tutti coloro che, almeno una volta, hanno intrapreso il cammino per raggiungerla potendo godere di un panorama mozzafiato. Un tempo comunicava visivamente con Torre Porto Badisco a sud e con Torre Palascìa a nord, entrambe oggi scomparse.

La Storia

Torre Sant’Emiliano è indicata dalla cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente con il nome di “Torre S. Milano”, poi “Torre S. Miliano”, infine “Torre S. Emiliano”. Deve il suo nome, molto probabilmente, alla presenza di una cappelletta votiva dedicata al santo situata nelle vicinanze.

Come le altre torri circolari piccole della serie di Otranto, concentrate in questo tratto di costa, Torre Sant’Emiliano risulta essere tra le prime torri costruite, probabilmente in seguito all’eccidio del 1480 per l’urgenza di difendersi dalle minacce turche. La torre risale dunque agli inizi del XVI secolo. Nei fondali circostanti sono stati riconosciuti resti di navigli corsari.

Cronologia:

1569: Risulta esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1582: Torriero Caporale Caliego Ferdinando.
1654: Torriero Caporale De Blasi Francesco.
1697: Torriero Caporale De Blasi Geronimo.
1777: È custodita dagli Invalidi (associazione).
XX secolo: Rudere in abbandono.
Vittorio Faglia (1975)

La Struttura

Le torri circolari piccole della serie di Otranto sono caratterizzate da una base troncononica in pietrame non regolare e da un corpo cilindrico con all’interno un unico ambiente voltato, possedevano una dimensione minima per l’alloggiamento di una vedetta, giustificata da necessità di urgenza ed economia: con un diametro alla base inferiore ai 9 metri.

Il suggestivo rudere di Torre Sant’Emiliano presenta tuttora un alto basamento, lievemente scarpato, oltre ad un consistente residuo del piano agibile, che conserva ancora intatta parte della volta. In lato monte, alla base della torre, vi è un ampio squarcio causato da un cedimento. Leggibile nella parta alta del piano agibile, l’apertura originaria della porta levatoia.

Attualmente la torre è in un cattivo stato di conservazione e necessiterebbe di un’opera di consolidamento e restauro. Preoccupano particolarmente le rotture presenti in lato monte.

Giovanni Cosi (1989)

Torre Sant’Emiliano vista dall’alto

Dove si trova: https://goo.gl/maps/LBvhZaRyxpEs1LHz8

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Tricarico, G. (2020). Le fortificazioni litoranee di Terra d’Otranto: una panoramica sulle torri costiere della provincia di Lecce.

Torre Porto Badisco

Questa torre non è più esistente.

La sua esistenza è confermata negli Elenchi del Vicerè nel 1569. La torre è presente in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, inizialmente con i nomi di “Torre di Porto di Vasco”, “Torre di Porta di Badiscio”, “Torre di Vadisco”, infine “Torre di Badisco”. Essa comunicava con la vicina Torre Sant’Emiliano a nord e con Torre Minervino a sud. É plausibile che essa fosse a base circolare come le sue vicine. Sorgeva a difesa dell’omonimo porto sulla sponda meridionale. La Platea di San Nicola di Casole del 1665 è un importante documento che ci descrive la sua posizione.

Fu bombardata dalle forze navali inglesi all’inizio del XIX secolo durante epoca del Blocco Continentale napoleonico. Venne segnalata in cattivo stato nel 1825. Nel 1842 fu dichiarata “abbandonata perché distrutta dagli inglesi” (De Salve). Di questa torre non esistono più tracce.

Dove (probabilmente) si trovava: https://goo.gl/maps/22cAwmyg6rTew3S86

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Torre Minervino

Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Villaggio Paradiso, si erge Torre Minervino a 100 metri dal mare e a un’altitudine di 60 metri. Il rudere è stato recuperato.

Da Quarta Caffè, Facebook

Sicuramente tra le torri più pittoresche, in un luogo molto suggestivo, Torre Minervino si erge alta sulla costa rocciosa, facilmente raggiungibile dalla litoranea. La posizione di Torre Minervino permetteva di osservare Torre Porto Badisco (oggi scomparsa) a nord e Torre Specchia la Guardia verso meridione. Assieme, il complesso delle tre torri garantiva una pressoché totale copertura dello spazio costiero. Da Torre Minervino, scrutando verso nord, si vedono anche Torre Sant’Emiliano e punta Palascia.

La Storia

La torre compare negli Elenchi dei Vicerè nel 1569 con il nome di “Torre del Porto Raso”. Successivamente, nella cartografia antica, compare con i nomi di “Torre del Porto Rosso”, “Torre di Porto Fondo”, e a partire dal XVIII secolo, come “Torre del Vento”. Fu indicata infine come “Torre Minervino” ed è con questo nome ad essere conosciuta tuttora.

Non si conoscono epoca e circostanze sulla sua costruizione. Si sa per certo che fu edificata nel XVI secolo, a difesa dell’entroterra dalle insidie provenienti dal mare. É così chiamata perchè fu l‘Universitas di Minervino a contribuire alle spese per la sua realizzazione.

Giovanni Cosi (1989) riporta un’interessante documento che regala uno spaccato di vita quotidiana: “Cataldo Accoto, caporale della torre di Porto Russo, cioè di Minervino, e Innocenza Calso stipulano il 25 aprile 1572, i capitoli del loro matrimonio, stando nella casa del futuro sposo, sita in Minervino nel luogo detto «La Curte delli Sciausi, o Scelsi, o Scieli”.

Cronologia:

1569: Esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1587: Data per crollata per via di “mala fabbrica”.
1655: Torriero Caporale Guasta Francesco Antonio.
1703: Indicata dal Pacichelli.
1730: Torriero Caporale Aprile Marco.
1777: Custodita da un torriero temporaneo.
1825: Censita in buono stato.
1842: Abbandonata perché diruta.
2009-10 ca: il rudere subisce due interventi di restauro.
Vittorio Faglia (1975), escluso ultimo rigo.

Torre Minervino come appariva prima del suo restauro.

Torre Minervino dopo il primo restauro (2009 circa), sicuramente poco gradito, tanto da essere modificato poco tempo dopo.

Come appare Torre Minervino oggi, dopo gli accurati rifacimenti.

La Struttura

La torre presenta un alto corpo scarpato troncoconico dal diamentro di circa 9 metri alla base. Presenta un modesto cordolo, nel coronamento a scarpa minore. In quest’ultimo, fragili barbacani rifatti vogliono rievocare la presenza di piombatoie controscarpate (De Salve). Vittorio Faglia, nel 1975, già dubita che essi possano essere originari.

La muratura è abbastanza irregolare e alterna pietre piccole a pietre più grandi. Particolarmente modesto lo spazio agibile all’interno della torre stessa, motivo per cui si ritiene che le sentinelle non vi alloggiassero, ma si dessero piuttosto il cambio per i turni.

Torre Minervino vista dall’alto.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/Z5VkTe31TpuJFE3P6

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Viaggiare in Puglia (2020). Torre Minervino. Sito Web.

365 Giorni nel Salento (2020). Torre Minervino. Sito Web.

Torre Specchia La Guardia

Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Mastefina, si erge Torre Specchia La Guardia a 290 metri dal mare e a un’altitudine di 115 metri. Il rudere versa in stato di abbandono.

Foto di Luigi Schifano (2017).

Torre Specchia La Guardia è classificata come torre piccola rotonda della serie di Otranto. La stessa tipologia di Torre Minervino e Torre Santa Cesarea, con le quali comunicava rispettivamente a nord e a sud. É sicuramente una tra le torri più difficoltose da raggiungere. Si erge sul ciglio di un altipiano in una zona rurale, ancora incontaminata. La si intravede dal basso, percorrendo la litoranea Santa Cesarea Terme – Otranto.

La Storia

Non si hanno notizie sul periodo della sua edificazione o dell’identità dei costruttori. É menzionata in pochi documenti ma è presente in tutta la cartografia a partire dal XVII secolo. Indicata inizialmente come “Torre di Pecchia della Guardia” poi come “Torre Specchio di Guardia” infine “Specchia di Guardia”.

Cronologia:

1655: Torriero Caporale Rizzo Giulio.
1695: Torriero Caporale Sarcinella Stefano.
1727: Torriero Caporale de Falco Benedetto.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
XX secolo: rudere in stato di abbandono con piano agibile crollato.
Vittorio Faglia (1975)

La Struttura

Il rudere conserva ancora integro e ben conservato l’intero basamento scarpato della torre (diametro di 8 metri), ad eccezione di una piccola rottura in lato mare. Il piano agibile è interamente crollato in circostanze non conosciute. Sulla sua cima vi è cresciuta della vegetazione spontanea.

Giulia Fersini (2021)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/fjurY8dHW15g4z9i8

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Torre Miggiano

Nel Comune di Santa Cesarea Terme, nella località di Porto Miggiano, sorge l’omonima torre a 10 metri dal mare e a un’altitudine di 14 metri. La torre è stata restaurata.

Dalla pagina Facebook di Quarta Caffè

Torre Miggiano, nei pressi dell’omonimo porticciolo, è una grande torre a base circolare che un tempo comunicava sud con le fortificazioni di Castro e a nord con Torre Santa Cesarea.

La Storia

Torre Miggiano, fu costruita attorno ai primi del ‘500. Non si conosce con esattezza l’anno di realizzazione della torre, ma viene riportata nella cartografia antica a partire dal XVII secolo col nome di “Torre Porto Mingrano”. Nella cartografia successiva prenderà anche il nome dialettale “Misciano”, infine “Miggiano”.

Qualche notizia più certa è riscontrabile dai documenti in relazione ai militari ivi stanziati, una prima documentazione registra che nel 1583 “vi era il torriero caporale Arico Consalvo” con un drappello di soldati per salvaguardare l’incolumità dei cavatori che lavoravano nelle vicine cave di carparo. Nonostante ciò, la presenza delle cave non può essere confermata.

La torre, per dimensioni, struttura e artiglieria, era sicuramente più adatta alla difesa, che alla vedetta (De Salve). Secondo il Faglia però, data la sua vulnerabile posizione, essa poteva anche essere abbandonata, poiché Torre Santa Cesarea a nord e le fortificazioni di Castro a sud, potevano scorgere lo stesso mare da più in alto.

Come ben visibile dalle fotografie selezionate, nel XX secolo, l’imponente rudere versava in condizioni drammatiche. Un accurato restauro dei primi anni Novanta ne restituisce l’antico splendore e la torre giunge fino ai nostri giorni riqualificata e quasi integra.

Cronologia:

1583: Torriero Caporale Arico Consalvo.
1655: Torriero Caporale Tronci Cesare.
1669: Torriero Caporale Cuorlo Leonardo.
1730: Torriero Caporale Nusso Giuseppe.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1930 ca. – 1975: Rudere in stato di abbandono (fotografie di Palumbo e Faglia).
1990 ca: Restauro.

La facciata vista mare, prima e dopo il restauro. 1975 e 2020 a confronto.

Le seguenti immagini, scattate rispettivamente negli anni ’30 (Giuseppe Palumbo), anni ’70 (Vittorio Faglia) e nel 2020, evidenziano il progressivo deterioramento in cui andava incontro la torre. A circa 40 anni di distanza dal primo scatto, nella seconda fotografia si notano ulteriori peggioramenti. Infine, l’importante restauro che ha salvato la torre.

La Struttura

La struttura si presenta a basamento scarpato troncoconico (diametro di 14 m circa) realizzata in muratura con pietre irregolari allineati in corsi orizzontali e rinforzate da pilastri di spina posti a intervalli cadenzati secondo una tecnica muraria di ascendenza medievale che in Terra d’Otranto dura fino alle soglie del XIX secolo.

Nel paramento si aprono tre finestre in prossimità del cordolo. Oltre questo, interrotto nei tratti delle bocche di gittata, in un ampio tratto del piano agibile verticale, si sviluppano i barbacani delle piombatoie (molto distanziate e anomale) a spessore di muro. Il coronamento, leggermente controscarpato, ospita, tra due altri cordoli, una serie di troniere. In seguito al restauro, in lato monte è stato tenuto a vista un tratto del piano agibile franato, che ci permette di apprezzare altri dettagli dell’interno della costruzione (De Salve), come ad esempio, tracce della volta.

Torre Miggiano vista da Giovanni Cosi nel 1989:

Torre Miggiano oggi (immagini tratte dal sito di Camping Miggiano e da Santa Cesarea Terme, Instagram):

Curiosità

Un particolare decorativo, dipinto su di uno dei lati della base di appoggio della statua della Madonna del Rosario di Pompei, sita nel Santuario di Castro Marina, risalente al 1897, raffigura una torre che con molta probabilità è proprio Torre Miggiano. Raffigurata ovviamente con spunto artistico e creativo, non necessariamente realistica.

Foto di Angelo Micello

Torre Miggiano vista dall’alto

Dove si trova: https://goo.gl/maps/23Bv2FSZnE9us54N9

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Wikipedia (2020). Porto Miggiano. Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Porto_Miggiano

Torre Diso

Nel Comune di Castro, nella località di Castro Marina, si erge Torre Diso a 145 metri dal mare e a un’altitudine di circa 40 metri. Il rudere è quasi interamente crollato e in proprietà privata.

Giulia Fersini (2021)

Torre Diso comunicava visivamente con Torre Capo Lupo a sud e con le fortificazioni di Castro a nord. Il rudere si trova in un bellissimo contesto, anche se ormai fortemente urbanizzato, tanto da “nascondersi” per via della folta vegetazione e delle abitazioni annesse ad esso. Per questo motivo, Torre Diso sfugge anche ad alcune pubblicazioni, trascorrendo un periodo di dimenticanza ed abbandono. É presente in gran parte della cartografia antica ma in pochi documenti.

La Storia

Nella cartografia antica, Torre Diso subisce alcune variazioni di nome: “Torre della Casa”, “Torre della Cala” o “della Cala del Cubo”, dunque “Torre de Diso”. Nelle antiche pubblicazioni del XVII secolo, Scipione Mazzella (1601) ed Enrico Bacco Alemanno (1629) la indicano col nome di “Torre della Casa del Rio”.

Nel 1537 e nel 1573, la Città di Castro, al tempo Contea e Diocesi, fu assediata, brutalmente saccheggiata e distrutta, in entrambe le occasioni, dalle armate turche. Da quel momento in poi, passarono secoli prima che Castro potesse riprendersi. “I pochi abitanti superstiti vissero tra le rovine delle antiche fortezze, nel ricordo soltanto della passata grandezza” (Boccadamo).
A conferma della gravità del momento storico, il Regno di Napoli decise di aumentare il numero delle torri costiere presenti sul territorio. Queste nuove torri, cosiddette tipiche del Regno, furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-1575, in seguito all’Orden General di Parafan De Ribera. Torre Diso era una di queste.

In un documento del 1580, riportato dal Cosi (1989) e dal De Salve (2016), risulta che, “il maestro Cesare Schero di Lecce, il 2 giugno 1580 rilascia procura al figlio Pietro Angelo per riscuotere presso la generale Tesoreria di questo Regno, quanto gli è dovuto per le fabbriche da lui eseguite nella città di Otranto ed in altri luoghi e segnatamente nella torre sita nel territorio di Diso”. 

Il Cosi (1989) e Boccadamo (1994) riportano un ulteriore documento che narra una peculiare vicenda. “Lo Spagnolo Gregorio Martines, nominato caporale della Torre di Diso alias della Cala del Cubo con lettera del 25 agosto 1581 dell’allora Viceré Iuan de Zuniga, il 16 agosto 1586 rinuncia al caporalato a favore del connazionale Francesco Rois. Il motivo delle dimissioni proviene dall’odio e malevolenza di alcune persone che, istigate da animo diabolico, gli spararono un colpo di archibugio mentre andava a ritirare il suo stipendio nel Casale di Sanarica e poco mancò che non venisse ucciso; e, permanendo in codesto esercizio nel quale ha contratto capitali inimicizie, rischia la vita.”

Vittorio Faglia (1975) nel suo grande censimento delle torri costiere di Terra d’Otranto, cita l’esistenza di un documento risalente al 1777, secondo il quale la torre fosse custodita da un torriere interino che chiedeva un risarcimento. Questo presuppone che la torre svolgesse ancora la sua funzione sul finire del XVIII Secolo. Le notizie successive riguardo Torre Diso appaiono spesso confuse. La torre viene prima riportata distrutta all’inizio del XIX Secolo dalle truppe navali inglesi durante il periodo del Blocco Continentale napoleonico; viene poi censita in buone condizioni nel 1825 (lo confermano il Faglia e De Salve). Ne fece una ricognizione il Faglia nel suo censimento del 1975, ma negli anni ’80 il Cosi non fu in grado di individuarla e con il passare degli anni passò inosservata anche in successive pubblicazioni come quella di Ferrara del 2009.

La torre è quasi interamente crollata. Secondo il Faglia fu danneggiata verosimilmente dagli uomini (per le navi inglesi essa era abbastanza fuori tiro). Non si sa per certo cosa abbia causato tale deterioramento. In quale percentuale lo sfacelo sia dovuto all’incompetenza del progettista, alla disonestà dell’appaltatore (fenomeno esistente anche allora ed ampiamente provato per più di una costruzione) o al vandalismo e all’incuria dei posteri, è molto difficile determinarlo.

Nel 2020, ci sono stati degli sforzi da parte di alcuni cittadini, affinché l’amministrazione comunale si prendesse carico del rudere, in ottica di una possibile riqualifica. Potrebbero infatti esserci presto nuovi risvolti.

Nella prima fotografia del 1976: la torre vista dalla strada con il lato monte scomparso in primo piano, rimpiazzato da un muretto a secco; apprezzabile il lato mare che si presentava all’epoca molto più alto ma crollò negli anni ’90.

Francesco Pispico (1976)
Vittorio Boccadamo (1994)
Giovanni Cosi (1989)

La Struttura

Torre Diso appartiene alla tipologia di torri tipiche del Regno, a base quadrata e corpo scarpato. Non si è in grado di ipotizzare se la torre avesse avuto tre caditoie per lato o nessuna caditoia, come la vicina Torre del Sasso. Questa tipologia di torri, come detto, risale al periodo dell’Orden General di Perafan de Ribera (1563). La sua struttura è ben distinguibile dalle poche fotografie risalenti alla seconda metà del ‘900. L’attuale rudere risulta ancor di più deteriorato soprattutto nel suo lato-mare che fino agli anni ‘90 poteva contare diversi metri di altezza in più.  Il rudere è stato a lungo minacciato dalla presenza di folta vegetazione, che con rami e radici rischiava di provocare danni irrimediabili, vista la situazione già critica.

Nel 1975, il Faglia riuscì ad individuare addirittura alcune caratteristiche della struttura interna della torre, oggi non più distinguibili. Scrisse infatti “all’interno si legge un inizio di volta e risega di appoggio (cisterna o locale sotterraneo)”. Torre Diso come ogni torre costiera della sua tipologia presentava una cisterna al piano terra ed un vano agibile al primo piano. Fu costruita con pietre irregolari ricavate dall’ambiente circostante e molto probabilmente nei suoi quattro angoli vi erano pietre regolari e squadrate come nella vicina Torre del Sasso, nel Comune di Tricase.

Torre Diso come appariva in alcuni scatti d’epoca.

Il rudere in una foto del 2009 mostra gravi segni di peggioramento. Si nota infatti che, a differenza delle immagini precedenti, la parete lato-mare è crollata, infatti non supera più in altezza il cavo della corrente elettrica.

Gianfranco Budano (2009)

Dove si trova: https://goo.gl/maps/baWxZvwSQ7B58ohg7

Bibliografia:

Alemanno, E. B. (1629). Nuova, e Perfettissima Descrittione del Regno di Napoli […]. Napoli: Per Lazaro Scoriggio.

Boccadamo, V. (1994). Guida di Castro. La Città, il Territorio, il Mare e le Grotte. Galatina: Congedo Editore.

Budano, G. (2009). Cultura Salentina. Tra i Due Mari a Caccia di Torri. Sito Web.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Mazzella, S. (1601). Descrittione del Regno di Napoli […]. Napoli: Ad istanza di Gio. Battista Cappello.

Pispico, F. & Pispico, M. (1976). Castro, vecchio amore.

Tricarico, G. (2020). Le fortificazioni litoranee di Terra d’Otranto: una panoramica sulle torri costiere della provincia di Lecce.

Torre Capo Lupo

Nel Comune di Diso, nella frazione di Marittima, si erge Torre Capo Lupo a 450 metri dal mare e a un’altitudine di 105 metri. Il rudere è all’interno di una proprietà privata.

Giulia Fersini (2020).

La torre fu indicata nella cartografia antica inizialmente col nome di “Torre della Cala del Lupo”. Successivamente, fu conosciuta anche come “Torre di Marittima” o semplicemente “Torre Lupo”. La più a sud tra le torri rotonde piccole della serie di Otranto, Torre Capo Lupo comunicava inizialmente solo con le fortificazioni di Castro, ma in seguito comunicò anche con Torre Diso a nord e Torre Porto di Ripa a sud, costruite più tardi.

La torre sorge isolata su una notevole altura, in un luogo incantevole e quasi incontaminato. Essa domina l’intero tratto di costa rocciosa che va dalla baia di Castro fino a Marina di Andrano. 

La Storia

Non esistono notizie certe riguardo l’edificazione di Torre Capo Lupo. Si pensa che la costruzione della torre risalga alla fine del XV oppure agli inizi del XVI Secolo, pochi anni dopo la battaglia di Otranto. Questo farebbe di Torre Capo Lupo una delle più antiche della zona. 

La torre compare in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Esistono delle testimonianze storiche riportate da Vittorio Faglia (1978), Giovanni Cosi (1989) e Vittorio Boccadamo (1983) grazie alle quali si può risalire ai nomi di alcuni dei caporali che hanno prestato servizio presso la torre: Giovanni Urso fino al 1617, Leonardo Forte nel 1672, Giuseppe Danesi nel 1762. Successivamente, il Faglia (1978) accenna ad un torriero interino che, nel 1777, aveva bisogno di risarcimenti. Pochi anni dopo, come tutte le torri costiere, essa fu dismessa.

Esistono poi testimonianze confuse e contrastanti, per le quali la torre nel 1800 risultava distrutta dalle flotte navali inglesi durante il Blocco Continentale napoleonico, nel 1825 invece, si rivelava ancora in buone condizioni. In una successiva ricognizione del 1842, Torre Capo Lupo è abbandonata perché “angusta e poco diruta”.

Un tempo Torre Capo Lupo sorvegliava le sorgenti d’acqua dolce che si trovano all’interno di Seno dell’Acquaviva, dove turchi e corsari facevano spesso rifornimento per proseguire i loro nefasti viaggi.

Non abbiamo trovato certezze per quanto riguarda l’origine del nome della torre. Boccadamo (1983) ritiene che il nome “Lupo” non faccia riferimento all’animale, forse mai stato presente in zona. Piuttosto, Lupo poteva essere il nome del costruttore, o forse, l’originario proprietario della collina su cui essa sorge, tenuto conto che il nome di persona Lupo era abbastanza comune nel Cinquecento.

Oggi la torre è di proprietà privata e in stato di abbandono.

Giulia Fersini (2020)

Torre Capo Lupo vista da Giovanni Cosi nel 1989

La Struttura

Torre Capo Lupo appartiene alla tipologia di torri “a pianta circolare piccole della serie di Otranto.” Queste torri risultano essere tra le prime costruite, probabilmente in seguito all’eccidio del 1480 a Otranto, per l’urgenza di difendersi dalle minacce turche. In generale esse sono composte da una base troncoconica in pietrame e da un corpo cilindrico con all’interno un unico ambiente voltato, possedevano una dimensione minima per l’alloggiamento di una vedetta. La loro struttura è giustificata principalmente da necessità di urgenza ed economia.

Torre Capo Lupo si presenta ai nostri giorni come un’affascinante rudere. Il suo basamento di forma troncoconica integro, privo di aperture, ha diametro di circa 9 metri e un’altezza di 7,20. A divisione del basamento ed il piano agibile vi è un ricco cordolo con fascia orizzontale in pietra squadrata. Il piano agibile, che è la parte della torre più danneggiata dai crolli, consiste in un corpo cilindrico che si sviluppa verticalmente. Ancora visibile all’interno, l’attacco della volta del locale quadrato in conci regolari e lavorati ad angolo nello spigolo.

Foto di Giulia Fersini (2020).
Foto di Maria Cristina Fersini (2017).

Dove si trova: https://goo.gl/maps/yrZp2TDsnxUrBVip8

Bibliografia:

Boccadamo, V. (1983). Marittima. Ambiente e Storia. Galatina: Congedo Editore.

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Tricarico, G. (2020). Le fortificazioni litoranee di Terra d’Otranto: una panoramica sulle torri costiere della provincia di Lecce. Sito Web.

Torre Porto di Ripa

Nel Comune di Andrano, nella località di Marina di Andrano, si erge Torre Porto di Ripa a 50 metri dal mare, ad un’altitudine di 12 metri. Rudere recuperato.

Giulia Fersini (2020)

Torre Porto di Ripa, conosciuta più recentemente con il nome di “Torre di Andrano”, comunicava visivamente a sud con Torre del Sasso e a nord con Torre Capo Lupo. É situata nelle vicinanze della celebre Grotta Verde di Marina di Andrano, in un tratto di costa bassa e rocciosa.

La Storia

Sicuramente la torre era già in uso nel 1569, essa compare in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo.

Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“Lo spagnolo Andrea de Leon, nominato caporale della torre Ripa, sita nella marina di Andrano, dall’allora Vicere Parafan de Ribera, il 21 settembre 1577 cede l’incarico alla R. Corte, non potendo più attendere al servizio di guardia, essendo da due mesi ammalato nell’ospedale dello Spirito Santo di Lecce.”

“Lo spagnolo Consalvo Martines, caporale della torre della Ripa, il 27 maggio 1594, acquista un pezzo di terra da Giovanni Camillo Saraceno, barone di Andrano.”

“Ancora il caporale Consalvo Martines, il 9 ottobre 1595, compra da Nicola Cantoro di Andrano una casa terranea con orto dietro, sita in Andrano alla via della Porta piccola e confinante con i beni dello stesso compratore, per 14 ducati e mezzo.”

“Dall’atto del 29 luglio 1602, in cui è testimone Alonso Martines figlio di Consalvo, si apprende che questi è ancora caporale della Torre.”

“Leonardo Rizzo di Andrano, caporale della torre di Andrano ossia di Portoripa, dopo aver custodito per anni la suddetta torre, il 1° maggio 1661, rinuncia all’incarico in potere della R. Corte perché provveda alla sostituzione.”

Nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Le sue dimensioni e la sua posizione molto esposta, come spiega il Faglia, la caratterizzano come probabile avamposto di difesa. Purtroppo, non abbiamo notizie sulle vicende che hanno portato alla sua semi-distruzione.

Giovanni Cosi (1989)

La Struttura

Della grande torre troncoconica a base circolare rimane oggi solo il basamento scarpato fino all’altezza del piano agibile. Oggi restaurato, il primo piano conserva ancora all’interno la cisterna a cupola. Come ben visibile nella fotografia tratta dal libro del Faglia (in basso), negli anni ’70, era possibile accedere alla cisterna tramite una rottura nel paramento della torre, oggi definitivamente riparata. La torre, di diametro di 11 metri, è stata realizzata con pietrame irregolare ma in corsi orizzontali, tra dime verticali in tufo a conci regolari a quattro metri circa di distacco.

Torre Porto di Ripa prima e dopo il suo restauro. Anni 1975 e 2020 a confronto (foto di Vittorio Faglia e Giulia Fersini).

Dove si trova: https://goo.gl/maps/zNCuuqH9XDvKhUn38

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Torre del Sasso

Nel Comune di Tricase, in località Serra del Mito, si erge Torre del Sasso a 400 metri dal mare e a un’altitudine di circa 110 metri. Il maestoso rudere, in parte crollato, versa in stato di abbandono.

Foto di Daniele Met Photography

Torre del Sasso è un imponente rudere, parzialmente crollato, che si erge isolato in una posizione mozzafiato, nella Serra del Mito, su di un alta roccia da cui prende il nome. Detta anche Torre del Mito, comunicava visivamente con Torre Porto di Ripa a nord e con Torre Porto di Tricase a sud. Inoltre, da questa strategica posizione è possibile osservare Torre Palane e Torre Nasparo, entrambe a sud.

La Storia

La vediamo citata in alcuni atti di fine XVI secolo dove sono annotati i compensi per i servizi a torrieri e cavallari. La stessa, inoltre, è presente in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica sempre con il nome “Torre del Sasso” (De Salve).

Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti tratti dall’Archivio di Stato di Napoli:

“L’Università di Tricase, il 4 maggio 1584 nomina due procuratori per riscuotere presso il Percettore quanto da essa già pagato, per primi quattro mesi dell’anno, al caporale ed ai soci della torre Sasso sita nel territorio dell’Abbazia de lo Mito.”

“Lo spagnolo Andrea Dos, caporale della torre del Sasso, Matteo Coti di Tricase e Lupo Antonio Mellacca di Caprarica del Capo, soci e custodi, il 10 giugno 1588 ricevono dal cassiere dell’Università, il notaio Micetto Micetti, il salario per i primi quattro mesi dell’anno.”

“Il caporale della torre Francesco Cesario ed il custode Didaco Salcedo il 10 marzo 1608 costituiscono un procuratore per riscuotere dal Percettore il salario dei mesi passati.”

“Capitoli del contraendo matrimonio tra il caporale Francesco Cesario e Margherita Martines vengono stipulati il 26 febbraio 1609.”

“Il sindaco di Tricase Antonio Simeone, il 6 maggio 1614, rilascia procura a Giovanni Dana per il prelievo della polvere (per la quale l’Università viene tassata) per munizione della Torre.”

“Il sindaco di Tricase Giulio Cesare Micetto il 16 settembre 1618 rilascia procura a Gaspare Brizio per farsi rimborsare dal Percettore 13 ducati e mezzo che l’Università ha già pagato al caporale Francesco Cesario ed al custode Angelo Zezza, per i tre mesi trascorsi.”

Attualmente di proprietà demaniale, c’è stato negli ultimi anni un fortissimo interesse da parte di alcuni cittadini che si sono attivati per la salvaguardia di questo patrimonio, tuttora in grave rischio di crollo. In particolare, da sottolineare il contributo del gruppo ASD MTB Tricase.

Nell’ottobre 2021 finalmente, come riportato anche dalla testata locale il Gallo, è stato finanziato il progetto di puntellamento di Torre del Sasso, un importantissimo primo intervento che permetterà di mettere in sicurezza e conservare la torre nello stato attuale in attesa di un progetto di recupero definitivo.

Aggiornamenti da BelPaese, 23 settembre 2022:

Cronologia:

1583: Torriero Caporale Garcia Domingo.
1592: Torriero Caporale Fabiano Agostino.
1609: Torriero Caporale Cesario Francesco.
1727: Torriero Caporale Pisano Fortunato
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in cattive condizioni.
1842 Abbandonata perché “in parte diruta”.
1975: Fotografia di Vittorio Faglia (in basso).
1990 Circa: fotografia a colori (in basso).
Vittorio Faglia (1978)

La Struttura

Mettendo a confronto queste due foto è evidente il grave crollo che ha interessato la facciata sud della torre. La foto sulla sinistra (di ASD MTB Tricase) risale anni ’80.

Le seguenti immagini (a sinistra, foto di Davide Marra e a destra TorredelSasso, Instagram) mettono in luce alcuni dettagli architettonici.

Rispetto alle vecchie fotografie da noi riportate, oggi rileviamo un’ulteriore declino. Difatti, metà della torre è interamente crollata. Nonostante ciò, il suggestivo rudere custodisce immutato il suo fascino antico. Torre del Sasso è una torre con base troncopiramidale lievemente scarpata, sulla quale si erge in verticale il corpo parallelepipedo del piano agibile. Nella parte inferiore vi era la cisterna. Nella parte agibile, da alcune finestre, i torrieri scrutavano le coste. Rimane ancora intatta una di queste finestre nella parte di torre ancora superstite, quella che guarda a nord, verso Castro. Il lato che guarda sud invece è ormai ridotto in macerie.

É tuttora possibile ammirare alcuni particolari dell’interno del piano agibile che presentava un unico ambiente con volta a botte semplice. Non vi sono segni leggibili di caditoie e la torre è priva di toro marcapiano. Probabilemte, secondo il Faglia, ci fu in tempi lontani, un rifacimento dei paramenti esterni.

Il corpo parallelepipedo, su base troncopiramidale, presenta spigoli in pietra a conci regolari mentre le pareti sono invece composte da pietre irregolari. É visibile il colatoio del tetto che collegava lo scarico dell’acqua alla cisterna, oggi scoperta e visibile dal piano agibile.

A sinistra, la torre ancora “integra” come si presentava negli anni ’70, tratta dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia). A destra, un’ulteriore fotografia di un autore sconosciuto.

A sinistra, un dettaglio del colatoio come visto dal Faglia neglia anni ’70. Nella foto a destra, un dettaglio della cisterna (foto di Marco Rizzo, 2020).

Torre del Sasso vista da Giovanni Cosi nel 1989

Torre del Sasso oggi

Foto di Daniele Met Photography
Foto di Daniele Met Photography

Torre del Sasso vista dall’alto

Dal canale Youtube di Gianluca Rizzo

Dove si trova: https://goo.gl/maps/qzdGYqpkhUnrCmUZA

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Faglia, V. & Bruno, F. (1978). Censimento delle Torri Costiere nella Provincia di Terra d’Otranto. Roma: Istituto Italiano dei Castelli.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Telerama (2018). Crolla la Torre del Sasso, intervengono i pompieri: Sos dalle associazioni per salvarla. Link: http://www.trnews.it/2018/06/10/crolla-la-torre-del-sasso-intervengono-i-pompieri-sos-dalle-associazioni-per-salvarla/218993

Il Gallo (2021). Finanziamento puntellamento Torre del Sasso. Link: https://www.ilgallo.it/dai-comuni/tricase/tricase-finanziato-puntellamento-torre-del-sasso/

Torre Porto di Tricase

Questa torre non è più esistente.

Torre Porto di Tricase, come spiega il De Salve, era già esistente nel 1569 secondo gli Elenchi dei Viceré. Era menzionata in molti documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo. Come riportato in un atto del 18 settembre 1610, la torre originaria dovette essere ricostruita secondo il disegno dell’ingegnere Fontana dai fratelli Sansone ed Ercole Pugliese. Essi dovettero ricostruirla perchè la prima edificazione era probabilmente inutilizzabile.

Questa torre fu definitivamente distrutta dalle forze navali inglesi agli inizi del XIX secolo durante l’epoca del Blocco Continentale Napoleonico. La torre fu distrutta nel luglio 1810 dalla fregata inglese Leonidas, di ritorno dall’assedio dell’isola di S. Maura in Grecia. La torre fu abbattuta, la guardia uccisa, ed il cannone inchiodato per renderlo inservibile. Questo rimase sulle macerie fino ai primi anni del ‘900, quando poi fu finalmente rimosso. Della torre, in assenza di ogni sua traccia, risulta difficile avanzare ipotesi sulla tipologia della sua struttura.

Comunicava visivamente a sud con Torre Palane e a nord con Torre del Sasso. Sorgeva a nord dell’insenatura del porto di Tricase, sulla punta denominata Pizzo Cannone, chiamata così perchè al posto della torre fu posizionato il cannone, successivamente rimosso.

Dove si trovava: https://goo.gl/maps/X1PbsrkHZiUCerrP9

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Wikipedia (2020). Torre del Porto di Tricase. Sito Web.

Torre Montelungo

Questa torre non è più esistente.

Fu edificata tra il 1550 e il 1560 probabilmente nel tratto più sporgente della costa alta e rocciosa che unisce Leuca al territorio di Gagliano del Capo. Di questa torre oggi rimane una testimonianza, riportata dal De Salve, ovvero uno schizzo tracciato nei primi decenni del Ventesimo secolo dallo storico Primaldo Coco che la illustra la base circolare con basamento scarpato e il piano agibile già diroccato. Probabilmente i suoi rudere sono stati incorporati (o rimpiazzati) da una recente costruzione.

La torre era menzionata in vari documenti e in quasi tutta la cartografia antica dal XVII secolo. Uno di questi documenti, rinvenuto da Giovanni Cosi (1989) e riportato anche da Cesare De Salve (2016), attesta che “il 4 giugno 1591 si presentano alla Marina di Gagliano quattro galeotte turche, ma, grazie ad alcuni colpi sparati dalla torre di Montelungo, gl’infedeli non osarono sbarcare, accontentandosi di mandare quattro feluche con alcuni armati che catturano tre uomini e quaranta pecore”.

Comunicava visivamente a sud con Torre Santa Maria di Leuca e a nord con Torre Porto di Novaglie.

Dove (probabilmente) si trovava: https://goo.gl/maps/Lzav7CAmVC6MmiJT9

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Torre dell’Omomorto

Nel Comune di Castrignano del Capo, nella frazione di Santa Maria di Leuca si erge Torre dell’Omomorto a circa 50 metri dal mare e a un’altitudine di 11 metri. Il rudere versa in stato di abbandono.

Anche detta Torre Vecchia, perchè la prima tra le torri di Leuca (per distinguerla dalla nuova, oggi demolita per far posto al faro), fu detta dell’Omomorto (dell’Huomini Morti o Domini Morti) in riferimento a dei ritrovamenti di resti umani nelle vicine grotte. Sorge su un suggestivo promontorio un tempo isolato, ma ormai accerchiato dall’abitato. Comunicava a ovest con Torre Marchiello e ad est con Torre S.M. di Leuca.

La Storia

Citata in alcuni documenti ed in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo, è menzionata esistente nel 1569 negli elenchi dei Viceré. Luigi Tasselli la data al 1555 ad opera di Andrea Gonzaga, Conte di Alessano nel 1560.

Nella seconda metà del XVII secolo, quando era considerata ancora valida come torre di difesa dalle frequenti incursioni, fu prontamente riparata dopo un crollo probabilmente dovuto a causa di eventi atmosferici. A conferma di questo, esiste un documento riportato da Giovanni Cosi (1989).

Il Cosi scrive “Verso la metà di febbraio del 1694, per le continue piogge e per la neve abbondante e per i forti venti, crolla la muraglia della Torre verso tramontana, con la gettarola in corrispondenza della porta, per circa tre passi di muro. La Torre, che, armata di un cannone di tre libbre di palla (in sostituzione della prima arma della portata di due libbre), potrebbe non solo impedire lo sbarco dei nemici, ma anche danneggiarli, ora è inabile a difendersi dai corsari nel caso tentassero lo sbarco. Il caporale Domenico Greco di Salignano ed il sopra guardia Diego Brigante di Racale, il 20 marzo successivo al crollo, si recano a Lecce dal Capo-Rota e vice Preside della Provincia Giovanni Battista Ravaschiero per presentare rispettivamente un memoriale ed una relazione. Il Ravaschiero dà ordini al segretario Nicolò Serra di spedire le istruzioni per il restauro della Torre all’Università di Giuliano, ma costui fa presente che, essendo la spesa superiore a dieci ducati, bisogna avvertire Sua Eccellenza. Il caporale, poiché si avvicina il tempo della nuova navigazione ed i corsari possono tentare uno sbarco, a discarico di sua responsabilità, il 5 aprile dello stesso anno fa un atto pubblico in cui dichiara quanto sopra.”

La torre, pur trovandosi nelle pertinenze di Castrignano del Capo, è sempre stata mantenuta dall’Università di Giuliano. Non si conosce il motivo per cui il Governatore della provincia dette l’incarico del restauro della muraglia all’Università di Castrignano. Il maestro Giuseppe Nicolardi di Alessano, il 31 agosto 1696 dichiara di essere stato chiamato dal sindaco di Castrignano Pietro Ciaccia per proseguire i lavori di restauro già iniziati dall’Università di Giuliano e di averli terminati in 27 giorni col concorso di altri tre maestri e 15 manovali (Cosi, 1989).

Nel 1846, come ricorda l’Arditi, la torre venne disarmata.

Foto tratta dalla Pagina Facebook: Fotografando Lecce e il Salento

La Struttura

Torre atipica e possente, è classificata come torre a martello (tipologia dalle caratteristiche di fortezza difensiva). Ha dimensioni notevoli, il basamento scarpato ha muraglie spesse quasi 5 metri e diametro di circa 16 metri. All’interno di questo, si aprivano quattro troniere (quella in lato costa-nord oggi risulta sostituita da una porta d’accesso). Oltre il cordolo a circa 4 metri di altezza, si sviluppa un tozzo corpo cilindrico che si conclude come massiccio coronamento del terrazzo di copertura. É dotata di un ambiente interno voltato a cupola. Nello spessore delle mura è ricavata una scala che conduce alla sommità della torre.

Nelle foto di inizi Novecento si può notare una scala monumentale di pietra, costruita in epoche successive ma da tempo ormai rimossa.

La torre oggi, in abbandono e pericolante, ma ancora fruibile, manifesti i segni di vari, rimaneggiamenti ormai anch’essi poco distinguibili (pare ci sia stato un’opera di consolidamento nel 1987).

Dove si trova: https://goo.gl/maps/3WmfEs8AFFzsRGLi9

Bibliografia:

Cosi, G. (1989). Torri Marittime di Terra d’Otranto. Galatina: Congedo Editore.

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.

Torre Inserraglio

Nel comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Inserraglio a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di circa 3 metri. Versa tuttora in completo stato di abbandono.

Torre Inserraglio (detta anche di Critò, alterazione dialettale di critmo, finocchio marino) comunicava visivamente a sud con Torre Uluzzo e a nord con Torre Sant’Isidoro, entrambe nel Comune di Nardò. Si trova in una zona relativamente poco urbanizzata.

La Storia

L’edificazione di questa torre fu aggiudicata nel marzo 1568 al leccese Camillo Chiarello, che si impegnò a costruirla secondo il disegno del Regio Ingegnere Giovanni Tommaso Scala e a ultimarla entro otto mesi dal maggio successivo. A causa della morte di Camillo, però, la torre fu completata nel settembre del 1570 dal fratello Donato, che gli era subentrato. Menzionata in tutta la cartografia antica a partire dal 1620, risultava già in cattivo stato nei primi anni del XIX (Primaldo Coco) e ancora in uso alla guardia doganale nel 1842.

La Struttura

É un esempio di torre tipica del regno a corpo quadrangolare scarpato (9,50 metri per lato) e coronamento controscarpato. La torre è stata abbondantemente snaturata da un vistoso corpo in muratura aggiunto in lato-monte. Un altro invasivo intervento di restauro ha conservato però fortunatamente, un tratto del coronamento controscarpato completo di una piombatoia. La torre è costituita da due stanze voltate a botte al piano terra e da un ampio vano unico al piano superiore sul lato nord. La struttura è in stato di abbandono in proprità demaniale, in discreto stato di conservazione.

Dove si trova: https://goo.gl/maps/e5Jt4njgeQ9HuqgK6

Bibliografia:

De Salve, C. (2016). Torri Costiere. La Difesa delle Coste del Salento al Tempo di Carlo V. Galatina: Editrice Salentina.

Ferrara, C. (2009). Le Torri Costiere della Penisola Salentina. Sentinelle di Pietra a Difesa del Territorio. Castiglione: Progeca Edizioni.