Nel Comune di Ostuni, nell’omonima località, si erge Torre Pozzelle, a 70 metri dal mare e a pochi metri d’altitudine. Il rudere è in parte crollato ma è stato recentemente restaurato.
Foto di Enzo Suma.
Torre Pozzelle (o Pozzella) è inserita in un bellissimo contesto naturale, immersa in un tratto di costa quasi incontaminato, caratterizzato da basse scogliere, macchia mediterranea e piccole insenature. Comunicava visivamente con Torre Santa Sabina a sud e con Torre Villanova a nord.
La Storia
Torre Pozzelle è una torre costiera classificabile come tipica del Regno, la cui origine risale all’Orden General di Perafan De Ribera (1563) che proprio in quel periodo incrementò di gran lunga il numero di torri costiere sul territorio. Nella cartografia antica ha assunto diversi nomi tra cui “Puzzelle”, “Puzzelli”, “Puzzeglie”, “Puzzella” e “de’ Pozzelli”.
Giovanni Cosi (1989) riporta un documento tratto dall’Archivio di Stato di Napoli, a proposito della costruzione della torre affidata a Massenzio Gravili:
“Il maestro Massenzio Gravili di Lecce, in virtù di lettere del 9 settembre 1567 spedite dalla R. Camera (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese del Governatore provinciale, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a bon conto per la costruzione della torre detta le Puzzelle.”
La torre nel XIX Secolo fu abbandonata nel momento in cui perse la sua funzione originaria. In anni recenti vi sono stati degli interventi di restauro che fortunatamente hanno messo in sicurezza la struttura che versava in stato di degrado e rovina.
Cronologia:
XVI Secolo: compare nella cartografia.
1655: torriero Cap.le Cagnas Sebastiano.
1730: torriero Cap.le Calcagno Giovanni.
1777: custodita dagli Invalidi (associazione).
1842: in abbandono.
1978: censita da Vittorio Faglia.
Faglia (1978)
Vittorio Faglia (1978)Dal sito AgendaBrindisi.
La Struttura
Torre Pozzelle è un classico esempio di torre tipica del Regno, a base troncopiramidale con tre caditoie in controscarpa, ormai poco visibili. Gli angoli sono caratterizzati da blocchi squadrati e regolari, mentre il resto della muratura è costituito da pietrame informe ma disposto in corsi orizzontali. Sulle pareti vi sono anche evidenti segni di intonaco databile ad epoche passate. Al piano terra vi è tuttora la camera un tempo adibita a cisterna.
Attualmente la torre presenta un ampio crollo nella zona lato nord-ovest che ha messo in evidenza l’interno del piano agibile. I recenti interventi di restauro sono ben evidenti in particolare in parte del coronamento.
Nel Comune di Brindisi, in località Giancola o Torre Rossa, si erge Torre Testa a 15 metri dal mare e a un’altitudine di pochi metri. Vi sono stati diversi tentativi di restauro ma mai definitivi.
Dal sito Senza Colonne
Torre Testa, anche detta “Torre Testa di Gallico” o “Capogallo”, è situata a 7km lungo la litoranea nord da Brindisi, in una splendida posizione all’estremità di una piccola penisola lontana dalle più recenti costruzioni. Comunicava un tempo con Torre Punta Penne a sud e con Torre Guaceto a nord.
La Storia
Secondo alcuni, il nome “gallico” deriverebbe dalla forma di testa di gallo del promontorio su cui è posta. In realtà, come sottolineato dal sito BrindisiWeb, è più probabile che derivi dal termine Jaddico che, nelle lingue nordiche, significava bosco o foresta.
Come in altri casi in Terra d’Otranto, Torre Testa era posta alla foce di un canaletto, quasi un fiumicello, detto Giancola, dal quale turchi e corsari potevano rifornirsi di acqua dolce per proseguire i loro nefasti viaggi. Di conseguenza, la sua posizione era estremamente strategica.
Torre tipica del Regno, i lavori di costruzione iniziarono nel 1567, in seguito all’Orden General di Perafan De Ribera che proprio in quel periodo incrementò di gran lunga il numero di torri costiere sul territorio.
Torre Testa fu realizzata da Giovanni Maria Calizzi e continuata da Cesare Schero e Marco Guarino di Lecce. A conferma di ciò, Giovanni Cosi (1989) ha riportato i seguenti documenti reperiti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Il maestro Giovanni Maria Calizzi di Brindisi, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal marchese di Capurso, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a bon conto, per la costruzione della torre detta le Teste de Gallico.”
“Ancora il Calizzi, in virtù di mandato spedito il 30 giugno 1569 dal Governatore provinciale, il giorno successivo (1° luglio 1569) riceve dal Percettore provinciale 22 ducati per la fabbrica della suddetta torre.”
“Dopo 15 anni dall’inizio dei lavori, la Torre non è ancora ultimata ed essendo il maestro Calizzi troppo distante ed in altro occupato, il 30 giugno 1582 affida i lavori di completamento ai maestri leccesi Cesare Schero e Marco Guarino.”
Dal censimento di Vittorio Faglia negli anni ’70 dello scorso secolo, si comprende che la torre versava in pessime condizioni. In anni recenti sono stati effettuati dei necessari interventi di messa in sicurezza e di recupero, purtroppo lasciati incompleti ed insufficienti.
Torre Testa è una torre classificabile come tipica del Regno. Essa è caratterizzata da pianta quadra, corpo troncopiramidale e originariamente tre caditoie per lato. Tutte le pareti sono in tufo e nel tempo sono state corrose dal mare ma anche manomesse dagli uomini. Nella parte originale della torre si nota bene il pietrame non regolare utilizzato. All’interno vi era una volta a crociera, un camino e un vano sopra la porta per salire al terrazzo.
Come spesso accade, è crollata la volta del piano agibile superiore. Alcune impalcature sono state montate per prevenire un ulteriore crollo. Il lato nord risulta il più danneggiato. Sono ben riconoscibili i nuovi rifacimenti di muratura che hanno (in parte) messo in sicurezza la torre.
Dal sito BrindisiWeb.Dal sito BrindisiWeb.Giovanni Cosi (1989)
Nel Comune di Brindisi, nella località di Punta Penne, si erge l’omonima torre, a 50 metri dal mare e all’altitudine di 3 metri. Il rudere è in discrete condizioni.
VolgoBrindisi, Instagram
Torre Punta Penne, o semplicemente Torre Penna, comunicava visivamente con le difese della città di Brindisi a sud e con Torre Testa a nord. Sorge a Punta Penne o Capo Gallo. Il paesaggio costiero è di tipo roccioso con piccole insenature caratterizzate da lidi sabbiosi, basse scogliere, calette e ampi tratti di macchia mediterranea, ma purtroppo fortemente abbandonato a se stesso. Anche la torre versa in una condizione di degrado.
La Storia
Indicata da tutta la cartografia antica, la torre esisteva già prima dell’ordinanza vicereale con la quale, nel 1563, per volontà del vicerè Duca d’Alcalà don Perafan de Ribera, venne ricostruita. La ricostruzione vide impegnato nei lavori, almeno nel 1568, il maestro muratore brindisino Giovanni Parise (lo stesso che terminò i lavori di Torre Mattarelle). Le spese di riparazione di muratura e di falegnameria rimanevano accollate all’Università di Brindisi.
Vicino a Torre Penna, nel 1676 sbarcarono due galere turche e saccheggiarono cinque delle limitrofe masserie spingendosi sino alla Madonna del Casale. Nello stesso anno, una galera turca, sbarcò nella zona compresa tra Torre Penna e Torre Testa, facendovi dodici schiavi dalle vicine masserie. Questi due eventi dimostrano così l’inefficienza della cortina vicereale.
Nel corso del 1800 fu costruito affianco anche un faro, adesso non più presente. La torre fu riutilizzata dalla Guardia di Finanza negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale che intervenne rimuovendo brutalmente buona parte dell’intera struttura che originariamente era molto più alta. Purtroppo, oggi rimane solo la scarpata. Nell’area circostante viene poi realizzata una batteria militare denominata “Menga” con la presenza anche di una polveriera.
In anni più recenti, il Gruppo Archeologico Brindisino ha installato nei pressi di Torre Punta Penne e Torre Testa, un pannello illustrativo che racconta la storia delle torri, sia in lingua italiana che in inglese. Inoltre, sulle torri sono stati apposti degli striscioni con su scritto “AIUTATEMI A NON CROLLARE”.
Dal sito BrindisiWeb
La Struttura
Torre Punta Penne è caratterizzata da una pianta quadrata. La base della torre troncopiramidale è stata secondo Vittorio Faglia (1978) probabilmente svuotata in un secondo tempo. Gli spigoli sono costituiti da pietre regolari e le pareti da pietre non regolari. La scala esterna al primo piano, in parte ricavata nel basamento, è di epoca successiva in quanto, originariamente, si accedeva con scale rimovibili. In origine verosimilmente era classificabile come torre tipica del regno. All’interno vi sono due locali per piano. La rara cartolina d’epoca che ritrae la torre prima di essere troncata lascia pensare che essa abbia subito diversi rifacimenti sia in epoche passate che più recenti.
Torre Penna nel 1970, dal libro di Vittorio Faglia (1978)Immagini tratte dal libro di Giovanni Cosi (1989)
Nel Comune di Brindisi, nella località di Punta Mattarelle, si ergeva l’omonima torre, a un’altitudine di circa 10 metri. É quasi del tutto crollata a causa dell’erosione del mare.
Dal sito BrindisiWebRoberto Trinchera, Facebook, 2020
Torre Mattarelle comunicava visivamente a nord con Torre Cavallo, non più esistente, e a sud con Torre San Gennaro, anch’essa crollata. La torre, purtroppo rappresenta un monumento perso irrimediabilmente. Ciò che resta oggi del rudere a picco sul mare, sostenuto da una terra morbida e friabile, è visibile recandosi nei pressi della centrale ENEL in località Cerano e percorrendo dei sentieri che portano alla costa.
La Storia
Indicata in antichità anche con i nomi “T. della Punta delle Mattarelle”, “Matrelle”, “Mattarelli” e “Matarelli”, compare nella cartografia a partire dal XVI Secolo.
La sua costruzione cominciò nel 1567, sotto la guida del maestro muratore brindisino Virgilio Pugliese e i lavori furono continuati nel 1569 da Giovanni Parise, impegnato anche su Torre Penna. Le spese di riparazione in muratura e di falegnameria rimanevano di competenza dell’Università di Brindisi. A riguardo, Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Il maestro Virgilio Pugliese di Brindisi, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal Governatore provinciale, il 6 ottobre 1567 riceve dal Percettore provinciale 100 ducati a buon conto per la costruzione della torre di Matrelle.”
“Il maestro Giovanni Parise di Brindisi, in virtù del mandato spedito il 29 giugno 1569 dal Governatore provinciale, il 1° luglio 1569 riceve dal Percettore provinciale 104 ducati per la fabbrica della torre detta Matrella.”
Lo stesso Cosi (1989) riporta un documento per il quale “Bernardo Romano di Napoli, caporale della torre Le Matrelle della comarca di Lecce, non potendo attendere al servizio della torre per le sue infermità, il 30 luglio 1702 rinuncia alla sua piazza in favore del congiunto Oronzo Marsilio di Alessano, persona <<abile, atta e sufficientissima>> al detto servizio, avendolo istruito per molto tempo nella torre.”
Altre fonti ci narrano del tenente Gennaro Ripa il quale racconta che il 22 settembre del 1787 all’interno della torre morì un soldato, tale Giuseppe Migliorino, che fu seppellito dietro la torre “e costretto a custodirla anche dopo la propria dipartita” (ArcheoBrindisi).
Intorno agli anni ’80, Torre Mattarelle subì un crollo devastante quando il morbido terreno sottostante franò per via dell’erosione del mare che man mano farà precipitare ciò che rimane di quella che un tempo era una splendida costruzione.
Torre Mattarelle vista da Vittorio Faglia (1978) a sinistra e da Giovanni Cosi (1989) a destra. A conferma che il crollo avvenne negli anni ’80.
La Struttura
Torre Mattarelle era un esempio classico di torre tipica del Regno. Fondamentale è la descrizione di Vittorio Faglia (1978) che ha l’opportunità di ammirarla nella sua interezza alcuni anni prima che franasse la terra sottostante: “In pietrame, spigoli a conci regolari, pareti in pietra irregolare disposte a corsi orizzontali. Crollata la volta a botte, semplice e in tufi regolari, lo spigolo a monte-Sud e quasi due lati. Visibilissimo lo scarico nella cisterna. Attacchi delle caditoie partono da un cordolo di appoggio. La cisterna è in spessore di muro verso monte. La roccia tenera su cui è fondata la torre è stata asportata dal mare nello spigolo mare-nord. Copertura in chianche sezionata.”
Al giorno d’oggi (2021), della torre a pianta quadrata troncopiramidale con caditoie in controscarpa, resistono solo poche vestigia dell’angolo nord-ovest.
Dal sito ArcheoBrindisiDal sito ArcheoBrindisiTorre Mattarelle nel 2007, BrindisiWebDal sito BrindisiWeb
Nel Comune di Squinzano, in località Casalabate, a pochi metri di distanza dal mare e a circa due metri di altitudine si erge Torre Specchiolla, recentemente restaurata.
Gianluigi Tarantino (2021)
Torre Specchiolla domina la marina di Casalabate, nata un tempo come piccolo borgo di pescatori, oggi meta balneare per molti turisti. Comunicava visivamente a nord con Torre San Gennaro (oggi scomparsa), nel comune di Torchiarolo e a sud con Torre Rinalda.
La storia
Torre Specchiolla è classificabile come torre tipica del Regno. Questa tipologia di torri costiere furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-75 in seguito all’Orden General di Perafan de Ribera emanato nel 1563, per aumentare ulteriormente il numero di torri a protezione della Terra d’Otranto che proprio in quegli anni era in particolare sofferenza. La torre viene indicata nella cartografia d’epoca inizialmente col nome di “Torre della punta dello Specchio”.
La costruzione della torre fu assegnata, come attesta un atto del 19 agosto 1582, a Mario Schero di Lecce in seguito ad una lunga serie di bandi e offerte per l’aggiudicazione e spartizione degli appalti di più torri. Riporta Giovanni Cosi (1989): “Al bando fatto in Napoli, verso la metà del 1582, per la costruzione delle torri: Specchiulla, S. Giovanni de la Pedata, fra Saturo e Capo S. Vito (Lama), Fiumicelli di Otranto, Venneri e S. Caterina, partecipa il maestro Martino Cayzza con l’offerta di 90 ducati d’incanto. La R. Camera ordina a Ferdinando Caracciolo Governatore di Terra d’Otranto di rinnovare l’asta per ottenere una migliore offerta.” In un successivo documento del 15 febbraio 1584, Mario Schero richiedeva dalla Regia Camera, quanto gli spettava per il lavoro già terminato e approvato dal Regio Ingegnere provinciale Paduano Schero.
La torre agli inizi del XIX secolo venne censita in buono stato e nel 1842 risultava ancora in uso dalla Guardia Doganale. Recentemente ha subito un importante restauro che ne ha consolidato la struttura ma che ha, in parte, snaturato la torre, eliminando alcuni importanti elementi architettonici, aggiungendone di nuovi. La torre è tuttora proprietà privata.
Dalla rivista La Zagaglia (1964)
Carlo Carrisi, Instagram (2017)
La struttura
Torre Specchiolla, come detto, è un bellissimo esempio di torre tipica del Regno, caratterizzata dunque da una base quadrata (circa 11 metri per lato), un corpo scarpato ed il coronamento in controscarpa. Gli spigoli sono costruiti con blocchi squadrati mentre le pareti sono realizzate con pietrame irregolare. La torre presenta dodici caditoie, tre per lato. Dall’appoggio dei barbacani in su è stato tutto ricostruito e, in lato mare, sono state realizzate due grandi aperture, una porta d’ingresso e una finestra. Originariamente, il piano terra era utilizzato come cisterna e il primo piano era il vano agibile al quale si accedeva tramite scala rimovibile o ponte levatoio situato in lato monte (il lato opposto al mare).
Nel Comune di Otranto, in località Baia dei Turchi, si ergeva Torre Santo Stefano a 30 metri dal mare e a un’altitudine di 13 metri. Il rudere, quasi del tutto scomparso, si trova all’interno di una proprietà privata.
Vittorio Faglia (1975)
Torre Santo Stefano comunicava un tempo a sud con le fortificazioni di Otranto e a nord con Torre Fiumicelli. Si ergeva molto vicina al mare e dominava la splendida Baia dei Turchi. Purtroppo, quasi del tutto scomparso.
La Storia
L’edificazione della torre risale al 1567, a conferma, in un documento del 9 settembre dello stesso anno, Paduano Baxi di Lecce riceve 100 ducati per la costruzione della Torre di Santo Stefano. Questa, esistente nel 1569, secondo gli Elenchi dei Vicerè, è indicata da molti documenti e in tutta la cartografia antica dal XVI secolo in poi, inizialmente come “Torre del porto di Santo Stefano” e poi “Torre di Santo Stefano”.
Giovanni Cosi (1989) riporta i seguenti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Il maestro Paduano Baxi di Lecce, in virtù di lettere spedite dalla R. Camera il 9 settembre 1567 (In litterarum Curie 40 N. 207) e di mandato spedito il 27 dello stesso mese dal Governatore provinciale, il 3 ottobre 1567 riceve dal Percettore 100 ducati a buon conto per la costruzione della torre di S. Stefano.”
“Il procuratore della città di Otranto Geronimo Centoarti, il 3 ottobre 1576 riceve dal sindaco di Lecce Gaspare Maremonte un pezzo di artiglieria detto mezzo falconetto, della portata di 2 libbre, lungo 6 palmi e mezzo, del peso di 2 cantare e 68 rotoli e 100 palle di ferro, per armamento della torre.”
“Il sindaco di Specchia dei Galloni Felice Notarpietro, il 7 febbraio 1604 rilascia procura a Giovanni Angelo Vitale U.I.D. per farsi rimborsare dalla R. Camera quanto l’Università ha pagato, per più mesi ed anni, ai cavallari della Torre, come da dichiarazioni del sopra-custode Nicola Suarez e da ricevute degli stessi cavallari.”
La torre risultava in buone condizioni nel 1825, tanto da essere ancora utilizzata nel 1842 dalle Guardie Doganali. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu danneggiata. Il definitivo crollo avvenne alla fine del XX secolo quando la torre, custodita all’interno di un villaggio turistico, fu abbandonata a se stessa senza che nessuno si occupasse dei necessari interventi.
Cronologia:
1569: Esistente secondo l’Elenco del Vicerè.
1575: Torriero Caporale Mandossino Francesco.
1582: Torriero Caporale Palma Cristoforo.
1655: Torriero Caporale De Fuentes Pedro.
1697: Torriero Caporale Giannocculo Francesco Antonio.
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in buono stato.
1842: In uso dalle Guardie Doganali.
1945: Risulta danneggiata durante la guerra.
1975: Censita da Vittorio Faglia (foto in alto).
Anni 2000: Cumolo di macerie.
Nell’immagine a sinistra (Vittorio Faglia, 1975) si nota un importante dettaglio dell’interno della torre, con scala e finestrelle feritoie. L’immagine al centro raffigura il rudere prima del crollo definitivo. A destra infine, le rovine della torre come appaiono ai nostri giorni.
La Struttura
La torre fu descritta nel seguente modo nel 1975, quando ancora il rudere era in discrete condizioni: “Rimangono in piedi solo due spigoli contrapposti della torre: monte-costa sud e mare-costa nord. Il primo moncone è il più interessante. Base tronco-piramidale con cordolo marcapiano e corpo parallelepipedo di un piano. Coronamento distrutto. Rimane ben sezionata la muratura a corsi anche interni regolari e una scaletta interna in luce. All’esterno la costruzione è in blocchi regolari di carparo. Due finestrelle originali il lato costa sud” (Vittorio Faglia).
Torre Santo Stefano, a base quadrata, presentava caratteristiche simili alla torri edificate dallo Stato della Chiesa, integrate con quelle delle masserie fortificate dell’entroterra. Quasi del tutto scomparsa e nascosta dalla vegetazione, sono rimaste solo alcune tracce del basamento scarpato e del piano agibile verticale, oltre ad indistinte macerie dalle quali si percepisce la grandezza della torre in origine.
Le successive foto d’epoca sono tratte dal libro di Giovanni Cosi (1989) indicato in bibliografia.
Nel Comune di Castro, nella località di Castro Marina, si erge Torre Diso a 145 metri dal mare e a un’altitudine di circa 40 metri. Il rudere è quasi interamente crollato e in proprietà privata.
Giulia Fersini (2021)
Torre Diso comunicava visivamente con Torre Capo Lupo a sud e con le fortificazioni di Castro a nord. Il rudere si trova in un bellissimo contesto, anche se ormai fortemente urbanizzato, tanto da “nascondersi” per via della folta vegetazione e delle abitazioni annesse ad esso. Per questo motivo, Torre Diso sfugge anche ad alcune pubblicazioni, trascorrendo un periodo di dimenticanza ed abbandono. É presente in gran parte della cartografia antica ma in pochi documenti.
La Storia
Nella cartografia antica, Torre Diso subisce alcune variazioni di nome: “Torre della Casa”, “Torre della Cala” o “della Cala del Cubo”, dunque “Torre de Diso”. Nelle antiche pubblicazioni del XVII secolo, Scipione Mazzella (1601) ed Enrico Bacco Alemanno (1629) la indicano col nome di “Torre della Casa del Rio”.
Nel 1537 e nel 1573, la Città di Castro, al tempo Contea e Diocesi, fu assediata, brutalmente saccheggiata e distrutta, in entrambe le occasioni, dalle armate turche. Da quel momento in poi, passarono secoli prima che Castro potesse riprendersi. “I pochi abitanti superstiti vissero tra le rovine delle antiche fortezze, nel ricordo soltanto della passata grandezza” (Boccadamo). A conferma della gravità del momento storico, il Regno di Napoli decise di aumentare il numero delle torri costiere presenti sul territorio. Queste nuove torri, cosiddette tipiche del Regno, furono costruite prevalentemente nel decennio 1565-1575, in seguito all’Orden General di Parafan De Ribera. Torre Diso era una di queste.
In un documento del 1580, riportato dal Cosi (1989) e dal De Salve (2016), risulta che, “il maestro Cesare Schero di Lecce, il 2 giugno 1580 rilascia procura al figlio Pietro Angelo per riscuotere presso la generale Tesoreria di questo Regno, quanto gli è dovuto per le fabbriche da lui eseguite nella città di Otranto ed in altri luoghi e segnatamente nella torre sita nel territorio di Diso”.
Il Cosi (1989) e Boccadamo (1994) riportano un ulteriore documento che narra una peculiare vicenda. “Lo Spagnolo Gregorio Martines, nominato caporale della Torre di Diso alias della Cala del Cubo con lettera del 25 agosto 1581 dell’allora Viceré Iuan de Zuniga, il 16 agosto 1586 rinuncia al caporalato a favore del connazionale Francesco Rois. Il motivo delle dimissioni proviene dall’odio e malevolenza di alcune persone che, istigate da animo diabolico, gli spararono un colpo di archibugio mentre andava a ritirare il suo stipendio nel Casale di Sanarica e poco mancò che non venisse ucciso; e, permanendo in codesto esercizio nel quale ha contratto capitali inimicizie, rischia la vita.”
Vittorio Faglia (1975) nel suo grande censimento delle torri costiere di Terra d’Otranto, cita l’esistenza di un documento risalente al 1777, secondo il quale la torre fosse custodita da un torriere interino che chiedeva un risarcimento. Questo presuppone che la torre svolgesse ancora la sua funzione sul finire del XVIII Secolo. Le notizie successive riguardo Torre Diso appaiono spesso confuse. La torre viene prima riportata distrutta all’inizio del XIX Secolo dalle truppe navali inglesi durante il periodo del Blocco Continentale napoleonico; viene poi censita in buone condizioni nel 1825 (lo confermano il Faglia e De Salve). Ne fece una ricognizione il Faglia nel suo censimento del 1975, ma negli anni ’80 il Cosi non fu in grado di individuarla e con il passare degli anni passò inosservata anche in successive pubblicazioni come quella di Ferrara del 2009.
La torre è quasi interamente crollata. Secondo il Faglia fu danneggiata verosimilmente dagli uomini (per le navi inglesi essa era abbastanza fuori tiro). Non si sa per certo cosa abbia causato tale deterioramento. In quale percentuale lo sfacelo sia dovuto all’incompetenza del progettista, alla disonestà dell’appaltatore (fenomeno esistente anche allora ed ampiamente provato per più di una costruzione) o al vandalismo e all’incuria dei posteri, è molto difficile determinarlo.
Nel 2020, ci sono stati degli sforzi da parte di alcuni cittadini, affinché l’amministrazione comunale si prendesse carico del rudere, in ottica di una possibile riqualifica. Potrebbero infatti esserci presto nuovi risvolti.
Nella prima fotografia del 1976: la torre vista dalla strada con il lato monte scomparso in primo piano, rimpiazzato da un muretto a secco; apprezzabile il lato mare che si presentava all’epoca molto più alto ma crollò negli anni ’90.
Francesco Pispico (1976)Vittorio Boccadamo (1994)Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
Torre Diso appartiene alla tipologia di torri tipiche del Regno, a base quadrata e corpo scarpato. Non si è in grado di ipotizzare se la torre avesse avuto tre caditoie per lato o nessuna caditoia, come la vicina Torre del Sasso. Questa tipologia di torri, come detto, risale al periodo dell’Orden General di Perafan de Ribera (1563). La sua struttura è ben distinguibile dalle poche fotografie risalenti alla seconda metà del ‘900. L’attuale rudere risulta ancor di più deteriorato soprattutto nel suo lato-mare che fino agli anni ‘90 poteva contare diversi metri di altezza in più. Il rudere è stato a lungo minacciato dalla presenza di folta vegetazione, che con rami e radici rischiava di provocare danni irrimediabili, vista la situazione già critica.
Nel 1975, il Faglia riuscì ad individuare addirittura alcune caratteristiche della struttura interna della torre, oggi non più distinguibili. Scrisse infatti “all’interno si legge un inizio di volta e risega di appoggio (cisterna o locale sotterraneo)”. Torre Diso come ogni torre costiera della sua tipologia presentava una cisterna al piano terra ed un vano agibile al primo piano. Fu costruita con pietre irregolari ricavate dall’ambiente circostante e molto probabilmente nei suoi quattro angoli vi erano pietre regolari e squadrate come nella vicina Torre del Sasso, nel Comune di Tricase.
Torre Diso come appariva in alcuni scatti d’epoca.
Il rudere in una foto del 2009 mostra gravi segni di peggioramento. Si nota infatti che, a differenza delle immagini precedenti, la parete lato-mare è crollata, infatti non supera più in altezza il cavo della corrente elettrica.
Nel Comune di Andrano, nella località di Marina di Andrano, si erge Torre Porto di Ripa a 50 metri dal mare, ad un’altitudine di 12 metri. Rudere recuperato.
Giulia Fersini (2020)
Torre Porto di Ripa, conosciuta più recentemente con il nome di “Torre di Andrano”, comunicava visivamente a sud con Torre del Sasso e a nord con Torre Capo Lupo. É situata nelle vicinanze della celebre Grotta Verde di Marina di Andrano, in un tratto di costa bassa e rocciosa.
La Storia
Sicuramente la torre era già in uso nel 1569, essa compare in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica a partire dal XVI secolo.
Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“Lo spagnolo Andrea de Leon, nominato caporale della torre Ripa, sita nella marina di Andrano, dall’allora Vicere Parafan de Ribera, il 21 settembre 1577 cede l’incarico alla R. Corte, non potendo più attendere al servizio di guardia, essendo da due mesi ammalato nell’ospedale dello Spirito Santo di Lecce.”
“Lo spagnolo Consalvo Martines, caporale della torre della Ripa, il 27 maggio 1594, acquista un pezzo di terra da Giovanni Camillo Saraceno, barone di Andrano.”
“Ancora il caporale Consalvo Martines, il 9 ottobre 1595, compra da Nicola Cantoro di Andrano una casa terranea con orto dietro, sita in Andrano alla via della Porta piccola e confinante con i beni dello stesso compratore, per 14 ducati e mezzo.”
“Dall’atto del 29 luglio 1602, in cui è testimone Alonso Martines figlio di Consalvo, si apprende che questi è ancora caporale della Torre.”
“Leonardo Rizzo di Andrano, caporale della torre di Andrano ossia di Portoripa, dopo aver custodito per anni la suddetta torre, il 1° maggio 1661, rinuncia all’incarico in potere della R. Corte perché provveda alla sostituzione.”
Nel 1842 risultava abbandonata perché diroccata. Le sue dimensioni e la sua posizione molto esposta, come spiega il Faglia, la caratterizzano come probabile avamposto di difesa. Purtroppo, non abbiamo notizie sulle vicende che hanno portato alla sua semi-distruzione.
Giovanni Cosi (1989)
La Struttura
Della grande torre troncoconica a base circolare rimane oggi solo il basamento scarpato fino all’altezza del piano agibile. Oggi restaurato, il primo piano conserva ancora all’interno la cisterna a cupola. Come ben visibile nella fotografia tratta dal libro del Faglia (in basso), negli anni ’70, era possibile accedere alla cisterna tramite una rottura nel paramento della torre, oggi definitivamente riparata. La torre, di diametro di 11 metri, è stata realizzata con pietrame irregolare ma in corsi orizzontali, tra dime verticali in tufo a conci regolari a quattro metri circa di distacco.
Torre Porto di Ripa prima e dopo il suo restauro. Anni 1975 e 2020a confronto(foto di Vittorio Faglia e Giulia Fersini).
Nel Comune di Tricase, in località Serra del Mito, si erge Torre del Sasso a 400 metri dal mare e a un’altitudine di circa 110 metri. Il maestoso rudere, in parte crollato, versa in stato di abbandono.
Foto di Daniele Met Photography
Torre del Sasso è un imponente rudere, parzialmente crollato, che si erge isolato in una posizione mozzafiato, nella Serra del Mito, su di un alta roccia da cui prende il nome. La torre comunicava visivamente con Torre Porto di Ripa a nord e con Torre Porto di Tricase a sud. Inoltre, da questa strategica posizione è possibile osservare Torre Palane e Torre Nasparo, entrambe a sud.
La Storia
La vediamo citata in alcuni atti di fine XVI secolo dove sono annotati i compensi per i servizi a torrieri e cavallari. La stessa, inoltre, è presente in alcuni documenti e in tutta la cartografia antica sempre con il nome “Torre del Sasso” (De Salve).
Giovanni Cosi (1989) riporta degli interessanti documenti tratti dall’Archivio di Stato di Napoli:
“L’Università di Tricase, il 4 maggio 1584 nomina due procuratori per riscuotere presso il Percettore quanto da essa già pagato, per primi quattro mesi dell’anno, al caporale ed ai soci della torre Sasso sita nel territorio dell’Abbazia de lo Mito.”
“Lo spagnolo Andrea Dos, caporale della torre del Sasso, Matteo Coti di Tricase e Lupo Antonio Mellacca di Caprarica del Capo, soci e custodi, il 10 giugno 1588 ricevono dal cassiere dell’Università, il notaio Micetto Micetti, il salario per i primi quattro mesi dell’anno.”
“Il caporale della torre Francesco Cesario ed il custode Didaco Salcedo il 10 marzo 1608 costituiscono un procuratore per riscuotere dal Percettore il salario dei mesi passati.”
“Capitoli del contraendo matrimonio tra il caporale Francesco Cesario e Margherita Martines vengono stipulati il 26 febbraio 1609.”
“Il sindaco di Tricase Antonio Simeone, il 6 maggio 1614, rilascia procura a Giovanni Dana per il prelievo della polvere (per la quale l’Università viene tassata) per munizione della Torre.”
“Il sindaco di Tricase Giulio Cesare Micetto il 16 settembre 1618 rilascia procura a Gaspare Brizio per farsi rimborsare dal Percettore 13 ducati e mezzo che l’Università ha già pagato al caporale Francesco Cesario ed al custode Angelo Zezza, per i tre mesi trascorsi.”
Attualmente di proprietà demaniale, c’è stato negli ultimi anni un fortissimo interesse da parte di alcuni cittadini che si sono attivati per la salvaguardia di questo patrimonio, tuttora in grave rischio di crollo. In particolare, da sottolineare il contributo del gruppo ASD MTB Tricase.
Nell’ottobre 2021 finalmente, come riportato anche dalla testata locale il Gallo, è stato finanziato il progetto di puntellamento di Torre del Sasso, un importantissimo primo intervento che permetterà di mettere in sicurezza e conservare la torre nello stato attuale in attesa di un progetto di recupero definitivo.
Aggiornamenti da BelPaese, 23 settembre 2022:
Nel maggio 2023 sono stati avviati i lavori di puntellamento e messa in sicurezza della torre, nell’attesa di fondi per un vero e proprio restauro. Ringraziamo l’Associazione ASD MTB Tricase, da sempre attenta e attiva in merito alla salvaguardia della torre per la seguente foto.
Cronologia:
1583: Torriero Caporale Garcia Domingo.
1592: Torriero Caporale Fabiano Agostino.
1609: Torriero Caporale Cesario Francesco.
1727: Torriero Caporale Pisano Fortunato
1777: Custodita dagli Invalidi (associazione).
1825: Censita in cattive condizioni.
1842 Abbandonata perché “in parte diruta”.
1975: Fotografia di Vittorio Faglia (in basso).
1990 Circa: fotografia a colori (in basso).
Vittorio Faglia (1978)
La Struttura
Mettendo a confronto queste due foto è evidente il grave crollo che ha interessato la facciata sud della torre. La foto sulla sinistra (di ASD MTB Tricase) risale anni ’80.
Le seguenti immagini (a sinistra, foto di Davide Marra e a destra TorredelSasso, Instagram) mettono in luce alcuni dettagli architettonici.
Rispetto alle vecchie fotografie da noi riportate, oggi rileviamo un’ulteriore declino. Difatti, metà della torre è interamente crollata. Nonostante ciò, il suggestivo rudere custodisce immutato il suo fascino antico. Torre del Sasso è una torre con base troncopiramidale lievemente scarpata, sulla quale si erge in verticale il corpo parallelepipedo del piano agibile. Nella parte inferiore vi era la cisterna. Nella parte agibile, da alcune finestre, i torrieri scrutavano le coste. Rimane ancora intatta una di queste finestre nella parte di torre ancora superstite, quella che guarda a nord, verso Castro. Il lato che guarda sud invece è ormai ridotto in macerie.
É tuttora possibile ammirare alcuni particolari dell’interno del piano agibile che presentava un unico ambiente con volta a botte semplice. Non vi sono segni leggibili di caditoie e la torre è priva di toro marcapiano. Probabilemte, secondo il Faglia, ci fu in tempi lontani, un rifacimento dei paramenti esterni.
Il corpo parallelepipedo, su base troncopiramidale, presenta spigoli in pietra a conci regolari mentre le pareti sono invece composte da pietre irregolari. É visibile il colatoio del tetto che collegava lo scarico dell’acqua alla cisterna, oggi scoperta e visibile dal piano agibile.
A sinistra, la torre ancora “integra” come si presentava negli anni ’70, tratta dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia). A destra, un’ulteriore fotografia di un autore sconosciuto.
A sinistra, un dettaglio del colatoio come visto dal Faglia neglia anni ’70. Nella foto a destra, un dettaglio della cisterna (foto di Marco Rizzo, 2020).
Torre del Sasso vista da Giovanni Cosi nel 1989
Torre del Sasso oggi
Foto di Daniele Met PhotographyFoto di Daniele Met Photography
Nel Comune di Salve, nell’omonima località, si erge Torre Pali, in acqua, a circa 20 metri dalla riva. Il rudere è stato parzialmente recuperato.
Foto di Luigi Chiriaco
Tra le più caratteristiche, ai tempi della costruzione la torre si trovava sulla terraferma ma a causa dell’erosione costiera si trova completamente circondata dalle acque del mare, a circa 20 metri dalla costa. Comunicava a nord con Torre Mozza e a sud con Torre Vado.
La Storia
Non si hanno notizie precise sulla costruzione della torre. Un documento citato da Giovanni Cosi nel 1989, specifica che un tale Antonio Alemanno, con procura dell’Università di Salve, nel 1581 riceve dalla Regia Corte 243 ducati, in conto per le spese sostenute dalla stessa Università per la costruzione della torre.
Possiamo quindi sostenere la costruzione nel XVI secolo, nello stesso in cui compare come “Torre della Saua” nella cartografia antica e in altri documenti. Molte sono le vicende di attacchi registrati in questo tratto di costa. Torre Pali fu un assetto importantissimo, ma con fortune alterne. Come riporta Ferrara, nel luglio 1617 le navi barbaresche sbarcarono e fecero razzia di merci, portando anche via nove donne, senza che gli addetti al controllo si accorgessero dell’accaduto. Questo portò enormi critiche ai torrieri e ai governanti. Nel 1667, invece, i salvesi allertati per tempo, riuscirono a respingere un incursione turca.
Già all’inizio del XIX secolo, anche a causa delle particolari condizioni del sito, la torre fu censita in cattive condizioni statiche, che si aggravarono ulteriormente nel lungo periodo che ne seguì. La tradizione orale, infine, narra che nei primi anni Settanta del ‘900, un fulmine colpì e distrusse l’ultimo pezzo del coronamento (vedesi in foto). A partire dagli anni 2000, si è iniziato a porre rimedio al degrado in cui versava il rudere effettuando interventi di consolidamento statico.
In queste splendide, quanto uniche, immagini tratte dal sito SalveWeb.it, si può apprezzare la grande porzione di torre oggi crollata che persisteva fino ai primissimi anni ’70.
Foto tratta dal sito SalveWeb.it
La Struttura
Della torre rimane una porzione importante dello zoccolo scarpato (diametro circa 12 metri) e alcuni resti del corpo cilindrico, oltre il cordolo. Nella parte più integra è presente un voltino e l’inizio di una caditoia. Tra i detriti nella parte alta non sono distinguibili altre tracce.
Dalla pagina Facebook, Fotografando Lecce e il Salento
Nel Comune di Gallipoli, nella località di Rivabella, si erge Torre Sabea, a circa 50 metri dal mare, ad un’altitudine 3 metri. Restaurata ed in concessione a privati.
Dal sito: Corte del Salento
A circa cinque chilometri da Gallipoli, al centro della grande insenatura a settentrione, si può ammirare Torre Sabea, posta nelle immediate vicinanze del mare. Segnalata nella cartografia inizialmente come “Torre della Punta di Spea”, “Torre di Sapea” e infine Torre Sabea, dai Gallipolini è conosciuta come “La Vecchia Torre”. Comunicava visivamente a sud con le fortificazioni di Gallipoli e a nord con Torre dell’Alto Lido.
La Storia
L’edificazione della torre fu assegnata nel 1568 al leccese Marco Bacci. Una volta stabilito che la costruzione doveva essere realizzata secondo il progetto del Regio ingegnere Giovanni Tommaso Scala.
Molto probabilmente la sua costruzione fu decisa durante la visita in Terra d’Otranto del Presidente della Regia Camera, Alfonso Salazar, accompagnato dal regio ingegnere Ettore Scala e fu terminata entro l’estate del 1569. Torre Sabea è riportata negli elenchi delle torri fatti dal Mazzella (1586 e 1601) e da Bacco Alemanno (1609); come pure è sempre presente nella cartografia del ‘600. Nei documenti di Gallipoli troviamo questa descrizione: “La città di Gallipoli per la parte della sua marina di tramontana tiene una torre chiamata la Sapea distante tre miglia dalla città”. La medesima fonte ci informa che la responsabilità della torre, come anche della vicina costa, fu sempre di competenza dell’Università di Gallipoli col contributo però dei paesi convincini. Un dispaccio, redatto a Lecce il 10 dicembre 1569, si assicura che in quella data la Torre Sabea era quasi pronta all’uso: “Magnifico Percettore della nuova città di Otranto Gian Bonori, a noi è stata presentata la sottoscritta fede che l’architetto delle torri e città di Terra d’Otranto e di Bari è Paduano Schiero, regio responsabile in questa provincia, facemmo fede per la spesa fatta per il Magnifico Silvio Zaccheo sindaco della città di Gallipoli in la Torre dei Sapea, sita nel territorio di detta città per la scala, porte, finestre e serratura, quale ispesa somma ducati 8 e grana dudici e mezzo”. Infine il Sindaco di Gallipoli, in data 3 gennaio 1570, conferma che, secondo quanto stabilito, furono effettuati i lavori per la torre Sabea la cui somma ammontava a ducati otto e grana dodici e mezzo.
Torre Sabea divenne effettivamente funzionante nella primavera del 1570. Da quel momento in poi il presidio militare fu in grado di vigilare il tratto di mare antistante e di segnalare alla città di Gallipoli l’arrivo di navi battenti bandiera turca o corsara.
Nel 1820 la torre era in abbandono ed in pessimo stato, anche se sul terrazzino vi era ancora un cannone di ferro con calibro 3. Agli inizi del nostro secolo la torre subì alcune modifiche nel suo interno.
Nel 1974 fu definitivamente restaurata per interessamento di Angelo Mollone e su perizia di Vittorio Faglia. Attualmente Torre Sabea è in concessione alla famiglia Mollona Magno.
La Struttura
La torre rientra nella classificazione di torre tipica del regno. A pianta quadrata, (9,40 metri per lato), corpo quadrangolare scarpato, coronamento controscarpato definito da toro continuo sulle tre piombatoie per ogni lato e parapetto ricurvo verso il terrazzo di copertura. Conserva due finestrelle originarie sui lati costa. In lato monte, in corrispondenza della originaria porta levatoia al piano agibile, nel corso di un restauro della fine del XIX secolo, venne aperto un nuovo accesso che attraversa lo spessore del basamento (tutt’ora utilizzato). Probabilmente, durante questo stesso restauro, alla garitta, a filo del parapetto in lato a monte, è stato aggiunto un piccolo vano. Nell’ultima apprezzabile restaurato del 1974 di Vittorio Faglia, invece un altro accesso è stato aperto in lato costa-nord. Prima del restauro, la parete sud dell’edificio aveva subito un crollo probabilmente dovuto ai venti di scirocco.
Planimetria del Leopizzi (vedesi bibliografia)
La Leggenda
Una triste leggenda avvolge Torre Sabea. Si racconta che nel 1500, periodo continuamente funestato da assalti di pirati, le torri costiere venissero sorvegliate da schiere di soldati opportunamente addestrati, soldati chiamati torrieri. Si narra che tra questi torrieri, il cui compito era quello di difendere l’antica torre, vi fosse un giovane di bell’aspetto, Flavio, il quale era perdutamente innamorato di Florilanda, divenuta anche sua sposa, giovane gallipolina di grande bellezza ma di povere origini. La leggenda narra che nel giorno di Pentecoste (detto anche Pasqua delle Rose) la giovane sposa, dettata dall’ardente desiderio di rivedere anche solo per pochi istanti il proprio sposo di stanza alla Vecchia Torre, insieme ad alcune compagne raggiunse la torre e si unì al suo amato in un appassionato abbraccio, lasciandosi andare alla passione. Poiché, nonostante i richiami delle amiche Florilanda non tornava, al calar del sole le compagne presero da sole la via del ritorno. Quando Florilanda si svegliò in piena notte, volle rientrare in città ma a causa del buio della notte perse la strada e decise di ritornare alla torre da Flavio. Lo sposo, di guardia alla torre, insospettito dal rumore e credendo si trattasse di un nemico, corse incontro alla figura trafiggendola con la propria alabarda. Accortosi del tragico e fatale errore, egli posò il corpo esanime della propria amata su una barca ed insieme sparirono in mare, senza fare più ritorno.
Ancora oggi si dice che ogni sera due gabbiani bianchi riposino al riparo della Vecchia Torre per poi spiccare il volo verso l’infinità del mare.
Nel Comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Sant’Isidoro a meno di 50 metri dal mare e a un’altitudine di 3 metri. Oggi è in concessione a privati.
Foto di Giorgio Maghenzani.
Comunicava visivamente a sud con Torre Inserraglio e a nord con Torre Squillace.
La Storia
Di Torre Sant’Isidoro sappiamo con certezza che nel 1622 fu necessario ricostruirla dalle fondamenta. I lavori della ricostruzione furono aggiudicati al neretino Giovanni Vincenzo Spalletta, questo ne affidò l’esecuzione ai concittadini: Ortensio Pugliese, Giovanni Francesco Mergula e Francesco Antonio Pugliese, che portarono a compimento i lavori nel 1624. Compare in tutta la cartografia antica. Fu censita in cattivo stato nel 1825 da Primaldo Coco e fu abbandonata intorno al 1842.
Un tempo la torre dominava questo bellissimo tratto di costa bassa indisturbata ma è stata raggiunta da un’espansione edilizia in tempi governati da assoluta “leggerezza” e insensibilità tanto da essere tollerate costruzioni addossate alla torre stessa. Oggi la torre è in concessione a privati.
Sappiamo che la torre attuale è la ricostruzione dalle fondamenta, iniziata intorno al 1622, della vecchia che era entrata in funzione nel 1569; la notizia dell’esistenza di una torre già nel 1443 e la testimonianza del Galateo che ho riportato alla fine (potrebbe per motivi cronologici riferirsi tanto alla torre originaria quanto alla sua prima ricostruzione) fanno pensare che quella attuale costituisca in realtà almeno una seconda ricostruzione. Da notare che il documento riportato è lo stesso in cui si parla in modo che non lascia assolutamente adito a dubbi, circa una possibile confusione con questa torre, di un’altra torre, da identificare probabilmente con Torre Uluzzo.
La Struttura
Compresa nella serie di Nardò a base quadrata, presenta piano terra quadrangolare senza aperture, di 12 metri per lato, definito da una marcata scarpatura (forse lascia pensare ad un intervento successivo di potenziamento). Il piano agibile, oltre il primo toro marcapiano, presenta finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte. Ma come scrive il Faglia, esistono segni di una porta levatoia sul lato sud anzichè sul lato monte dove ora esiste la scalinata. Si sviluppa inoltre un secondo piano, definito da un altro toro, che continua verticalmente fino al parapetto di coronamento. Questo, aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e una piombatoia su ogni lato, in corrispondenza delle aperture. La garitta, sul terrazzo di copertura, è a filo del parapetto. L’accesso al piano agibile è servito da una scala rampante, probabilmente di epoca successiva.
Al suo interno è presente, al primo piano, un grande locale con camera e piccolo gabinetto in spessore di muro, camino e botola per raggiungere la cisterna sottostante, in un ampio locale voltato a botte. Sul terrazzo si accede alla guardiola attraverso una stretta scala di legno.
Immagini tratte dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia).
Nel Comune di Nardò, nell’omonima località, si erge Torre Squillace a poco più di 50 metri dal mare e all’altitudine di un metro. Essa è in buono stato di conservazione e tuttora in fase di restauro.
Jack100iso, Flickr
Torre Squillace detta anche “Li Scianuri”, nome che deriva probabilmente dalla scilla, una cipolla selvatica tipica della zona, comunicava visivamente a sud con Torre Sant’Isidoro e a nord con Torre Cesarea.
La Storia
Torre Squillace, allora denominata Scianuri, fu iniziata in località San Giorgio, in corrispondenza del porto omonimo, negli ultimi mesi del 1567, ma i lavori restarono fermi per oltre un anno a causa delle difficoltà finanziarie della competente università di Copertino. Risulta completata nel 1570, ad opera del mastro copertinese Pensino Tarantino, avendo richiesto circa ottomila ducati per la sua realizzazione.
Nel 1640 viene dotata della scala esterna in pietra.
Nel 1707 ospita nelle sue prigioni sedici turchi, naufragati lungo la costa, per osservare la rigorosa quarantena prevista per scongiurare la peste. Da un sopralluogo del 1746 viene attestato che non abbisogna di alcuna manutenzione, per essersi conservata molto bene.
Nel secolo successivo viene data in custodia alle Guardie Doganali (1820), quindi all’Amministrazione della Guerra e della Marina (1829). Nel 1940 i soldati dell’Esercito vi installano una postazione di artiglieria, rimasta attiva fino all’armistizio del 1943.
Nel 2009, ci furono importanti interventi di consolidamento. Ma proprio recentemente, nel 2020, sono in corso lavori di restauro. La Regione Puglia, infatti, ha finanziato con 25mila euro un intervento di conservazione dell’immobile, nell’ambito delle risorse della legge regionale n. 44/2018 sulla tutela e fruibilità delle torri costiere pugliesi. Intervento cui il Comune di Nardò contribuirà con altri 5 mila euro di cofinanziamento. La volontà dell’amministrazione comunale è quella di preservare l’immobile dal degrado e di valorizzarlo a fini turistici e culturali rendendolo anche fruibile al pubblico.
Torre della serie di Nardò a base quadrata, il lato misura circa 13 metri e la sua altezza è di circa 16. Il piano terra è quadrangolare scarpato, senza aperture. Il piano agibile presenta finestre su tre lati e porta d’accesso levatoia in lato monte. Il coronamento, leggermente aggettante e sostenuto da beccatelli, è fornito di troniere e una piombatoia su ogni lato in corrispondenza delle aperture. La garitta, sul terrazzo di copertura, è a filo del parapetto. L’ accesso al piano agibile è servito da una scala rampante probabilmente di epoca successiva poggiante su due archi. Si dota di merloni e di una guardiola sulla terrazza. All’interno si trova un ampio locale voltato a botte con camino sul lato sinistro della porta e il pozzo sul lato destro.
Giovanni Cosi (1989)
Planimetria
Immagini tratte dal libro di Vittorio Faglia (vedesi bibliografia).